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Verona, Teatro Filarmonico – Orlando furioso

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Il Teatro Filarmonico celebra la propria storia riportando sulle scene veronesi un titolo, Orlando furioso di Antonio Vivaldi, che nel 1978 fu fra i primi, in Italia, a dare impulso alla barocco renaissance. Non fu solo un’esecuzione che vide il trionfo di una leggendaria Marilyn Horne nel ruolo del titolo e la brillante direzione di Claudio Scimone, ma segnò anche un primo passo verso la progressiva riscoperta delle partiture che formano lo straordinario patrimonio operistico autografo del “Prete Rosso” conservato nella Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, oggi oggetto della attenzioni della “Vivaldi Edition” ma anche di vocalisti, Cecilia Bartoli in primis, che hanno fatto conoscere al mondo la musica operistica vivaldiana apprezzandola al di là della ben più conosciuta musica strumentale delle celeberrime “Stagioni”.

Da allora, dopo la prima importante tappa veronese di un viaggio lì iniziato e non più interrottosi, Orlando furioso è divenuta la più eseguita delle opere vivaldiane, con allestimenti importanti, fra cui quello del Théâtre du Champs Élysées del 2011, fino al fortunato spettacolo nato en plein air nel Cortile di Palazzo Ducale per il Festival della Valle d’Itria a Martina Franca nel 2017 e poi portato l’anno successivo dalla Fenice al Teatro Malibran di Venezia. Il Filarmonico di Verona lo ripropone e mostra nella regia di Fabio Ceresa, ben ripresa da Federico Bertolani, l’idea di un teatro musicale che prova a recuperare quella dinamicità visiva del “bel vedere” incentrata sullo stupore barocco. Lo fa trovando il giusto equilibrio fra un decorativismo scontato ma insito nello spirito di quest’opera e il tentativo di sollevarlo da quella staticità che i movimenti mimici di Silvia Giordano, gli stupefacenti costumi di Giuseppe Palella – una vera esplosione di fantasia creativa e colori – e le scene di Massimo Checchetto scongiurano da subito. Il teatro di macchine barocche viene ricondotto a una dimensione figurativa che narra – in uno spazio scenico nella sostanza fisso ma modulabile nel disegnare un ideale collegamento fra le sfere celesti e le profondità marine – la vicenda della pazzia di Orlando e l’isola incantata sommersa nella quale Alcina attira i cavalieri imbrigliandoli nelle sue magiche trame amorose. Le notti stellate e le atmosfere lunari sono quelle dove Orlando perde il senno e, quando intona l’aria “Sorge l’irato nembo”, lo si vede arrampicarsi sulla calotta lunare realizzando la metafora del testo, che descrive le scuri nubi della tempesta minacciosa che agitano e confondono il cielo con il mare. La reggia di piacere di Alcina, invece, è la gigantesca valva dorata di una conchiglia che simboleggia il fastoso palazzo sommerso della maga incantatrice. Il magnifico ippogrifo piumato mosso da mimi e sul quale fa ingresso Ruggiero, così come i frammenti d’armatura che formano il gigantesco guerriero sfidato a duello e abbattuto dall’impavido Orlando non sono che i migliori giochi scenici di uno spettacolo che supera ogni scontato estetismo in virtù di quella limpida eppure ricercata scorrevolezza attraverso le quali la metafora barocca si veste di estro e meraviglia, con quel pizzico di ingenua eleganza e ironia che è la caratteristica di questo spettacolo vincente.

Anche sul versante musicale e vocale l’esecuzione ha molte frecce al proprio arco, ma non tutte fanno centro come ci si aspetterebbe. Alla direzione di Giulio Prandi non si può che riconoscere una quadratura musicale precisa, lineare, priva d’eccessi ritmici troppo accentuati, abilissima nell’utilizzare un complesso non barocco come l’Orchestra e il Coro (ottimamente istruito da Ulisse Trabacchin per i pochi ma significativi interventi previsti) della Fondazione Arena di Verona senza sacrificare le ragioni di uno stile irreprensibile nella sua bacchetta come nella compagnia di canto.

