Il recente Rigoletto andato in scena con grande successo al Teatro Comunale di Ferrara, ha rappresentato una sorta di duplice tuffo nel passato. Il primo, lo spettacolo “tradizionale” con la regia di Leo Nucci, è stato un tuffo a dire il vero piuttosto fittizio. Il secondo, più concreto e suggestivo, era rappresentato dalla prova di Amartuvshin Enkhbat nel ruolo del titolo.
Ho avuto modo di ascoltare il baritono di origine mongola fin dalle sue prime apparizioni in Italia, nel 2017. E subito mi è parso chiaro che si trattava di un cantante con potenzialità enormi, capace di trasmettere la sensazione e il piacere di ascoltare una voce d’altri tempi, certamente non comune. Una voce dal volume ampio, dal bel timbro caldo e vellutato, piena e corposa in tutta la gamma d’estensione. Un dono di natura che Enkhbat sostiene e potenzia con una tecnica ferrea: l’emissione è infatti omogenea e morbida in tutti registri: gli acuti a voce piena sono delle folgori, ma anche i suoni a mezzavoce o in pianissimo sono sempre timbrati. Si aggiunga che il legato è perfetto e la dizione ineccepibile fin dagli esordi, quando ancora il cantante non parlava una parola di italiano. Come interprete, poi, il giovane baritono ha una dote che è merce rarissima fra chi frequenta oggi il repertorio verdiano: la nobiltà. Non ci sono mai cedimenti veristi o forzature nel suo canto, la linea è sempre impeccabile, l’accento calibrato. Anche nel Rigoletto ferrarese queste qualità sono emerse in modo evidente, ma in più si è notata una maturazione sotto l’aspetto espressivo. L’appunto che di solito viene rivolto (non a torto) a Enkhbat è di fraseggiare in modo poco analitico e di non approfondire la parola scenica. Dipende anche dal repertorio. In Verdi, ci sono sicuramente margini di miglioramento, ma se penso ai Pagliacci cantati a Verona e di recente a Roma, il baritono è eccellente sia sotto il profilo vocale che interpretativo, ed è difficile immaginare oggi un Tonio migliore del suo. Bisogna anche aggiungere che attualmente, fra i cantanti, c’è un fraintendimento nel modo di rendere e interiorizzare il fraseggio verdiano: si è diffusa infatti la tendenza a imprimere una continua tensione alla voce e all’articolazione delle sillabe che finisce per perdere di vista l’arco complessivo della frase fino a renderla frammentata. Capita così di sentire Rigoletti declamati, parlati più che cantati, a scapito del legato e di quella nobiltà del canto che si richiede pur sempre ai padri (e ai re) verdiani. Enkbat, invece, come dimostrato pure nell’edizione al Comunale di Ferrara, lega sempre i suoni, canta sul fiato, non forza, riportandoci di fatto alla tradizione più nobile del canto verdiano. Se il cantante tollera pochi confronti nel panorama baritonale odierno, l’interprete, come accennato, è sensibilmente cresciuto nelle ultime stagioni: ora non solo coglie a dovere la corda paterna e dolente di Rigoletto, ma riesce a restituirne con potenza drammatica anche la componente giustiziera e vendicatrice. Un personaggio che potrà essere ulteriormente approfondito in senso analitico, ma che già così si profila a tutto tondo, completo, appagante. Non per niente il pubblico di Ferrara gli ha riservato un autentico trionfo.
Grandi acclamazioni anche per Federica Guida. Nel suo caso, si è avuta l’impressione di una Gilda all’antica, un po’ vecchio stile, ma di buona tenuta complessiva. Il timbro è chiaro, non prepotentemente caratterizzato ma adatto al ruolo, la linea di canto è consapevole e accurata, l’armamentario virtuosistico (sprovvisto di trilli) sufficiente per restituire un “Caro nome” più che decoroso, magari un po’ convenzionale nell’espressione, comunque acclamatissimo dal pubblico. Guida prende quota soprattutto nel secondo e nel terzo atto, dove la vena lirica del personaggio emerge con maggiore spontaneità e l’interprete sa trovare accenti drammatici sentiti.
Quanto a Marco Ciaponi, confermo l’impressione ricevuta in occasione di un’altra produzione di Rigoletto. Il suo è un Duca di Mantova che definirei “di grazia”, dalla voce chiara, corretto nell’emissione, squillante in acuto, elegante nello stile, attento ai fraseggi chiaroscurati, alla linea di canto sfumata e quindi in grado di restituire al meglio l’aspetto amoroso del personaggio: è soave nel duetto con Gilda, accorato nel “Parmi veder le lagrime”, dove rispetta puntualmente i segni d’espressione. Meno a fuoco, invece, la sfrontatezza, l’immorale sensualità del Duca, il suo lato cinico e aggressivo.
