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Bergamo, Teatro Donizetti – Raffa in the Sky

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Non un’opera contemporanea, con i limiti e i sospetti che tale definizione, soprattutto da parte del pubblico, porta con sé. Ma neppure un musical, come forse sarebbe stato più logico visto il soggetto. Raffa in the Sky, il lavoro ispirato a vita, musica e miracoli di Raffaella Carrà, applaudito al Teatro Donizetti di Bergamo, è qualcosa di diverso e di nuovo. Un ibrido che proprio in questa sua natura trova il suo punto di forza. L’idea non poteva che venire a quel vulcanico uomo di teatro che risponde al nome di Francesco Micheli, il quale ha poi coinvolto, nelle vesti di librettisti, Renata Ciaravino e Alberto Mattioli, e come compositore Lamberto Curtoni. Si tratta peraltro del progetto straordinario della Fondazione Teatro Donizetti di Bergamo nell’anno in cui la città orobica è, insieme alla vicina Brescia, Capitale italiana della cultura. Un progetto davvero speciale, che, nelle intenzioni di chi ci ha lavorato, vuole rinnovare l’antica e sempre attuale vitalità del genere “opera lirica”, inventato da noi italiani ma da noi stessi ormai gelosamente chiuso in un museo. Tutto ciò mentre in diversi altri Paesi del mondo si scrivono e si rappresentano con regolarità opere liriche, spesso ispirate a fatti e personaggi della storia e della cronaca recente.

Perché non pensare allora alla Raffa nazionale? Detto, fatto. Sulla carta, tuttavia, la vita di Raffaella Maria Roberta Pelloni da Bologna non è propriamente un soggetto melodrammatico: se è vero che la sua figura ha rivoluzionato la storia della televisione e del costume in Italia, è altrettanto vero che la sua vita privata, al netto di qualche amore fugace e due lunghe relazioni stabili, non offre il destro ad alcun tipo di elucubrazione gossippara. Tanto più che fu sempre coperta da assoluto riserbo da parte della diretta interessata. Ecco allora l’intuizione vincente: Raffaella è un’aliena, inviata dal lontano pianeta Arkadia a ravvivare le grigie esistenze dei mortali. Come accade nelle fiabe (vedi Rusalka), l’aliena, una volta sulla terra, ci si trova così bene da scegliere di rinunciare all’immortalità. Con tutto ciò, come spiega Alberto Mattioli nelle note di sala, “Carrà andava raccontata come personaggio pubblico, per il ruolo che ha avuto non solo nella storia dell’entertainment, ma nell’evoluzione dei costumi e della società italiana. Questo era decisivo: mostrare come Carrà, nel suo modo gentile e sensuale, sorridente e inclusivo, senza proclami né teorizzazioni, ma con una determinazione formidabile sotto il caschetto biondo, abbia predicato valori, incoraggiato autocoscienza, denunciato ipocrisie e, insomma, cambiato il mondo”.

Per questo, la vita della protagonista – in un arco temporale che si tende dal 1943 al 2019 – si intreccia con quella di una famiglia italiana immigrata dal sud, costituita da Vito, Carmela e dal loro figlio Luca, che attraverso l’esempio di Raffaella Carrà cambiano, crescono, maturano, si svelano a loro stessi. Così, quella che nasce come “fantaopera” (tale il sottotitolo) finisce con l’essere un ritratto e una riflessione sull’Italia di ieri e di oggi, sui limiti e le censure del passato (che magari oggi ci fanno sorridere) e sulle conquiste del presente, maturate anche grazie all’esempio garbato di Raffaella Carrà. L’impressione che si ha, ascoltando e vedendo lo spettacolo, è che tutti coloro che vi hanno contribuito, abbiano sì faticato ma che si siano anche divertiti molto. Perché questo spettacolo, diciamolo pure, fa divertire e riflettere, persino commuovere nel suo distendere un velo di malinconia sull’uscita di scena della grande soubrette.

Il libretto è costruito con sapienza drammaturgica, sia nell’equilibrio dell’articolarsi delle scene che nel dispiegarsi dell’azione, ma soprattutto si segnala per la sottile ironia che lo pervade, in un gioco di citazioni e rimandi davvero gustoso. Per non parlare di quando i due librettisti fanno il verso ad altri loro illustri predecessori (si vedano certe battute che, in altri tempi, sarebbero state ribattezzate “illicasillabi”). E la musica? Lamberto Curtoni – allievo di Giovanni Sollima – utilizza le tecniche post-moderne del pastiche e del collage per creare una connessione tra le epoche, gli stili, i linguaggi, ritrovando la radice autenticamente popolare dell’opera lirica. Si può parlare di “meta opera” perché l’autore dimostra grande consapevolezza storica e si diletta nel mettere in scena segmenti del repertorio operistico come riflessione sul genere e sul senso stesso del fare opera oggi.