Non volendo disturbare i fantasmi di un passato irripetibile, si può dire che Teresa Iervolino sfoggi da subito un bel timbro di colore scuro; esegue benissimo i recitativi e si impone, per questo, nell’articolata scena della pazzia di Orlando del terzo atto. Nelle arie “Nel profondo cieco mondo” e “Sorge l’irato nembo” le manca però la sprezzante ebbrezza virtuosistica e il piglio eroico della vera virtuosa, così come l’opulenza vocale per dare sostanza sonora a una tessitura grave davvero improba.
Al suo fianco Sonia Prina, che fu Orlando quando questo spettacolo fu proposto a Martina Franca e poi a Venezia, sostiene qui per la prima volta la parte di Ruggiero. Nell’aria più bella dell’opera, l’ormai notissima “Sol da te, mio dolce amore” con accompagnamento obbligato di flauto traverso (qui il bravissimo Pier Filippo Barbano), ogni parola esce dal flusso melodico di questa incantevole pagina con quella retorica degli affetti barocchi che una cantante di stile come lei sa trasmettere mai affidando nulla al caso. E se la voce, ascoltandola anche nel canto d’agilità di “Come l’onda” appare asciugata nel timbro, il carisma della cantante e, soprattutto, dell’artista di classe c’è sempre, come dimostra nell’altrettanto bellissima pagina patetica “Piangerò, sin che l’onda del pianto”. Perché Sonia Prina non si fa solo ascoltare, ma disegna sempre un profilo espressivo che travalica il dato vocale.
Non così può dirsi di Lucia Cirillo, che canta bene, anche se con volume di voce un po’ contenuto, ma priva Alcina della personalità scenica soggiogante propria alla maga incantatrice e volitiva. Così passano senza lasciare segno pagine bellissime come “Così potessi anch’io”, quando al raggiro amoroso si antepone la volontà di cogliere il senso di ripiego malinconico destato in lei dall’abbandono di Ruggiero, o la trascinante e propulsiva “Anderò, chiamerò dal profondo”.
Una pura e fresca linea di canto contribuiscono a fare di Francesca Aspromonte una ottima Angelica, in bella evidenza nell’aria “Chiara al pari di lucida stella” e nell’andamento fascinosamente cullante di “Poveri affetti miei, siete innocenti”, alle quali pagine dona un limpido lirismo. Infine, se Chiara Tirotta e Laura Polverelli offrono prove rispettabilissime rispettivamente come Bradamante e Medoro, Christian Senn è un Astolfo di lusso, misurato nell’emissione, elegantemente espressivo e, all’occorrenza, anche incisivo nell’aria “Benché nasconda”.
Pubblico molto attento, nonostante la lunghezza dell’opera, e successo finale per il ritorno di Vivaldi nel teatro che fu inaugurato nel 1732 proprio con una sua opera, La Fida Ninfa.

Teatro Filarmonico – Stagione Lirica 2022
ORLANDO FURIOSO
Dramma per musica in tre atti
Libretto di Grazio Braccioli
Musica di Antonio Vivaldi
Edizione critica a cura di Federico Maria Sardelli

Orlando Teresa Iervolino
Angelica Francesca Aspromonte
Alcina Lucia Cirillo
Bradamante Chiara Tirotta
Medoro Laura Polverelli
Ruggiero Sonia Prina
Astolfo Christian Senn

Orchestra e Coro e Tecnici della Fondazione Arena di Verona
Direttore Giulio Prandi
Maestro del coro Ulisse Trabacchin
Regia Fabio Ceresa ripresa da Federico Bertolani
Movimenti mimici Silvia Giordano
Scene Massimo Checchetto
Costumi Giuseppe Palella
Luci Fabio Berettin
Allestimento della Fondazione Teatro La Fenice di Venezia
in coproduzione con il Festival della Valle d’Itria di Martina Franca

Verona, 8 maggio 2022

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