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Cremona, Monteverdi Festival 2023 – L’incoronazione di Poppea

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La quarantesima edizione del Monteverdi Festival si apre, al Teatro Ponchielli di Cremona, con un nuovo allestimento che Pier Luigi Pizzi realizza per L’incoronazione di Poppea firmandone regia, scene, costumi e luci. Gli aggettivi di eleganza e bellezza, solitamente utilizzati quando si definiscono i suoi spettacoli, non bastano a delineare la sapienza ed il senso d’estetismo che questo grande regista regala, ancora in questa occasione, a un allestimento che, seguendo le linee dell’essenzialità visiva, la fonde con una recitazione di plasticità coreografica. Per quanto questo possa sembrare un limite in un’opera come questa, dove la drammaturgia si plasma con duttilità sulla caleidoscopica varietà espressiva della parola in senso teatrale, la regia di Pizzi declina i diversi livelli espressivi dell’opera, dai più alti ai più leggeri, con armoniosa fluidità, senza forzature; non supera i limiti della compostezza figurativa eppure trasmette quel senso di progressivo annientamento delle ragioni della virtù a favore del trionfo dell’amore sensuale, quello fra Nerone e Poppea, spazzando passo dopo passo tutti i rivali che a loro si contrappongono. Addirittura Pizzi si concede una piccola libertà drammaturgica quando, dopo l’addio a Roma di Ottavia, l’esiliata imperatrice non regge al dolore del ripudio e si toglie la vita conficcandosi un lungo coltello nel ventre. Inoltre lo spettacolo non cede mai al grottesco quando, nell’intrecciare l’amore nobile con quello dei personaggi più semplici, o nel differenziare il senso di ambizione che distingue i potenti da chi li serve, evita divisioni troppo nette nel modo di concepire i piani drammaturgici che caratterizzano il capolavoro monteverdiano; definisce insomma gli “affetti” senza tipizzarli con eccessivi contrasti. Gli stessi interventi dei personaggi allegorici si incastrano all’interno della narrazione fondendosi armoniosamente con essa. Il tutto in un contesto scenico minimalista, che ripropone gli elementi visivi dell’estetica scenografica pizziana di sempre, dai colori degli abiti (il rosso, il viola, il bianco crema e le giacche in pelle nera) alla scenografia che, su fondali ora scuri ora luminosi, mostra pochi ma ben evidenti elementi a impianto unico: una lettiga color carbone, alcune colonne di marmo, nere con capitelli dorati o bianche, scure sfere marmoree o in oro per simboleggiare la dimensione allegorica, così come in oro sono i rami dell’albero posto al centro della scena. Un contesto stilizzatissimo, eppure mai algido o freddo nell’accogliere lo sviluppo di una vicenda all’interno della quale i personaggi si stagliano con palpitante evidenza espressiva. La sensualità è un dato che interessa molto a Pizzi, ma mai viene involgarita o sventagliata per il gusto di provocare, anzi viene declinata con figurazioni estetizzanti, come quando veste Poppea con uno svolazzante abito di seta che la protagonista muove ad arte mostrando le sue splendide gambe nude mentre Nerone amoreggia con lei. Un Nerone un po’capriccioso e bambino, che non disdegna neanche gli abbracci di Lucano quando festeggia assieme a lui la voluta morte di Seneca. Tutto appare narrativamente chiaro, fluido ed esteticamente bello in questo spettacolo che non perde appunto per un attimo il controllo dell’eleganza, anzi la utilizza in senso drammaturgico con esiti coinvolgenti.

