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Festival di Salisburgo 2023 – Falstaff

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Mentre una cellula temporalesca si abbatteva violentemente e inaspettatamente su Salisburgo nella serata di sabato 12 agosto, alla Grosses Festspielhaus andava in scena la prima di Falstaff, in un nuovo allestimento firmato dal sodalizio artistico costituito dal regista Christoph Marthaler e dalla scenografa-costumista Anna Viebrock. Il pubblico patinato che accorre alle prime del festival estivo, insieme alle diverse testate giornalistiche presenti in sala, hanno decretato, verrebbe da dire «senza se e senza ma», il flop di questa nuova produzione, accolta da una marea di fischi e buh provenienti sia dalla platea che dalla galleria. Tutto il team creativo è stato subissato di contestazioni, mentre qualche sparuta contestazione mista ad applausi è stata rivolta alla direzione musicale di Ingo Metzmacher. La serata sarebbe potuta trasformarsi in un disastro totale, visto anche l’annuncio a inizio serata della forma di salute subottimale del protagonista del titolo Gerald Finley, a causa dei postumi di una laringite. Invece, per fortuna, la compagine di canto ha convinto nella sua interezza. Tra i più apprezzati, l’italiana Giulia Semenzato.

Lo spettacolo ideato da Christoph Marthaler partirebbe anche bene e in effetti l’inizio, o perlomeno buona parte del primo atto, è abbastanza accattivante, ma si sviluppa poi senza né capo né coda, diventando caotico e aggrovigliato, così intriso com’è di farsa senza senso e citazioni cinematografiche che rimangono fini a se stesse, senza una reale novità di idee. Il regista vuole infatti omaggiare Orson Welles (1915-1985), concependo la messa in scena come la ripresa di un film su Falstaff girato proprio dal regista Orson Welles, interpretato dall’attore Marc Bodnar. Abbiamo due Sir John in scena quindi, uno in vesti di attore-cantante (Gerald Finley), l’altro in vesti di regista, quest’ultimo munito di pancione che rimanda inequivocabilmente al personaggio dell’opera. Non si tratta di pura immaginazione registica ma di rimando allo stesso Welles che di Falstaff fu interprete in Chimes at Midnight (1966). E proprio come citazione del film, al termine Welles entra in scena indossando un’armatura e a lui spetta esclamare al termine “Tutti gabbati”.

Il regista priva l’opera della componente comica, salvo poi sostituirla con una farsa senza fine, che non solo non funziona, ma che dopo un po’ arriva anche a irritare. Le scene curate da Anna Viebrok, che si allargano sul palco enorme del teatro, impattando anche sulla resa acustica del canto, sono suddivise in tre zone: una a sinistra con una piccola sala di proiezione cinematografica dove a inizio spettacolo Orson Welles rivede parte del suo film su Falstaff, una centrale dove si trova il set di ripresa vero e proprio e una di destra con una piscinetta vuota e dei lettini. Alcune parti della scenografia, piscina inclusa, sono ispirate a un altro film di Welles, The Other Side of the Wind. Accanto alla piscina, il personaggio aggiunto dell’assistente alla regia (interpretato da Joaquin Abella) non solo mima la rovesciata della cesta nel fossato-piscina ma insegna allo stesso Falstaff (attore) come tuffarsi con stile. Ma non è il personaggio Falstaff a cadere nell’acqua immaginaria alla fine del secondo atto, bensì il regista alter ego, ormai sempre più identificato con Sir John. I movimenti scenici da un lato all’altro del palcoscenico da parte di cantanti e figuranti, uniti allo spostarsi di elementi scenici, alcuni ingombranti e inutili, finiscono per stancare e distrarre il pubblico. Anche le scene dal carattere amoroso tra Nannetta e Fenton perdono d’efficacia, anche se l’idea di farli amoreggiare tra le poltrone del cinema è simpatica. Non mancano poi i riferimenti al “Me too” nell’industria cinematografica, e nella burla ai danni di Sir John, Alice Ford finisce per sedersi sulla sedia da regista e le altre comari prendono controllo del set, in una sorta di ribellione contro il sistema.
Niente corna per Sir John, se non quelle stampate su una polo bianca, in linea con il concept registico della continua oscillazione tra realtà e finzione. Stampe e colori per i costumi anni ’60 del quartetto femminile e delle comparse. Altrove, nel reparto maschile troviamo invece jeans a zampa, stivali alla texana, berretti e giacche color cammello. Oltre a quello dell’assistente alla regia, simpatico il cameo dell’altro personaggio aggiunto, quello di Robinia, interpretata da Liliana Benini.

