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Barcellona, Gran Teatre del Liceu – Antony and Cleopatra (di John Adams)

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La prima europea di Antony and Cleopatra, l’ultima opera di John Adams proposta dal Gran Teatre del Liceu in coproduzione con L’Opera di San Francisco (dove ha debuttato in prima assoluta nel 2022) e con il Met di New York (che la proporrà la prossima stagione) è stata una brillante idea coronata da un grande successo. Soprattutto perché a dirigerla in quest’occasione è stato il compositore in persona che, per fortuna, l’ha fatto in modo straordinario, con l’orchestra al meglio delle sue possibilità e con i brevi ma importanti interventi del coro preparato da Pablo Assante (il cui contratto è stato da poco rinnovato).

Le due parti, di un’ora e venti ciascuna, scorrono velocemente (tranne forse il discorso di Ottaviano Augusto – qui chiamato Caesar – aggiunto all’originale). Le parole sono quelle del miglior librettista che un musicista possa trovare, ovvero Shakespeare. La sua grande, omonima tragedia è stata, come al solito, sfrondata e concentrata dal compositore che si è servito dell’aiuto della regista Elkhanah Pulitzer e della drammaturga Lucia Scheckner per trovare alcuni testi complementari di Virgilio e Plutarco da inserire nel libretto. L’operazione è riuscita bene anche se – come a volte succede – uno dei personaggi viene ridotto a un tipo convenzionale, mentre nell’originale è molto più complesso e ambiguo: mi riferisco al ruolo di Enobarbus, amico e confidente di Antony, del resto cantato molto bene dal basso Alfred Walker.

La musica è stilisticamente riconducibile alle opere precedenti di Adams, forse ampliata con dissonanze varie e musiche che si ispirano a diversi repertori. Si è fatto riferimento agli intermezzi marini di Peter Grimes di Britten soprattutto per il secondo pezzo sinfonico (la battaglia di Azio), ma per il primo, uno dei passaggi da Roma a Egitto, quella che si sente non dissimulata è una citazione dell’inizio dell’Oro del Reno di Wagner. Le ripetizioni sono una costante della tecnica del compositore e se alcune volte vengono utilizzate senza ragione drammatica (racconto di Enobarbo sull’incontro a Cidno dei due protagonisti) questo non vale in altri momenti, in particolare quando cantano appunto i due eroi e l’antieroe Caesar  (con ben altra intenzione) e per quel poco che compare Octavia, una brava Elizabeth DeShong.

Tra i cantanti Gerald Finley – come altri colleghi del cast – aveva già partecipato alla prima mondiale e nel ruolo di Antony si conferma ancora una volta grande attore-cantante: la sua è un’interpretazione maiuscola che arriva al vertice nel terzo atto, dopo la sconfitta. La scena del suicidio è semplicemente magistrale. Julia Bullock è invece per la prima volta Cleopatra, su richiesta dall’autore. Si muove benissimo in scena e la voce è molto interessante nel centro e nel registro grave, ma l’acuto risulta quasi sempre gridato (più che un soprano, secondo me, è un mezzosoprano). Bene la Charmian di Adriana Bignagni Lesca (contralto come la DeShong), lo schiavo Eros di Brenton Ryan, bella voce di tenore; interessante l’Agrippa di Äneas Humm, timbro aspro e poco affascinante ma in questo ruolo non disturba; molto bene Toni Marsol come Maecenas, in particolare nell’ultimo incontro con Cleopatra, e molto corretta Marta Infante, Iras, serva di Cleopatra. Precisi Guillem Batllori, Lepidus, e Milan Perišic, Scarus. Resta il caso di Paul Appleby, Caesar, che canta bene ma con voce piccola per una sala come il Liceu e di colore “neutro” per un tenore. Come interprete del ruolo invece è ottimo.

Per quanto riguarda l’allestimento, come si è detto per la regia di Pulitzer, con scene spoglie ma suggestive di Mimi Lien, eccellenti luci di David Finn e progettazione video di Bill Morrison, ci troviamo negli anni Trenta dello scorso secolo (come si vede dai filmati) e nell’Italia fascista, con dei costumi affascinanti (Constance Hoffman) soprattutto per gli egiziani, che rimandano al cinema dell’epoca, anche se la Cleopatra di Bullock fa pensare più a Dorothy Lamour che non a Claudette Colbert. Spettacolo molto bello, nell’insieme.

Come nota “esotica” abbiamo avuto per la prima volta al Liceu, come negli ultimi film di Hollywood, la presenza di un Intimacy Director (coordinatore di intimità) annunciato come evento di grande importanza per le scene tra i due protagonisti (addetta ai lavori, nel caso specifico, Ita O’Brien). In un film degli anni settanta del secolo scorso si vedeva di più e di peggio (ammesso che sia peggio). Ma che dico, nella produzione premiata dai critici barcellonesi la stagione appena trascorsa, nella Incoronazione di Poppea per la regìa di Calixto Bieito, si “vedeva” parecchio “di più” e qualche volta – magari sì – “di peggio”, ma in quel caso né il teatro né il regista hanno avuto bisogno di questa nuova figura. Quanto si continuerà a essere succubi delle pazzie politicamente corrette statunitensi? Immagino che tale “direzione” non sia gratuita e quindi aumenti i costi dello spettacolo. Qui non vale il “contenti loro”, perché io, per esempio, non sono affatto contento.

Barcellona, 6 novembre 2023

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