In un famoso passo del Nome della Rosa padre Jorge si scaglia contro il riso, poiché “libera il villano dalla paura del diavolo”. Una tesi che evidentemente condivide chi ha preparato questa edizione salisburghese delle Nozze di Figaro mozartiane. Niente umorismo, via ogni elemento di commedia. Martin Kušej ambienta l’opera in un albergo (che novità!) ma aggiungendo al mix il cocktail di droga, sesso e violenza immancabile nelle produzioni operistiche di area tedesca. E così tutti i personaggi sono nervosi ed esasperati, minacciano e sono minacciati da innumerevoli armi da fuoco. Dove sono i bei momenti? tutti scomparsi, anzi, tagliati da un’inesorabile accetta che colpisce tutto ciò che rende l’azione meno subitanea. Via la ripetizione di “Giovani liete”, via un trio del secondo atto, non parliamo delle arie di Marcellina e Basilio. Ma soprattutto, una strage di recitativi che non risparmia nemmeno battute iconiche dell’opera.
Spesso, di fronte a spettacoli di questo tipo, la reazione più comune è un senso di rabbia e di tradimento, come tradito è stato, senz’ombra di dubbio, lo spirito mozartiano delle Nozze. Il problema è che stavolta, tutto sommato, il gioco regge, e non si esce dalla Festspielhaus arrabbiati e delusi. Che succede? Andiamo con ordine.
Di certo non è la compagnia di canto a deludere. Figaro (Krysztof Bączyk) e il Conte (Andrè Schuen), va detto, sono un po’ penalizzati dal taglio sempre violento imposto ai loro personaggi, ma li interpretano con coerenza. Il Conte accentua il lato vilain, Figaro è più vendicativo. La Contessa (Adriana González) convince con una grande espressività (e dei pianissimi meravigliosi in “Dove sono”). Sabine Devieilhe (il cui debutto nell’opera era uno dei principali motivi d’interesse di questa produzione) non ha, nel ruolo di Susanna, impervie colorature in cui fare sfoggio del suo incredibile talento, ma brilla nei piccoli dettagli (su tutti: le deliziose fioriture nel fare l’eco alla “Canzonetta sull’aria”) e nella voce cristallina con cui affronta la grande aria del quarto atto. Per Lea Desandre, specialista nei ruoli en travesti, Cherubino è una sorta di marchio di fabbrica. Una parte che le calza a pennello e che esegue alla perfezione. Il Bartolo di Peter Kálmán invece non convince del tutto nello scioglilingua de “La vendetta”, risolto frettolosamente e senza intenzione.
E la direzione? Raphaël Pichon ha già fatto tanto Mozart e tanto Mozart iperclassico (a partire dall’Idomeneo dell’anno scorso a Aix). Fin dall’ouverture si vede però che qui la storia è diversa. Dirige plasmando con le mani il suono, microgestendo le dinamiche di ciascuno strumento come se suonasse tutto in prima persona. Il problema è che in buca ci sono forse troppi esecutori, e soprattutto, a differenza dell’ensemble Pygmalion che Pichon guida normalmente, usano strumenti moderni. Ne risulta un Mozart molto spostato in avanti, molto Beethoven e poco Haydn. È l’ouverture delle Nozze di Figaro o è Leonora 3? Non c’è dubbio che si tratti di una lettura delle Nozze opposta a quella in cui la commedia segue le sue convenzioni e, nell’integralità dell’esecuzione, ne risaltano le proporzioni classiche. Qui invece è tutto coscientemente sproporzionato, più drammatico, oscuro, tragico: ma coerente con l’impostazione drammaturgica. Come coerente con l’impostazione drammaturgica è la resa nervosa del continuo per i recitativi (o di quello che ne rimane), con il fortepiano che spesso non esegue, lasciando all’immaginazione dell’ascoltatore, le risoluzioni delle dominanti. Ovviamente non mancano le classiche pichonate come le corone esasperate o le dinamiche che variano repentinamente. Funziona con i Pygmalion nel repertorio barocco, qui forse un po’ meno, e in generale l’orchestra tende ad essere un po’ sovrastante.
Quindi, si diceva della regia. Noiosa, sicuramente, ma curata. Sbagliata, ma coerente. Qualche buona idea: Susanna e Barbarina che litigano alla toilette lanciandosi carta igienica; il processo in un bar dove sono tutti ubriachi e di cui don Curzio è il barista, e il giardino del finale con una rigogliosa vegetazione in cui avviene il gioco degli scambi. Oltre a questo, poco.
Come ci si sente alla fine di una recita delle Nozze pesantemente tagliata, ma ben cantata, con una direzione interessante, ma distante dalle mie idee, con una regia che non rispetta l’ambientazione e il libretto (e non importa), che stravolge lo spirito dell’opera, ma non manca di attenzione? Incredibilmente, non così male. Un bello spettacolo, ma quello spettacolo non era Le nozze di Figaro.
Salzburger Festspiele 2023
LE NOZZE DI FIGARO
Commedia per musica in quattro atti K.492
Libretto di Lorenzo Da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Il Conte di Almaviva Andrè Schuen
La Contessa di Almaviva Adriana González
Susanna Sabine Devieilhe
Figaro Krzysztof Bączyk
Cherubino Lea Desandre
Marcellina Kristina Hammaström
Bartolo Peter Kálmán
Basilio Manuel Günther
Don Curzio Andrew Morstein
Barbarina Serafina Starke
Antonio Rafał Pawnuk
Wiener Philhamoniker
Direttore Raphaël Pichon
Konzertvereinigung del coro dell’opera di Vienna
Maestro del coro Jörn Hinnerk Andresen
Regia Martin Kušej
Scene Raimund Orfeo Voigt
Costumi Alan Hranitelj
Luci Friedrich Rom
Sound design Max Pappenheim
Drammaturgia Olaf A. Schmitt
Nuova produzione
Salisburgo, Haus für Mozart, 5 agosto 2023