Nata per lo streaming nel novembre 2020, uno dei periodi più bui dell’emergenza Covid, la produzione fiorentina di Otello si rivela finalmente al pubblico in una veste rinnovata con la regia libera dal distanziamento e con una locandina in buona parte diversa rispetto a quell’unica recita a teatro vuoto.
L’allestimento di Valerio Binasco continua a non brillare per originalità. La vicenda viene ambientata in epoca moderna in un luogo martoriato dalla guerra, con evidenti richiami al Medio Oriente, ma a parte il panorama urbano sventrato che fa da scena fissa, succede quello che si è visto in tutti gli Otello di tradizione, con le masse pressoché statiche, gli interpreti in pose piuttosto stereotipate e movimenti non sempre ben interiorizzati. L’unico personaggio su cui la regia, qui ripresa da João Carvalho Aboim, insiste maggiormente, approfondendone la gestualità, è Jago, il cui interprete Luca Salsi è anche l’unico del trio protagonista rimasto dalla produzione originale. Si perde quindi molto la focalizzazione sullo sgretolamento della coppia di amanti che si era vista al debutto, anche se il letto in mezzo alle rovine dell’atto finale, rimane un’immagine piuttosto d’impatto nel rimarcare la solitudine creatasi attorno a Desdemona e alla coppia, costretta a fare i conti con sé stessa e i suoi problemi fino al tragico epilogo. Certo è che se le luci di Pasquale Mari rimangono piuttosto suggestive e adatte per le scene di Guido Fiorato, i costumi di Gianluca Falaschi si sarebbero potuti in parte ripensare per valorizzare i nuovi interpreti, in particolare sul versante femminile. A conti fatti, rimane uno spettacolo che poco aggiunge a quello che già sappiamo di Otello ma che illustra bene la storia senza disturbare.
Sul fronte musicale troviamo ancora una volta Zubin Mehta alla guida di un’Orchestra del Maggio Musicale in forma smagliante. Come ormai usuale, si apprezzano la cesellatura dei vari temi e dei particolari della partitura, uniti in un insieme lussureggiante, dove il suono si fa tonante e magniloquente appena possibile, ma sempre gestito con la solita maestria. I tempi si dilatano spesso più del necessario, anche se meno rispetto al 2020, e talvolta alcune agogiche fanno scattare incomprensioni con il palco per cui non sempre la concertazione risulta pulita. Anche stavolta Mehta realizza una direzione da vecchio maestro che accosta Otello a Wagner, tanto che alcuni passaggi hanno una dimensione assolutamente tristaniana, ma che si esaurisce nella cura edonistica del suono piuttosto che nella narrazione di una vicenda e nella sua esaltazione teatrale.
Il cast in compenso risulta piuttosto ben assortito e in linea con la tradizione. Arsen Soghomonyan è un Otello figlio della tradizione novecentesca, dal timbro brunito e dagli acuti di forza. Ecco quindi che brilla per saldezza vocale nella sortita di “Esultate”, ma perde poi fibra nei centri col progredire della recita. Così certe soluzioni di fraseggio appaiono monocordi o poco incisive, ma allo stesso tempo alcuni momenti come “Dio mi potevi scagliar” colpiscono per la proprietà di accenti e l’intensità del canto. Tuttavia l’Otello di Soghomonyan risulta nel complesso convincente, anche dal punto di vista interpretativo.
Zarina Abaeva incarna una Desdemona matronale, distinguendosi per acuti saldi e discese sapienti nei gravi, mentre i centri risultano leggermente più opachi: così il soprano sa farsi valere in pezzi ardui come il Finale III, dove la voce svetta senza problemi, mentre brani più topici come la canzone e la preghiera del quarto atto risultano più ordinari anche in virtù di un gioco di dinamiche poco variegato. Come già accennato, Luca Salsi nel ruolo di Jago è l’unico rimasto del cast originale e si apprezzano l’impegno scenico così come il maggior controllo dell’emissione e varie soluzioni di fraseggio. Laddove la voce rimane ragguardevole per volume ed estensione, talvolta tuttavia l’interprete tende a caricare eccessivamente l’espressività di certi versi che appaiono così eccessivi.
Joseph Dahdah si fa annuncia re indisposto a inizio della recita e si avverte effettivamente una qualche fatica nella salita agli acuti, ma riesce comunque a dimostrare di essere un Cassio appropriato sia come vocalità che come interpretazione. Adriano Gramigni è un Lodovico dall’ampio strumento, anche se non si trova sempre a suo agio nei gravi. Francesco Pittari disegna un Roderigo assai appropriato grazie a una bella voce squillante. Emilia Filipponi è una Emilia che brilla soprattutto nella zona centrale, ma che sa valorizzare bene tutti i suoi interventi. Si segnalano poi il Montano più che corretto di Eduardo Martínez e l’ottimo araldo di Matteo Mancini.
Degna di nota infine la prestazione del Coro preparato da Lorenzo Fratini, sia nei grandi momenti drammatici, dove la compagine sa costruire un muro di suono pari a quello orchestrale, che in quelli più elegiaci.
La seconda recita presenta il teatro esaurito in ogni settore, con un pubblico che sancisce un vero e proprio successo alla fine con punte di entusiasmo per i protagonisti, in particolare per Salsi, e – come ormai prevedibile – per Mehta.
85° Festival del Maggio Musicale Fiorentino
OTELLO
Dramma lirico in quattro atti
Libretto di Arrigo Boito
Musica di Giuseppe Verdi
Otello Arsen Soghomonyan
Desdemona Zarina Abaeva
Jago Luca Salsi
Cassio Joseph Dahdah
Roderigo Francesco Pittari
Lodovico Adriano Gramigni
Montano Eduardo Martínez
Un araldo Matteo Mancini
Emilia Eleonora Filipponi
Orchestra, Coro e Coro delle voci bianche
del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Zubin Mehta
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Maestro del Coro di voci bianche Sara Matteucci
Regia Valerio Binasco
Ripresa da João Carvalho Aboim
Scene Guido Fiorato
Costumi Gianluca Falaschi
Luci Pasquale Mari
Allestimento del Teatro del Maggio
Firenze, 23 maggio 2023