La demoniaca figura di Sparafucile viene tratteggiata da Christian Barone con mezzi vocali adeguati ed espressione calibrata, mai sopra le righe, mentre Rossana Rinaldi, veterana del ruolo di Maddalena, tende talvolta a forzature d’emissione che si ripercuotono sull’omogeneità del colore e l’espressione del fraseggio. Tra le parti di fianco, spicca il Marullo sonoro e timbratissimo di Stefano Marchisio. Corretto, ma un po’ troppo chiaro di timbro e poco incisivo il Monterone di William Allione. Funzionali gli altri: Elena Borin, Giovanna, Marcello Nardis, Matteo Borsa, Juliusz Loranzi, il conte di Ceprano, Emanuela Sgarlata, la contessa di Ceprano, Lorenzo Sivelli, un usciere, Agnes Sipos, un paggio. Buona la prova del coro preparato da Corrado Casati.
Passando al versante orchestrale, una improvvisa indisposizione di Francesco Ivan Ciampa ha costretto a una sostituzione dell’ultim’ora e sul podio è così subentrato il giovanissimo Gaetano Lo Coco, direttore musicale di palcoscenico al Comunale. Difficile dire quanto sia rimasto effettivamente della concertazione messa a punto da Ciampa. Negli accompagnamenti i tempi erano tendenzialmente comodi e le sonorità attutite, con un ventaglio limitato di colori e sottintesi espressivi. In altri momenti, le diverse situazioni drammatiche venivano delineate con efficacia, ma i climi contrastanti non erano inseriti in un flusso narrativo realmente teso e coinvolgente. Va da sé che in una situazione di emergenza, la prudenza era più che comprensibile e va dato atto a Lo Coco di aver portato a termine la recita senza incidenti, con una conduzione puntuale e precisa.
L’allestimento, proveniente dal Municipale di Piacenza (con cui è coprodotto), ha un taglio antiquariale e intende proporre un ritorno all’iper-tradizione. All’oleografia delle scene di Carlo Centolavigna, tra mura diroccate, verzura sintetica, sipari storici, arazzi, cui si aggiungono i costumi cromaticamente accesi di Artemio Cabassi, fa riscontro la regia del glorioso Leo Nucci: didascalica, convenzionale nella recitazione, spesso statica, tendente qua e là al tableaux vivant, eppure – al di là delle intenzioni – non sempre fedele alle indicazioni del libretto: Gilda, tanto per fare un esempio, non viene uccisa in scena, ma condotta da Maddalena fuori dal palco, dove in un altro ipotetico ambiente l’attende Sparafucile: una soluzione che non si sintonizza con il climax drammatico-musicale evocato dall’orchestra. Inoltre, non si capisce perché il corpo della giovane venga restituito a Rigoletto all’interno della locanda. In genere, i passaggi dagli interni agli esterni e viceversa (anche nella scena del rapimento di Gilda), vengono gestiti in modo macchinoso e incongruente. Insomma, un ritorno alla tradizione e alla fedeltà didascalica molto sui generis e non pienamente riuscito. Pubblico comunque molto soddisfatto e prodigo di acclamazioni.
Teatro Comunale di Ferrara – Stagione 2022/23
RIGOLETTO
Melodramma in tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave
dal dramma Le roi s’amuse di Victor Hugo
Musica di Giuseppe Verdi
Il Duca di Mantova Marco Ciaponi
Rigoletto Amartuvshin Enkhbat
Gilda Federica Guida
Sparafucile Christian Barone
Maddalena Rossana Rinaldi
Giovanna Elena Borin
Il conte di Monterone William Allione
Marullo Stefano Marchisio
Matteo Borsa Marcello Nardis
Il conte di Ceprano Juliusz Loranzi
La contessa di Ceprano Emanuela Sgarlata
Un usciere Lorenzo Sivelli
Un paggio Agnes Sipos
Mimi: Priscilla Girometta, Gaia Guastamacchia,
Debora Palmieri, Claudia Passaro, Elena Rossetti,
Figuranti: Paolo Cignatta, Kevin Rizzo
Orchestra Filarmonica Italiana
Direttore Gaetano Lo Coco
Coro del Teatro Municipale di Piacenza
Maestro del coro Corrado Casati
Regia Leo Nucci
Regista collaboratore Salvo Piro
Scene Carlo Centolavigna
Costumi Artemio Cabassi
Luci Michele Cremona
Allestimento del Teatro Municipale di Piacenza
Coproduzione Fondazione Teatri di Piacenza,
Fondazione Teatro Comunale di Ferrara