La Spagna di Carmen è uno stereotipo, si sa. Georges Bizet d’altronde non era mai stato nella penisola iberica e tutte le sue conoscenze venivano dalla frequentazione del salotto parigino dei coniugi Viardot, a lungo un centro di irradiazione della cultura ispanica nella capitale francese: Pauline infatti aveva in repertorio un gran numero di melodie spagnole che spesso presentava nei suoi ricevimenti accompagnata dal pianoforte, Louis Viardot consigliava al compositore sulla letteratura francese, mentre fu Ivan Turgenev a convincere definitivamente i librettisti Ludovic Halévy e Henri Meilhac che la novella di Merimée era un’ottima trama per un’opera. Nella Parigi della giovane Terza Repubblica, Carmen rappresenta così l’apice di una “Iberomania” che investe gradualmente la Francia lungo tutto l’Ottocento. Non è tuttavia un caso che quando l’opera venne presentata per la prima volta a Madrid nel 1887, dopo il successo postumo del titolo nel resto d’Europa, l’accoglienza non fu così benevola, dato che quella immagine della Spagna era una cartolina da cui gli spagnoli si sentivano ormai ampiamente emancipati e più vicini al mondo europeo. Ma il contesto andaluso di Carmen è un puro pretesto per permettere al pubblico parigino dell’epoca di filtrare attraverso l’esotismo la vicenda narrata, cioè quella di una donna libera “comme l’air”, perfetto archetipo della libertà, e che la società fatica ad accettare.
Concentrarsi sul dramma è infatti la scelta operata da Matthias Hartmann nell’allestimento che approda a Firenze dalla Opernhaus di Zurigo, dopo che è stato accantonato il progetto di una nuova produzione firmata da Piero Faggioni. La scenografia di Volker Hintermeier è essenziale: una pedana circolare inclinata occupa tutto il palcoscenico, come se fosse il centro di una arena, e ogni atto è connotato da pochi elementi come l’ombrellone dei soldati, le sedie sotto un traliccio da Lillas Pastia o il grande ulivo finale. Grazie alle luci di Valerio Tiberi, emerge quindi una atmosfera mediterranea generica ma abbacinante, dove il dramma dei personaggi può deflagrare in tutta la sua potenza. La difficoltà di un tale allestimento sta infatti nel lavoro sugli interpreti e sulle masse, chiamati così a dare il contributo fondamentale in uno spettacolo esteticamente essenziale. Ciò fu fatto quando l’allestimento debuttò a Zurigo nel 2008 con protagonisti Vesselina Kasarova e Jonas Kaufmann al massimo delle loro possibilità, immortalato anche da un DVD. Hartmann aveva infatti costruito con quella coppia un gioco teatrale fatto di sguardi, sussurri e piccoli gesti: Don José matura da adolescente a uomo dai sentimenti incontrollabili che si vede scontrare fatalmente con una donna che vuole invece sempre avere il controllo, in una continua incomprensione linguistica e di segni dal tragico destino. Nelle riprese e con altri interpreti tutta la cura dei gesti e dei particolari va a perdersi e un allestimento dirompente si tramuta in uno spettacolo efficace e bello, ma fondamentalmente tradizionale. La regia, anche se non risulta totalmente assimilata in alcuni momenti, rende comunque la narrazione fluida e scorrevole, focalizzando l’attenzione sulla coppia dei protagonisti, sicuramente i personaggi meglio caratterizzati.
Dal podio Zubin Mehta disegna una Carmen lussureggiante nel suono e ponderata nelle agogiche. L’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, compatta e in ottima forma, viene sapientemente valorizzata in ogni sua componente, attraverso sonorità morbide e vellutate. I tempi sostanzialmente lenti da un lato azzoppano il fluire teatrale, soprattutto in passi corali dove l’azione deve procedere serrata (si veda lo scontro delle sigaraie “Au secours!” al primo atto e il quintetto dei contrabbandieri del secondo), dall’altro creano attimi musicalmente ipnotici che sembrano quasi usciti da Strauss o Zemlinsky, anche per il colore decadente che spesso fa capolino in questa direzione. La risultante è una Carmen dal sapore più sinfonico che teatrale, ma con un buon bilanciamento sonoro tra palco e buca.
