Vienna, Wiener Staatsoper – Il barbiere di Siviglia (con Flórez, Olivieri, Molinari, Bordogna)
Alla Wiener Staatsoper, il titolo più popolare di Rossini è stato proposto l’anno scorso in un nuovo allestimento per la regia di Herbert Fritsch, con la direzione di Michele Mariotti e un all star cast. Lo spettacolo viene ora ripreso per una seconda serie di recite. Come capita troppo spesso in un teatro che ha la fama di “museo” perché riprende senza farsi problemi vecchi allestimenti di successo, questa nuova produzione del Barbiere di Siviglia non sostituisce affatto quella precedente.
In scena non c’è quasi nulla, a parte qualche oggetto, dei sipari colorati trasparenti e delle proiezioni astratte sul fondo (c’è perfino la bandiera italiana, ma non chiedetemi il significato). Fin qui tutto bene. Poi purtroppo, verso la metà della Sinfonia di apertura dell’opera, disgraziatamente entrano in scena (in trasparenza, belle silhouette nere) i personaggi. E qui nasce il problema dello spettacolo, che è tutto un moltiplicarsi di parrucche e vestiti grotteschi, in un “moto perpetuo” che fa venir voglia di parlare di ballo di San Vito: gli interpreti non stanno mai fermi e per di più i movimenti sono o esagerati o stupidi. Dulcis in fundo, Ambrogio è un famoso attore austriaco, il bravissimo Sebastian Wendelin: presente dall’inizio alla fine, anticipa, suggerisce o commenta ogni singola azione. Il pubblico, per niente disturbato, lo applaude, anche se dopo dieci minuti al massimo diventa irritante e ripetitivo.
Le cose non migliorano molto in buca. Certo, gli orchestrali sono bravi, ma Stefano Montanari non riesce a dare una lettura con le dovute sfumature. I crescendo non sono tali ma masse di suono di un tessuto più che denso (vedi il temporale, che forse sarebbe più adeguato nel Rigoletto). Anche alcuni tempi sono alquanto bizzarri, perfino in momenti come l’aria di Berta, mentre la grande aria di Bartolo si salva solo grazie alla bravura di Paolo Bordogna.
Ecco, gli interpreti. Per fortuna ci sono loro. Fanno di tutto per dare vita autentica e vera comicità ai loro personaggi, e quasi sempre ci riescono sebbene conciati come sono e costretti tutto il tempo a fare i saltimbanchi. Del primo cast rimangono i comprimari e due dei protagonisti. Una volta detto che Aurora Merthens, Berta, obbligata a starnutire e urlare parecchio, e Stefan Astakhov, Fiorello, cantano bene e sono disinvolti (entrambi membri dell’Opernstudio del Teatro), e che l’ufficiale di Wolfram Igor Demtl se la cava egregiamente, passiamo ai principali incominciando dai ‘superstiti’.
Juan Diego Flórez resta ancora – e direi soprattutto – un grandissimo rossiniano e Almaviva non ha per lui segreti: non mi riferisco solo al canto e al fantastico rondò (ci vuole un fuoriclasse come lui per far dimenticare che l’azione viene interrotta verso la fine) ma anche ai recitativi, all’interpretazione e all’intesa con i colleghi, ovviamente con Paolo Bordogna, che fa un Bartolo assolutamente strepitoso, un ‘buffo’ esemplare nel canto come nei sillabati, ma anche con Mattia Olivieri, al suo debutto a Vienna. Il giovane baritono si conferma cantante e attore di rilievo; non solo per come risolve la cavatina, che gli vale gli applausi più infervorati dopo quelli del rondò di Flórez, ma per la padronanza di un ruolo irto di difficoltà. Voce bellissima, omogenea in tutta la gamma, estensione ottima, buon canto di coloratura: sugli scudi il “Dunque io son”, ma soprattutto il grande duetto con Almaviva che diventa un momento unico grazie ai due cantanti. E poi c’è l’espressività, la vis comica, la comunicativa con il pubblico (ed è perfino avvenente, che ingiustizia!). Quando nel terzetto prima del finale canta “guarda guarda il mio talento che bel colpo seppe far”, sembra che questa frase così rossiniana sia la recensione più appropriata alla sua interpretazione.
Nei panni di Rosina, si presenta per la prima volta alla Staastoper anche Cecilia Molinari. L’avevo sentita in qualche piccolo ruolo a Pesaro e devo dire che se la voce non è grande e non sembra avere acuti fulminanti, il registro centrale e quello grave sono da vero mezzosoprano, e le agilità non saranno pirotecniche né fantasiose ma vengono eseguite bene (insomma, a mio parere la Scala ha sbagliato a sostituirla lo scorso autunno nell’edizione diretta da Chailly). L’attrice è inoltre simpatica e disinvolta.
Don Basilio doveva essere Peter Kellner, ma è stato sostituito all’ultimo minuto da un altro membro dell’Opernstudio che così ha fatto il suo debutto nel ruolo, Ilja Kazakov: buona voce con qualche problema nell’italiano e qualche suono ingolato, ma da seguire forse in altro repertorio.
I coristi, preparati da Martin Schebesta, fanno un buon lavoro, ma soprattutto partecipano con gusto all’azione: per esempio, quando massacrano di botte Fiorello – poco prima schiaffeggiato dal conte – mentre se ne va ringraziando Almaviva all’inizio dell’opera. Quando non si sa cosa fare…
Sala piena e plaudente. [Rating:3/5]