Una parabola simile a quella della regia, segue la direzione musicale. Si inizia in maniera promettente con Ingo Metzmacher che tiene saldamente le redini dei Wiener Philharmoniker plasmando un suono scattante, denso, teso, ritmicamente serrato e sonoramente moderno. Peccato che questo finisca poi, non solo per soverchiare i cantanti in diverse occasioni, ma anche per essere abbastanza uniforme nel privare la partitura di quel continuo cangiare di effetti e della sua vitale brillantezza. Deboli poi i momenti di insieme con i passaggi sillabici e l’accompagnamento orchestrale disconnessi sia per sbilanciamento di volume che per musicalità. Ad avviso di chi scrive è forse questa la pecca più grande della direzione. In qualche modo è come se dalla buca ci si sia via via arresi al caos registico visto in scena. La fuga finale finisce poi per creare un effetto anticlimax, un finale non proprio esaltante che ha fatto scattare le contestazioni, dopo che l’attenzione si era spostata dalla musica alla trovata dell’entrata in scena di Orson Welles in armatura.

Per fortuna va meglio sul versante del canto. Nonostante lo spauracchio della laringite che lo ha afflitto nei giorni antecedenti alla prima e che lascia sicuramente degli strascichi nel cantare a certe altezze e in forte, Gerald Finley canta comunque bene per la sua forma fisica e si conferma un cantante di classe, come da noi constatato in altre produzioni al Covent Garden. Ma il suo pregio più grande è quello di dare al personaggio una dignità dalle tinte melanconiche. Un Falstaff magro e senza pancia e che nella scena della burla ai suoi danni viene costretto controvoglia a indossare una cintura-pancera. Se solo avesse in suo aiuto una regia diversa, potrebbe veramente fornire un ritratto di valore del personaggio del titolo. Simon Keenlyside come Ford è vocalmente opaco ma scenicamente efficace nell’essere buffo, con i suoi jeans a zampa portati ad altezza ascellare. Apprezzabile l’Alice Ford di Elena Stikinha che spicca per bel timbro. Cecilia Molinari fornisce un buon contributo come Meg, in termini di prestazione scenica; un peccato che il ruolo non faccia emergere tutte le sue doti da cantante. Tanja Ariane Baumgartner sfoggia delle note di petto ben centrate ma non eccessivamente gonfiate; la sua è una buona Quickly che fa sorridere con il suo “Reverenza!”, senza essere troppo sbragata. Giulia Semenzato canta con estremo gusto il ruolo di Nannetta, fila i suoni che è un piacere e proietta dei bellissimi pianissimi nonostante le difficoltà acustiche dell’impianto scenico. Abbiamo temuto per la sua incolumità quando ha dovuto salire su un’impalcatura per cantare “Sul fil d’un soffio etesio”, ma nonostante la trovata registica porta a casa l’aria più che bene. Anche lei comunque avrebbe brillato maggiormente con una regia meno pasticciata e più focalizzata sui personaggi. Bogdan Volkov nei panni di Fenton sfoggia uno strumento chiaro dall’elegante cantabilità, messa a servizio di “Bocca baciata non perde ventura” e “Dal labbro il canto estasiato vola”. Più che funzionali il Dottor Cajus di Thomas Ebenstein, il Bardolfo di Michael Colvin e il Pistola di Jens Larsen.

Al termine sono “tutti gabbati”, anche gli spettatori, che probabilmente si aspettavano – giustamente – qualcosa di meglio, visti i quattrini spesi. Alcuni presenti in sala attorno a me si sono alzati indispettiti prima del termine degli applausi, un critico che sedeva di fronte contestava in tedesco agitando in aria un programma su cui aveva scritto nervosamente degli appunti; altri invece avevano lasciato la sala di fretta e furia viste le goccioline d’acqua proveniente dal soffitto in alcune parti della sala. Non una prima memorabile insomma, anche se il cast ha salvato il salvabile. Senza troppo esagerare si è trattato di uno degli allestimenti più deboli di questo festival estivo.

Salzburger Festspiele 2023
FALSTAFF

Commedia lirica in tre atti di Arrigo Boito
Musica di Giuseppe Verdi

Sir John Falstaff Gerald Finley
Ford Simon Keenlyside
Fenton Bogdan Volkov
Dottor Cajus Thomas Ebenstein
Bardolfo Michael Colvin
Pistola Jens Larsen
Mrs. Alice Ford Elena Stikhina
Nannetta Giulia Semenzato
Mrs. Quickly Tanja Ariane Baumgartner
Mrs. Meg Page Cecilia Molinari

Wiener Philharmoniker
Membri del coro della Wiener Staatsoper
Direttore Ingo Metzmacher
Maestro del coro Huw Rhys James
Regia Christoph Marthaler
Drammaturgia Malte Ubenauf
Scene e costumi Anna Viebrock
Luci Sebastian Alphons

Nuovo allestimento del Salzburger Festspiele

Salisburgo, 12 agosto 2023

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