Il cast si rivela piuttosto ben assortito, a partire dalla protagonista. Clementine Margaine ha la voce perfetta per Carmen: timbro scuro, piuttosto seducente, una linea salda e omogenea e un volume ragguardevole. Sa inoltre piegare la voce a un fraseggio ricercato e intrigante, che fa sembrare spesso il suo personaggio più cervellotico di quello che è. Margaine disegna infatti una Carmen costantemente in bilico tra la creatura intellettuale e la tipica donna sensuale, ma sembra perennemente indecisa su quale direzione far prendere al personaggio.
Francesco Meli trova in Don José i migliori esiti vocali della stagione, anche in virtù di una tessitura del ruolo che non va a sollecitare troppo il registro acuto. Così la voce può espandersi facilmente in sala, mostrando tutte le sue qualità tecniche, e si può ascoltare un “La fleur que tu m’avais jetée” ben cesellato nel suono. Manca tuttavia una vera idea del personaggio e, anche nel finale, il tenore non appare espressivamente a suo agio, limitandosi a cantare e a portare avanti l’azione scenica senza che si percepisca una vera interpretazione.
Valentina Naforniţă disegna una Micaela piuttosto tradizionale, ma stavolta il ruolo risulta più nelle sue corde rispetto ad altri sostenuti nelle passate stagioni fiorentine. Lo strumento è connotato da un bel timbro pastoso, le salite agli acuti risultano piuttosto facili, e grazie a ciò il soprano sa ritagliarsi il suo momento di gloria nell’aria del terzo atto. Mattia Olivieri dona a Escamillo un bell’impeto giovanile. Laddove la chanson del toreador risulta meccanica nel fraseggio, nel resto del ruolo il baritono mostra più scioltezza. La voce rimane comunque di apprezzabile caratura e di buon volume, e colpisce anche la sua padronanza spigliata del francese parlato.
Nella schiera di comprimari emergono soprattutto le donne. Aitana Sanz Pérez è una Frasquita dagli acuti svettanti, mentre Xenia Tsiouvaras dona un timbro caldo e morbido alla sua Mercédès. Ben assortita risulta poi la coppia di contrabbandieri interpretati da William Hernandez (Dancaïre) e Oronzo d’Urso (Remendado). Volodymyr Morozov è uno Zuniga corretto, mentre Ludovico Filippo Ravizza appare poco incisivo nei panni di Moralès. Ottima la suadente venditrice d’arance di Amanda Ferri.
Non si può infine non lodare il Coro preparato da Lorenzo Fratini, che offre una prestazione in crescendo per precisione e colori, mentre ben centrato risulta il Coro delle voci bianche preparato da Sara Matteucci.
Il pubblico gremisce in ogni ordine la Sala grande e si dimostra assai coinvolto durante l’opera. Alla fine, si registra un caloroso successo con punte di entusiasmo per i protagonisti e per Mehta, mentre qualche contestazione viene rivolta, anche ingiustamente, agli artefici della messa in scena.
Teatro del Maggio – Stagione 2022/23
CARMEN
Opéra-comique in quattro atti
Libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy
Tratto dalla novella di Prosper Mérimée
Musica di Georges Bizet
Edizione critica di Fritz Oeser
Carmen Clémentine Margaine
Don José Francesco Meli
Micaëla Valentina Naforniţă
Escamillo Mattia Olivieri
Moralès Lodovico Filippo Ravizza
Zuniga Volodymyr Morozov
Le Dancaïre William Hernandez
Le Remendado Oronzo D’Urso
Frasquita Aitana Sanz Pérez
Mercédès Xenia Tsiouvaras
Une merchande des oranges Amanda Ferri
Un bohémien Nicolò Ayroldi
Orchestra, Coro e Coro delle voci bianche
del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Zubin Mehta
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Maestro del Coro di voci bianche Sara Matteucci
Regia Matthias Hartmann
Scene Volker Hintermeier
Costumi Sue Bühler
Luci Valerio Tiberi
Allestimento ripreso dalla Opernhaus Zürich
Firenze, 28 marzo 2021