Chiudi

Barcellona, Gran Teatre del Liceu – Tosca

Condivisioni

Dai tempi del Ballo in maschera “dei water e delle marchette” firmato Bieito, non si era vista al Liceu una contestazione così veemente da parte del pubblico: c’è voluta la “rilettura” di Tosca realizzata da Rafael R. Villalobos per scatenare i barcellonesi. A parte il coro di buh a fine spettacolo, l’inizio del secondo atto ha fatto temere il peggio.

Siccome l’allestimento pretende di rendere omaggio a Pier Paolo Pasolini, durante l’opera si aggira in scena un personaggio che incarna il grande autore italiano, visto come un alter ego di Cavaradossi, il quale canta ad esempio “E lucevan le stelle” leggendo dal taccuino lasciatogli in eredità dal poeta assassinato. Il pubblico ha assistito in silenzio ai giochetti più o meno erotici di Pasolini con un chierichetto nel primo atto, e poi anche all’incontro fatale con Pino Pelosi durante il preludio dell’atto terzo, illustrato con citazioni ma anche con frasi retoriche su politica, religione e via dicendo. L’inferno in sala si è scatenato quando a inizio secondo atto, con il maestro presente in buca, Pasolini si è presentato alla ribalta per leggere qualcosa: non saprei dire cosa di preciso, perché dopo due parole è scoppiato il pandemonio: buh, urla, insulti che hanno coperto gli applausi di un gruppo minoritario ma comunque nutrito di difensori dello spettacolo. Solo l’avvio della musica di Puccini ha imposto il silenzio.
Per il resto, sull’allestimento non posso dire granché. Scene color bianco-ospedale di Emanuele Sinisi (i costumi, moderni, sono dello stesso regista), mimi e sgherri che riprendono personaggi dell’ultimo film di Pasolini, Salò o le 120 giornate di Sodoma, con nudi quasi tutti maschili, un gigantesco ritratto della Maddalena che sale e scende (poco in sintonia con le parole del libretto) e – unica idea buona – il vescovo solitario senza alcun fedele nel Te Deum che poi, davanti a Scarpia, si svela essere Tosca. Il resto è una sequela di trovate insensate, come il Sagrestano che rivolge le sue frasi a Pasolini prima e durante “Recondita armonia” (“Fuori, Satana, fuori!”), o che ritorna nel terzo atto per sputare sul cadavere di Cavaradossi e impedire al carceriere di fare il segno della croce. Se qualcuno ritiene di dover fare (e si dovrebbe) un vero omaggio a Pasolini, sarebbe meglio commissionare un’opera nuova.

E passiamo alla musica. Questa Tosca non sarà ricordata tra quelle che hanno fatto la vera storia del Liceu. Il ballo dei nomi in locandina provocato dalla cancellazione – con molto anticipo – della coppia Kurzak-Alagna è continuato fino agli ultimi giorni, quando è sparito il nome di Joseph Calleja e sono comparsi quelli di Vittorio Grigolo e Antonio Corianò. Pure Evgeni Nikitin e Luca Salsi non figurano più nella compagnia di canto, dove i soli Scarpia rimasti sono Zeljko Lucic e George Gagnidze. Sondra Radvanovsky canterà due recite, altre quattro Emily Magee e una sola Monica Zanettin. La coppia protagonista della “prima” era formata da Maria Agresta e Michael Fabiano.

Maria Agresta non mi pare troppo adatta al personaggio del titolo. Se i ‘Mario!’ tra le quinte all’inizio si sentono poco, e ancora meno alcune frasi del secondo atto (in particolare “Questo è il bacio di Tosca”), qualcosa vorrà dire. I piani sono belli, gli acuti buoni (qualcuno un po’ metallico), ma il registro medio-grave non risulta molto timbrato. L’attrice è corretta (qualche risata poco felice credo sia da imputare alla regia), ma poco portata al tragico, mentre la dimensione della “diva” è assente. Tutto sommato, come canto, la cosa migliore è l’atto terzo. Michael Fabiano, Cavaradossi, ha un timbro molto solare che nell’estremo acuto perde colore e cambia di emissione (vedi “La vita mi costasse!” e “Vittoria!”). Anche lui dà il meglio nel terzo ma le “dolci mani” non ce la fanno davvero a “pregar giunte”.
Lo Scarpia di Zeljko Lucic viene accolto anche da qualche buh alla fine. È vero che questo baritono non è stato mai un grande attore né un maestro del fraseggio, e che oggi la voce pare affaticata, specie in acuto dove alcune note sono calanti, ma come colore vocale è forse il più adeguato (con qualche effetto inatteso di mezza voce molto valido) e la sola figura lo fa apparire abbastanza sinistro, anche se magari non aristocratico. Non si capisce bene perché sia stato scritturato Jonathan Lemalu per il Sagrestano, mediocre da ogni punto di vista, come pure Felipe Bou (Angelotti). Molto bene Moisés Marín (Spoletta), interessante il carceriere di Milan Perisic, corretto lo Sciarrone di Manel Esteve. Peccato che per il pastorello, anziché una voce bianca o un soprano leggero, sia stato scelto – immagino per voglia di modernità – un controtenore, Hugo Bolívar.

Henrik Nánási – anche lui oggetto di proteste – era per me un bravo direttore ma forse da questa recita lo è un po’ meno, almeno in Puccini. L’orchestra suona bene, ma i tempi risultano lenti, le sonorità spesso forti a scapito dei cantanti, e in molti momenti si percepisce mancanza di tensione e passione.  Il maestro ha avuto, a quanto pare, un problema a un braccio e alcune recite verranno dirette da Giacomo Sagripanti. Mi permetto di ricordare che in passato alcuni grandi direttori hanno rinunciato a dirigere un’opera quando non erano d’accordo con la regia. Ma forse questo è un atteggiamento poco moderno: oggi al massimo si protesta più o meno timidamente un cantante, mai un regista.

Barcellona, 4 gennaio 2023

image_print
Connessi all'Opera - Tutti i diritti riservati / Sullo sfondo: National Centre for the Performing Arts, Pechino