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Festival di Salisburgo 2023 – Macbeth (con Asmik Grigorian)

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Salisburgo ha ormai definitivamente cambiato diva, e così dopo Anna Netrebko ha incoronato Asmik Grigorian come regina incontrastata del Festival, che la pone ogni anno al centro della programmazione. Dopo Marie del Wozzeck, Salome, la Chrysothemis di Elektra e le tre donne principali del Trittico, il soprano lituano quest’anno si cimenta in un repertorio da lei poco frequentato come quello verdiano, affrontando per la prima volta la deuteragonista femminile del Macbeth. Tanto inaspettato questo debutto come Lady Macbeth quanto sono inaspettati in fin dei conti i risultati. Grigorian esce sicuramente vittoriosa su molti fronti: il registro acuto è saldissimo, quasi sprezzante, così come bene risuonano i centri, mentre qualche affondo grave può risultare leggermente opaco, ma niente che non si sia sentito da tante altre sue colleghe. Due sono i difetti riscontrabili di questa Lady: la scarsa padronanza delle agilità, che risultano talvolta farraginose, e una dizione a tratti perfettibile. Ciò che invece colpisce è la mutevolezza del fraseggio, che insieme alle ormai riconosciute doti attoriali e al debordante carisma, fanno sì che Grigorian costruisca un personaggio quasi inedito ed estremamente convincente: il risultato è una Lady che emerge soprattutto in quanto donna con tutte le sue fragilità e insicurezze, ma anche con la sua sensualità e la voglia di affermazione; è da questo che scaturisce la malvagità, lenta e inesorabile, con cui istiga un marito succube al primo omicidio, quasi per scommessa o gioco, per trasformarlo in una macchina mortale che la trascina con sé nell’abisso.

Si può quindi ben capire allora perché accanto a una Lady così catalizzante, ci sia un Macbeth meno carismatico come Vladislav Sulimsky, che canta bene, con una voce che ben si dispiega nella grande sala, ma che appare interpretativamente un poco pallido, specie nella parte iniziale, quando appiattisce le dinamiche di “Mi si affaccia un pugnal” salvo poi carburare nell’ultima parte dell’opera.
Migliore risulta il Banco di Tareq Nazmi, che sa piegare la sua voce calda ad accenti quasi carezzevoli anche quando esprime il suo terrore. Al contrario Jonathan Tetelman disegna un Macduff estremamente appassionato: la voce dal caldo timbro tenorile trova facile sfogo in acuto, ispessendosi e trasformando le note in vere e proprie bombe di suono, tanto che l’esecuzione di “Ah la paterna mano” viene accolta da un successo al limite del tifo da stadio.
Tra i comprimari vale la pena menzionare il Malcom un po’ irruento ma efficace di Evan Le Roy Johnson, la calibrata Dama di Caterina Piva e il buon Medico di Aleksei Kuligin.

Le fila musicali dello spettacolo sono tenute in modo estremamente coerente da Philippe Jordan che esegue uno dei Macbeth più teatrali di cui si abbia memoria. Jordan va al cuore del dramma e tratteggia un vero e proprio viaggio a rotta di collo nelle profondità dell’abisso umano, grazie a tempi per lo più spediti ma che si dilatano anche in momenti di sospensione che quasi atterriscono. Così si riscontra un lavoro calibratissimo sulle dinamiche e sulla tinta stessa dell’orchestra, di cui è sommo esempio il famoso duetto tra i protagonisti nel primo atto, tutto fatto come un sussurro notturno, mentre emergono dettagli continui dalla trama orchestrale. Merito di ciò va ovviamente anche ai Wiener Philarmoniker, non sempre precisissimi (ma più del Coro della Wiener Staatsoper, qui più impacciato del solito) ma che seguono con estrema convinzione Jordan in una lettura viva e palpitante dell’opera verdiana.

