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Liegi, Opéra Royal de Wallonie – Idomeneo

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Gli appassionati di ciclismo sanno che nei pressi di Liegi c’è una ripida salita, teatro di grandi sfide nelle classiche delle Ardenne, conosciuta come côte des Italiens, per lo stuolo di bandiere tricolori che è solito accogliere i corridori quando l’affrontano. Meno noto è il fatto che nel capoluogo vallone a parlare italiano sia anche il locale teatro dell’opera. Italiani, da qualche anno, sono i sovrintendenti: a Stefano Mazzonis di Palafrera è succeduto Stefano Pace, e nella direzione musicale Giampaolo Bisanti è subentrato a Speranza Scappucci. Tipica di un medio teatro italiano è anche la programmazione, con un’attenzione particolare al repertorio belcantistico, e prediligendo solidità vocale (gli interpreti chiamati sono peraltro spesso attivi sui nostri palcoscenici) a stravaganze registiche.

Pur non facendo parte del repertorio italiano strictu sensu, l’Idomeneo che inagura la stagione liegese è manifesto di questo paradigma. Una direzione efficace, cantanti di qualità, uno spettacolo non banale ma d’impostazione tradizionale. In questo il teatro vallone si pone all’estremo opposto dei colleghi fiamminghi, che proprio in questi giorni mandano in scena, ad Anversa, una Clemenza di Tito stravolta nella drammaturgia. Da questo lato del Belgio, la musica è diversa.

Veniamo a noi. Idomeneo è un’opera complessa. È forse, contemporanemante, l’ultima opera barocca e la prima opera romantica. Sta al confine tra l’opera seria italiana e la tragédie-lyrique francese (il modello, dopotutto, è l’Idomenée di André Campra). Eseguire oggi Idomeneo significa innanzitutto operare delle scelte lungo queste direttrici. A Liegi, affidare la bacchetta a Fabio Biondi significa chiaramente guardare verso il Settecento. Alla guida dell’orchestra dell’ORW, Biondi predilige sonorità asciutte, cercando di ottenere, con un’orchestra moderna, un effetto più simile a quello delle esecuzioni su strumenti originali, e a questo scopo talvolta stringe un po’ i tempi, senza cercare però né l’effetto speciale a tutti i costi né esagerazioni ritmiche. Le dinamiche quindi privilegiano un andamento a terrazze. Il bilanciamento dell’orchestra forse risente un po’ di questa impostazione, ché i flauti e soprattutto i clarinetti tanto amati da Mozart tendono un po’ a sparire quando intervengono gli ottoni. Come al solito, Biondi fa largo uso del fortepiano come continuo anche al di fuori dei recitativi secchi. Un altro aspetto che riporta la lettura dell’opera alla tradizione dell’opera seria italiana del Settecento. E sempre in ossequio a questa tradizione è la scelta di non eseguire l’intermezzo con il coro “Nettuno s’onori” e il balletto finale.

Anche i cantanti scelti per la produzione riflettono l’opzione per un Idomeneo che guarda all’Italia (e questo non sorprende, pur essendo in terra francofona, vista la premessa sul teatro di Liegi) Per un Idomeneo francese, si dovrà andare a Ginevra a febbraio ad ascoltare la produzione diretta di Leonardo Garcia Alarcón con Stanislas de Barberyrac e Lea Désandre. Ma non divaghiamo, e parliamo dei protagonisti.
Il tenore americano Ian Koziara è a tutti gli effetti un Heldentenor. Si può discutere sul fatto che Idomeneo necessiti di una voce più leggera, capace di destreggiarsi nelle colorature, ma quello di Koziara è un Idomeneo eroico, che sfida direttamente gli dèi e il Fato. Un timbro scuro, quasi baritonale — ma gli acuti non mancano — che rispecchia la tempesta interiore che il personaggio attraversa, facendo capire lo sconforto di un padre che ha promesso agli dèi il sacrificio del figlio. E non è un problema se le agilità in “Fuor del mar” (eseguita nella versione integrale, con tanto di variazioni) appaiono, rispetto ad altre esecuzioni, meno naturali e più sforzate: non sono uno show del tenore, è lo specchio dell’anima di Idomeneo. L’idea dello spettacolo è di rendere in tutto e per tutto Idomeneo un eroe tragico (specie nel finale dell’opera, come diremo più avanti), e a quest’intenzione ben risponde la voce di Koziara, soprattutto quando il suo canto deve farsi stentato e sofferente, anche se, qualche volta, va detto, rinuncia a un po’ di precisione per mantenere il volume.
Annalisa Stroppa, al debutto nella parte, è un Idamante deciso e pugnace. La sua voce, ampia e sonora, dà il meglio nel registro più grave, ma sa lasciare il posto ad accenti più lirici. Aspetti che si sommano nel quartetto “Andrò ramingo e solo”, dove Idamante riesce davvero a svettare. Dolcezza e lirismo non mancano certamente all’Ilia di Maria Grazia Schiavo, di grande esperienza nel repertorio mozartiano. Il suo punto di forza è l’espressività, la capacità di passare senza difficoltà dalla disperazione (“Padre, germani, addio!”) agli accenti amorosi di “Zeffiretti lusinghieri” — aria davvero deliziosa — o a toni eroici nel recitativo “Innocente è Idamante” (non dimentichiamo che, in quest’opera, gli accompagnati sono importanti quanto le arie).
Nino Machaidze (Elettra) è la vera trionfatrice della serata. Sempre a suo agio nelle vertiginose arie di furore, sfodera colorature pirotecniche senza mostrare la minima fatica, se non fosse per una non particolare chiarezza nell’articolazione del testo, che risulta talvolta inintelligibile. Per fortuna, come d’altronde è prassi, la grande aria del terzo atto (“Ceraste, serpenti”), che fu tagliata da Mozart per la prima rappresentazione dell’opera a Monaco, viene ripristinata. Machaidze sa trascinare il pubblico in quella che diventa una vera e propria scena di follia. Gli aspidi sembrano davvero evocati dal canto furioso di Elettra — e in effetti in scena appare una divinità ctonia armata di serpenti a trascinare con sé la sfortunata principessa.
Riccardo Della Sciucca è un Arbace convincente specie nelle colorature dell’aria del secondo atto “Se il tuo duol”. Peccato che, nel terzo, subisca il taglio di “Se colà nei fati è scritto”, aria più significativa della prima. Buoni i comprimari: il gran sacerdote Jonathan Vork e la voce soprannaturale di Inho Jeong, per cui si sceglie la versione più lunga, con l’accompagnamento dei tromboni.
Un po’ sottotono il coro, preparato da Denis Segond, che risulta inespressivo in alcuni momenti: un’assenza di dinamiche rovina un po’ il magnifico “Placido è il mar”, da cui non traspare la serenità del popolo troiano. Va meglio invece nella scena della tempesta.

