Bergamo, Donizetti Opera 2023 – Il diluvio universale

Vive contestazioni alla regia hanno accolto la prima moderna dell’opera Il diluvio universale di Gaetano Donizetti, nella versione napoletana del 1830, che ha inaugurato il Festival che Bergamo dedica al suo illustre figlio. Il pubblico della prima ha caldamente applaudito tutti gli interpreti ma, al momento dell’uscita dei registi e dei loro collaboratori, dalla sala si sono levati insistenti “buuu”, come non se ne sentivano da tempo.

Chi sono i rei di tanto sdegno? Si tratta di Nicolò Massazza e Jacopo Bedogni, in arte Masbedo, un duo artistico che lavora insieme dal 1999 mescolando diversi linguaggi artistici (video, installazioni, cinema, performance, teatro e sound design); a loro si affianca, incaricato della drammaturgia visiva, Mariano Furlani. I Masbedo sono alla quarta regia d’opera nella loro carriera (prima ci sono stati un Flauto magico a Verona, Re Ruggero di Szymanowski a Santa Cecilia e un Prometeo con musiche di Beethoven, Liszt e Skrjabin a Palermo). A Bergamo firmano non solo la regia, ma anche la regia in presa diretta e i costumi della nuova produzione, che consente di ascoltare la prima versione di un titolo davvero interessante, andata in scena al San Carlo di Napoli nel 1830, pochi mesi prima dell’Anna Bolena, opera con la quale si fa cominciare la vera grande carriera di Donizetti.

Un lavoro singolare, questo Diluvio universale, definito “azione tragico sacra”, perché eseguito in tempo di Quaresima e che ha come illustre antecedente il Mosè in Egitto di Rossini. Quest’ultimo, rappresentato nello stesso teatro 12 anni prima, resta il modello insuperabile di opere di argomento religioso dove però le storie bibliche si intrecciano con le vicende “profane” dei protagonisti. All’epoca, l’opera donizettiana fu accolta con un buon successo; il fatto che quattro anni dopo l’autore la sottopose a profonda revisione per una nuova rappresentazione al Carlo Felice di Genova, la dice lunga sulla considerazione in cui Donizetti stesso la teneva. La vicenda dunque è quella di Noè e dei suoi figli che, consapevoli che Dio sta per inviare il diluvio, preparano l’arca appena fuori dalla città di Sennar, votata alla distruzione insieme ai suoi peccaminosi abitanti. Come detto, la storia biblica si intreccia con quella di tradimenti e macchinazioni, cui porrà fine la pioggia inviata da Dio per punire la superbia degli uomini.

Per narrare questa storia, i Masbedo costruiscono una scena (realizzata da 2050+) che è insieme un set e un’installazione, quella che loro stessi definiscono “l’ultima cena dell’umanità”. Uno spazio che, come spiegano i registi, “denuncia le contraddizioni tra l’esclusività dei commensali, la loro conclamata libertà e contestualmente il loro rinchiudersi in un mondo protetto, fintamente sterile, una gabbia tecnologica”. Proprio quello che il pubblico ha davanti: un luogo asettico, illuminato da luci per lo più fredde (Fiammetta Baldiserri la light designer), dietro il quale si staglia un grande schermo ledwall che rimanda sempre immagini, alcune delle quali in presa diretta. Queste ultime hanno un insistito tono voyeuristico, nell’intento di portare il pubblico dentro le vicende private dei protagonisti e dei bravissimi performer che li affiancano (i movimenti scenici sono di Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco). I rimandi al cinema sono evidenti (il modello dichiarato da Masbedo è “Festen – festa in famiglia” di Vinterberg, film premiato a Cannes nel 1998), ma si scorgono anche riferimenti alla cinematografia felliniana e al Pasolini estremo di Salò o le 120 giornate di Sodoma. Le riprese, come l’impostazione generale, richiamano un’estetica iperrealista, con quei colori freddi e i contorni delle figure sempre molto sottolineati. Le tavole imbandite con verdure e animali rimandano alla tradizione della “natura morta”, meglio definita in inglese still life: una vita “ferma” perché fissata nella sua bellezza ma anche nella sua caducità, come in Caravaggio. Una natura tuttavia che si fa sgradevole nelle intenzioni dei registi, che vogliono così denunciare il suo tradimento da parte degli uomini (l’opera ha anche questa valenza, nell’ambito di uno dei temi portanti del progetto di Bergamo, con Brescia, Capitale Italiana della Cultura). Non mancano poi riprese di cataclismi naturali, preannuncio di quello che concluderà l’opera stessa. Nell’insieme l’idea funziona; ciò che è criticabile, dal nostro punto di vista, è la presenza pressoché costante delle immagini, che finiscono con il distrarre il pubblico da ciò che accade sulla scena e, soprattutto, dalla musica. Che invece, in diversi punti è molto bella. Merito anche di una esecuzione di pregio.