Resta da dire della parte visiva. Krzysztof Warlikowski non arriva oggi al Macbeth: già nel 2010 il regista aveva messo in scena questo stesso titolo verdiano alla Monnaie di Bruxelles riscuotendo un enorme successo di critica. Di quello spettacolo il regista mantiene molte delle tematiche, ma le amplia e le arricchisce. Uno dei temi principali è l’attenzione ai bambini che sono in qualche modo onnipresenti in tutta la vicenda: questo Macbeth inizia con la Lady che va a una visita ginecologica (forse per abortire o forse per attestare che non potrà avere figli), mentre tra le streghe iniziano ad apparire bambini con volti totalmente astratti. I bambini ricompaiono poi sui vassoi del banchetto, come apparizioni nel terzo atto e durante l’aria di Macduff assistiamo all’uccisione di tutta la prole come se Lady Macduff fosse una Frau Goebbels. Macbeth e la Lady infatti non hanno figli ma sono attorniati da persone che li hanno, un fattore di profonda angoscia per il protagonista dato che la profezia indica come futuri re proprio la stirpe di Banco. L’uccisione dei figli altrui è quindi fondamentale per tenere il potere, ma questa corsa al macello per salvare la corona porterà solo a un atroce finale in cui i due coniugi verranno giustiziati dal popolo in una immagine molto simile a quella finale dei coniugi Caeuşescu. Per questo, tutta la vicenda avviene in una sala della pallacorda, che vuole ricordare, secondo il Dramaturg Christian Longchamp, il giuramento fatto dal Terzo Stato in una sala simile il 20 giugno 1789, che decretò in qualche modo l’inizio della perdita dei privilegi delle classi alte (un parallelo tirato fin troppo per i capelli a dire il vero). Così in questa sala assistiamo alla caduta di Macbeth, reo di essere schiavo della brama di potere, affidandosi troppo ciecamente alle profezie delle streghe (a ciò fa riferimento l’inserimento prima dell’ultimo coro di “Mal per me che m’affidai” della prima versione dell’opera, così come gli spezzoni dell’Edipo re di Pasolini che vediamo proiettati sulle pareti della sala). Warlikowski però in questo allestimento dà particolare rilievo alla figura di Lady Macbeth: è presente in scena fin dall’inizio, seduta su una lunga panchina al lato opposto del marito in un vuoto comunicativo reso palpabile per tutta la prima scena; la comunicazione riprende dalla macchinazione del primo omicidio, e sarà ciò a cementificare di nuovo l’unione della coppia simboleggiata anche dallo scavalcamento della stessa panchina nel corso del primo duetto con lei che guida lo stesso Macbeth, come se insieme attraversassero la soglia del non ritorno. La Lady è in questo spettacolo l’elemento catalizzatore grazie alle dote sceniche e al carisma di Asmik Grigorian, che trasforma il Brindisi del secondo atto in un momento quasi pop, mentre la scena del sonnambulismo diventa vera e propria follia, fino allo scarto inedito: la Lady non muore ma si trasforma in un personaggio che unisce il carisma di una diva ormai perduta che ricorda quasi Norma Desmond alla devozione al marito degna di una moglie di un dittatore, fino appunto all’uccisione finale.

Questo scavo psicologico nei rapporti di coppia non nasconde però le pecche dello spettacolo: Warlikowski sembra quasi dimenticarsi di indagare chi siano effettivamente le streghe (e in Macbeth ciò è un problema non secondario) e quasi si rifiuta di lavorare sulle masse lungo praticamente tutta l’opera, motivo plausibile del taglio del coro “Ondine, silfidi”. Manca inoltre un effettivo lavoro sulla compenetrazione tra musica e dato visivo, tanto che spesso si ha l’idea che la musica sia quasi una colonna sonora delle azioni piuttosto che il motore stesso di essa. Se vi fosse stata più attenzione a questi dettagli, saremmo stati di fronte a un Macbeth veramente epocale.
Tuttavia il successo di pubblico risulta quasi scontato nell’autentico trionfo che accoglie gli interpreti e il direttore a fine recita, segnando così un’altra sfida riuscita sia per la diva che per il Festival.

Salzburger Festspiele 2023
MACBETH
Melodramma in quattro atti
Libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi

Macbeth Vladislav Sulimsky
Lady Macbeth Asmik Grigorian
Banco Tareq Nazmi
Macduff Jonathan Tetelman
Malcom Evan LeRoy Johnson
Dama di Lady Macbeth Caterina Piva
Un medico Aleksei Kuligin
Un domestico/Un araldo Grisha Martirossian
Un sicario Hovhannes Karapetyan

Wiener Philarmoniker
Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor
Direttore Philippe Jordan
Maestro del coro Huw Rhys James
Regia Krzysztof Warlikowski
Scene e costumi Małgorzata Szczęśniak
Luci Felice Ross
Video Denis Guéguin, Kamil Polak
Coreografie Claude Bardouil
Drammaturgia Christian Longchamp

Salisburgo, Großes Festspielhaus, 19 agosto 2023

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