L’organico è davvero singolare ma classico (eccezion fatta per la tastiera che suona però come un clavicembalo): archi, legni “a uno” (ovvero uno strumento solo per tipologia), due trombe, una fisarmonica, percussioni. La scrittura è sovente graffiante, non manca di respiro melodico, si mantiene lontana dalle dissonanze tipiche di certa avanguardia e, soprattutto, nasce in stretta connessione con la parola. Un compositore – spiega Curtoni nelle note di sala – deve “sforzarsi di arrivare a fare quello che facevano Donizetti e Verdi, cioè operare all’interno di una sensibilità comune”. Le canzoni di Raffaella appaiono e scompaiono, giungono come climax nelle scene e ne sostanziano il prosieguo ma – coerentemente con la visione estetica dell’autore – vengono riproposte in veste rinnovata e sempre gradevole. La qualità musicale è assicurata dalla guida sicura e teatralmente efficace di Carlo Boccadoro, a capo di un ensemble di ottimi strumentisti, costituiti da membri di Sentieri Selvaggi e Orchestra Donizetti Opera. Eccellente la resa del Coro “I piccoli musici” di Casazza, diretti da Mario Mora.

Molto bravi tutti i cantanti, a cominciare dalla Raffaella di Chiara Dello Iacovo, l’unica non proveniente dal mondo dell’opera (e l’unica a cantare e recitare amplificata): minuta e agile come l’originale, ha anche qualcosa nel timbro che ricorda la grande soubrette. Tutti gli altri sono invece professionisti del melodramma: brilla la prova di Carmela Remigio (nei panni proprio di Carmela), come sempre credibilissima sotto il profilo scenico e pure vocale. Lo stesso può dirsi di Dave Monaco (Apollo XI di schietta pasta tenorile), Gaia Petrone (scoppiettante nei panni di Luca, giovane fluido che scopre la sua identità sessuale anche grazie a Raffella), Roberto Lorenzi (tonante Fidelius, il cattivo di turno) e Haris Andrianos (Vito perfetto per vocalità e presenza scenica).

Lo spettacolo è quanto di più “raffaellesco” e postmoderno si possa immaginare, grazie anche alle scene di Edoardo Sanchi, al light designer Alessandro Andreoli e ai costumi di Alessio Rosati: Micheli costruisce una regia vivacissima, ambientata in uno studio alla “Milleluci” – il mitico programma tv condotto dalla Carrà e da Mina nel 1974 -, caratterizzato da un’impalcatura dove si affaccia il coro di voci bianche che, insieme ad Apollo XI, alberga nel pianeta di Arkadia. Da lì, sovrano e altri spiriti eletti osservano ciò che accade sulla terra e in particolare alla citata famiglia di meridionali trapiantati al nord, che rivive in piccoli siparietti che riproducono gli ambienti della loro casa nel tempo. Molteplici le allusioni all’immaginario collettivo legato allo scorrere degli anni e alle trasmissioni tv di Raffaella Carrà (dai mitici fagioli dei suoi giochi televisivi al telefono, alle carrambate), con le belle coreografie firmate da Mattia Agatiello con la Fattoria Vittadini.
Vivissimo successo per tutti.

Teatro Donizetti 
RAFFA IN THE SKY
Fantaopera in due atti
Libretto Renata Ciaravino, Alberto Mattioli
da un’idea di Francesco Micheli
Musica di Lamberto Curtoni

Raffaella Carrà Chiara Dello Iacovo
Apollo XI, La Maestra russa, Il Parrucchiere delle dive Dave Monaco
La Nonna, L’Ostetrica, Luca Gaia Petrone
Carmela Carmela Remigio
Fidelius, La Star di Hollywood, Il grande censore, L’impresario della tivù Roberto Lorenzi
Vito Haris Andrianos

Orchestra Donizetti Opera e Ensemble Sentieri Selvaggi
Direttore Carlo Boccadoro
Coro I Piccoli Musici di Casazza
Maestro del coro Mario Mora

Regia Francesco Micheli
Scene Edoardo Sanchi
Costumi Alessio Rosati
Coreografie Mattia Agatiello
Light designer Alessandro Andreoli
Danzatori della Fattoria Vittadini

Nuova produzione della Fondazione Teatro Donizetti
per Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023
Bergamo, 1 ottobre 2023

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