Ovviamente è uno spettacolo che assume ulteriore ragion d’essere perché sulla scena c’è una compagnia selezionata con senso estetico ricercato, teatralmente persuasiva quand’anche vocalmente non sempre del tutto convincente. Non fatica ad imporsi la splendida Poppea di Roberta Mameli, fascinosa fin nel midollo. Lo è non solo per l’indubbia bellezza della figura, ma perché ogni nota è a servizio dell’espressione, declinata in funzione della voluttà amorosa che subito viene mostrata nel primo duetto con Nerone, quando le bastano poche parole, intonate con sospirosa malia (“Tornerai?”, “Addio”), per tratteggiare il ritratto di una donna che inizia la scalata che la porterà a essere incoronata imperatrice utilizzando tutto il suo irresistibile appeal seduttivo. E mai commette l’errore, come mi era invece capitato di vedere in altre interpreti di questa parte, di declinare la sua carica erotica con carnale esteriorità marcatamente esibita, o ancor più sostanziandola di quella leggerezza nella ricerca di screziature amorose sdolcinate e accentuatamente vezzose di matrice adolescenziale. La voce lirica e lo stile sovrano sostengono sempre la sua femminilità quintessenziata, senza filtri depistanti, che fanno di lei un’irresistibile Poppea, certo la migliore da me vista sulle scene.

Al suo fianco c’è il Nerone non meno efficace del giovane sopranista Federico Fiorio, nella cui voce limpida, di timbro bello e puro, si ravvisano i tratti ambigui di un imperatore che vede l’amore come trionfo di una passionalità capricciosa non priva di sfaccettature femminee, specchio della personalità di un monarca talvolta nervoso e stizzito quando non gli si dà ragione del suo operato. Il duetto conclusivo fra Poppea e Nerone, il noto “Pur ti miro”, diviene un sottile gioco di sospiri amorosi davvero incantevole, ma Fiorio è anche un cesellatore della parola e ben lo dimostra nell’incontro-scontro con Seneca, dove risponde alle severe accuse del filosofo con minacciosa e incisiva intimidazione. Per di più appare agilissimo nell’ebbrezza rapinosa dei vocalizzi sensuali che aprono il duetto con Lucano (“Or che Seneca è morto, cantiam, cantiam Lucano”), giusta espressione di cinica gaiezza e riflesso di un qualcosa di lugubre e allucinato che il suo timbro trasparente ben trasmette insieme alle carezzevoli espressioni che contraddistinguono il successivo sviluppo del duetto con le inevitabili screziature ambigue che ne conseguono, tanto che Pizzi fa bene a trasformarlo quasi in dialogo d’amore fra i due, estremo approdo delle mille facce amorose di un imperatore intriso di lussuria senza distinzione di genere.

Fra i ruoli principali si mette in evidenza l’Ottavia musicalissima di Josè Maria Lo Monaco, espressivamente sempre vincente, addirittura toccante in un “Addio Roma” nel quale non si sa se ammirare di più la bellezza del timbro mezzosopranile, levigato ed elegante, o l’attenzione mostrata nel trovare, in ogni parola, il senso di afflitta oppressione per essere stata non solo tradita e ripudiata, ma anche esiliata. Ed è un piacere ascoltare come il suo sentimento di addio si carichi d’intima delicatezza, di una tristezza che affoga nell’elegia del dolore e nella sofferta mestizia.
Il cast, al fianco di queste tre colonne portanti, è comunque ben assemblato e, seppur fra luci e ombre vocali, si mostra compatto nella resa teatrale. Federico Domenico Eraldo Sacchi è un Seneca dalla voce di basso scura e austera, ampollosa e solenne in rapporto al rigore morale paludato che lo contraddistingue, anche se dal vibrato rugoso, mentre il controtenore Enrico Torre è un Ottone dalla voce un po’ opaca, oltre che espressivamente un po’ stinta nel malinconico languore richiesto per “Apri il balcon, Poppea”.