Per finire, lo spettacolo di Jean-Louis Grinda, già sovrintendente a Liegi, è semplice ma efficace. È improntato a un’estetica classica — le scene, a cura di Laurent Castaingt si riducono a dei muri circolari bianchi, spostati secondo occorrenza. Una grande mano sembra indicare la vittima scelta dal fato, e un volto di gesso, calato dall’alto, domina la scena (è il dio Nettuno?). Non mancano rimandi mitologici, tra uomini con testa di toro e la dea dei serpenti a imitazione di una famosa scultura minoica. Le proiezioni digitali di Arnaud Pottier, che per una volta non sembrano tratte da un videogioco di bassa qualità, mostrano il mare onnipresente nell’opera, ora placido ora in tempesta.
Nell’insieme la messinscena funziona, e a parte qualche cliché evitabile (il personaggio che sta per uscire di scena e tutt’a un tratto ricorda che c’è la ripresa dell’aria, quindi si riporta in centro per proseguire) ben realizzata. Grinda non rinuncia a inserire un elemento di novità, mostrando Idomeneo, pur perdonato dal dio, sofferente e poi morente alla fine dell’opera, ferito nel tentato sacrificio, e un’Ilia che rimuove quasi con violenza il cadavere d’Idomeneo dal trono per insediarvi Idamante incoronato. Non è un tradimento dello spirito dell’opera. Di fronte al problema del lieto fine, imposto dalle convenzioni dell’opera seria ma in contrasto con i principî della tragedia, si tende, in certe produzioni, a eliminare i giubili finali. Completando invece il sacrificio di Idomeneo, Grinda recupera il carattere tragico della vicenda senza dover ricorrere a tagli o modifiche testuali.
Nel complesso una rappresentazione di grande successo, ben salutata anche dal pubblico, a dimostrazione che anche senza grandi star e mezzi imponenti si può portare sul palcoscenico un repertorio non troppo comune e spesso considerato — a torto — difficile da capire. Una volta, si sarebbe detto questo essere il ruolo dei teatri “di provincia” italiani. Una delle istituzioni che meglio incarna questo spirito è decisamente il teatro dell’opera di Liegi.

Opéra Royal de Wallonie – Stagione 2023/24
IDOMENEO RE DI CRETA K.366
Opera seria in tre atti
Libretto di Giambattista Varesco

Musica di Wolfgang Amadeus Mozart

Idomeneo Ian Koziara
Idamante Annalisa Stroppa
Ilia Maria Grazia Schiavo
Elettra Nino Machaidze
Arbace Riccardo Della Sciucca
La voce Inho Jeong
Gran sacerdote di Nettuno Jonathan Vork

Orchestra e coro dell’Opéra Royal de Wallonie
Direttore Fabio Biondi
Maestro del coro Denis Segond
Regia Jean-Louis Grinda
Scene e luci Laurent Castaingt
Costumi Jorge Jara
Video Arnaut Pottier

Liegi, 22 settembre 2023

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