La direzione di Riccardo Frizza è ampia nel tendere l’arco narrativo e riesce nel non facile intento di saldare efficacemente la dimensione più corale e “biblica” con quella privata del lavoro. La trasparenza del tessuto strumentale rimanda al modello rossiniano, ma il vigore e la precisione ritmica, uniti a un pregevole scavo sul fraseggio, sottolineano quegli elementi di cui farà tesoro, di lì a pochi anni, il giovane Verdi per il suo Nabucco. Un altro merito di Frizza è la profonda conoscenza del canto e delle sue caratteristiche stilistiche. Ne traggono giovamento gli interpreti, sempre accompagnati con sensibilità.

Giuliana Gianfaldoni esibisce un timbro squisito nella sua luminosa bellezza, saldo e omogeneo in tutta la tessitura, secondo una linea di canto animata da costante musicalità, capace di essere precisa nei virtuosismi e di delibare eterei filati. La figura di Sela, lacerata tra la fedeltà al marito e quella per il Dio di Noè, riceve così il giusto rilievo. Dopo le prove maiuscole al Rossini Opera Festival in ruoli tenorili particolarmente scabrosi, Enea Scala affronta col medesimo piglio e con la stessa efficacia il ruolo di Cadmo, che alla scrittura rossiniana è fortemente debitore. La parte di Noè fu scritta nientemeno che per Luigi Lablache, nel segno di solenni declamati e di una diffusa cantabilità: Nahuel Di Pierro la dispiega con nobiltà d’accenti, forte di un timbro di bel colore scuro, ampio, morbido e pastoso. Molto bene ha fatto Nicolò Donini nel ruolo del figlio di Noè, Jafet, così come encomiabili sono le prove degli altri interpreti, alcuni dei quali sono allievi della Bottega Donizetti: Davide Zaccherini (Sem), Eduardo Martinez (Cam), Sabrina Gárdez (Tesbite), Erica Artina (Asfene), Sophie Burns (Abra), Maria Elena Pepi (Ada) e Wangmao Wang (Artoo). Il coro dell’Accademia del Teatro alla Scala, guidato da Salvo Sgrò, si fa apprezzare per la pienezza di suono e il bel gioco di sfumature. [Rating:4/5]

Teatro Donizetti – Donizetti Opera 2023
IL DILUVIO UNIVERSALE
Azione tragico sacra di Domenico Gilardoni

Musica di Gaetano Donizetti

Prima esecuzione: Napoli, Real Teatro di San Carlo, 6 marzo 1830
Edizione critica della versione di Napoli
a cura di Edoardo Cavalli © Fondazione Teatro Donizetti

Noè Nahuel Di Pierro
Jafet Nicolò Donini
Sem Davide Zaccherini
Cam Eduardo Martínez*
Tesbite Sabrina Gárdez*

Asfene Erica Artina
Abra Sophie Burns

Cadmo Enea Scala

Sela Giuliana Gianfaldoni

Ada Maria Elena Pepi*
Artoo Wangmao Wang
*Allievi della Bottega Donizetti

Orchestra Donizetti Opera

Coro dell’Accademia Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Frizza

Maestro del coro Salvo Sgrò
Progetto, regia, regia in presa diretta e costumi MASBEDO

Drammaturgia visiva Mariano Furlani
Scene 2050+
Movimenti scenici Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco

Light designer Fiammetta Baldiserri

Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Donizetti

in collaborazione con la GAMeC di Bergamo
per Bergamo Brescia Capitale italiana della Cultura 2023
Bergamo, 17 novembre 2023