Attorno ai ruoli principali si impongono, vocalmente, Luigi Morassi, che soprattutto nei panni di Lucano (sostiene anche le parti del 1° soldato e del 2° famigliare) sfoggia un timbro tenorile davvero interessante, assai ben proiettato, insomma un giovane cantante da seguire con interesse, e il bravo Mauro Borgioni (Mercurio, 3° famigliare, tribuno, littore), specialista e stilista che in questo repertorio è punto di riferimento. Vocalmente perfettibile, anche se stilisticamente apprezzabile, la Drusilla di Chiara Nicastro. La Nutrice di Ottavia trova nel controtenore Danilo Pastore una attorialità così spiccata e uno stile così ben rifinito che subito fa dimenticare la mollezza timbrica un po’ esangue di un falsetto pur funzionale alla parte. L’altra nutrice, Arnalta, è Candida Guida, che colpisce non tanto quando si fa tronfia d’orgoglio all’idea di assurgere ad un rango superiore quando apprende che la sua padrona, Poppea, sarà regina, ma soprattutto al momento di intonare con sospirosa dolcezza la splendida ninna nanna “Oblion soave”. Chiudono degnamente la lunga locandina di interpreti Luca Cervoni (Liberto, 2° soldato, console), Francesca Boncompagni (Fortuna), Paola Valentina Molinari (Amore, Valletto) e Giorgia Sorichetti (Pallade, Virtù, Damigella).

Le redini musicali sono affidate a un barocchista di valore quale è Antonio Greco, che guida l’ottimo complesso dell’Orchestra Monteverdi Festival/Cremona Antiqua e che, nelle sue brevi note al programma di sala, precisa di aver scelto la versione veneziana dell’opera inserendo ritornelli strumentali “napoletani”, quindi della seconda versione che ci è giunta dell’opera, appunto quella risalente a una ripresa partenopea dell’Incoronazione di Poppea nel 1651. Arricchisce un po’ lo strumentale giocando di sovrapposizione fra le due versioni, ma ciò che più conta è che la sua lettura appare limpida, trasparente, elegante come lo è lo spettacolo nel vestire di note una drammaturgia tanto sfaccettata e varia da permettere alla sua direzione e all’ottimo ensemble cremonese che accompagna un perfetto equilibrio d’intenti espressivi nella ricerca di colori e ritmi adeguati a ogni momento dell’opera, senza che i contrasti appaiano troppo netti e inadeguatamente evidenziati.
Davvero un bell’inizio per il Monteverdi Festival nell’anno del suo quarantennale, con una compagna pubblicitaria intitolata “Monteverdi Mondo” che mostra, in manifesti e locandine disseminati in tutta la città, il compositore in barba e baffi del suo tempo ma vestito come un astronauta, quale simbolo di colui che scoprì un nuovo mondo (o pianeta), anzi un nuovo genere, quello dell’opera lirica, che iniziò il suo lungo percorso attraverso i secoli proprio grazie al genio monteverdiano.

40° Monteverdi Festival
L’INCORONAZIONE DI POPPEA
Dramma per musica in un prologo e tre atti
Libretto di Giovanni Francesco Busenello
Musica di Claudio Monteverdi

Poppea Roberta Mameli
Nerone Federico Fiorio
Ottavia Josè Maria Lo Monaco
Ottone Enrico Torre
Seneca Federico Domenico Eraldo Sacchi
Arnalta Candida Guida
Drusilla Chiara Nicastro
Lucano, 1° soldato, 2° famigliare Luigi Morassi
Liberto, 2°soldato, console Luca Cervoni
Mercurio, 3° familiare, tribuno, littore Mauro Borgioni
Nutrice, 1° famigliare Danilo Pastore
Fortuna Francesca Boncompagni
Amore, Valletto Paola Valentina Molinari
Pallade, Virtù, Damigella Giorgia Sorichetti

Orchestra Monteverdi Festival / Cremona Antiqua
Direttore Antonio Greco
Regia, scene, costumi e luci Pier Luigi Pizzi

Nuovo allestimento della Fondazione Teatro A. Ponchielli
in coproduzione con OperaLombardia, Teatro Verdi di Pisa,
Teatro Alighieri di Ravenna
Cremona, Teatro Ponchielli, 16 giugno 2023

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