Come molti ricorderanno, nel 2019 Franco Zeffirelli si congedò definitivamente dal suo pubblico con una spettacolare Traviata realizzata post mortem dall’Arena di Verona. Il capolavoro di Verdi era l’opera della sua vita. L’aveva allestito una decina di volte nell’arco di un sessantennio, a partire dall’edizione di Dallas del 1958, protagonista Maria Callas, girandone anche una versione per il cinema nel 1983 con Stratas e Domingo.
Una chiusura di carriera non proprio in bellezza, a considerare l’esito complessivo di quella produzione (qui la nostra recensione). Difficile stabilire, per esempio, in che misura scene e regia fossero veramente opera dell’artista fiorentino. Chiaramente gran parte del lavoro era stato realizzato dai suoi collaboratori storici. Di Zeffirelli, oltre ai bozzetti, c’erano probabilmente idee e suggerimenti, in linea con i suoi codici espressivi e la sua cifra stilistica; di sicuro c’era il senso di deferenza verso la tradizione, l’intenzione di non sottoporre l’opera a stravolgimenti e attualizzazioni. Di fatto, lo spettacolo risultava una sorta di antologia delle Traviate firmate dal maestro nel corso della carriera, con particolare riferimento a quelle di Firenze e del Met, nonché alla trasposizione cinematografica.
Se tre anni fa ci potevano essere dubbi sulla effettiva paternità della messinscena, la ripresa dell’allestimento proposta l’altra sera nell’ambito dell’Arena Opera Festival 2022 offre invece una certezza: niente di quanto si è visto poteva essere paragonato a uno spettacolo di Zeffirelli. La scatola scenica collocata al centro del palco – una specie di casa delle bambole stile impero improntata a un gusto del decorativismo tendente al Kitsch – era incompleta. Mancavano il grande sipario rosso, il cornicione e diversi altri elementi. Ancor più penalizzato il secondo atto, in particolare la scena della festa nella casa-reggia di Flora, priva dell’arco centrale con scalinata.
Lo spettacolo, iniziato con oltre mezz’ora di ritardo (con la gru impegnata fino all’ultimo minuto a posizionare pezzi di scenografia) ha avuto la stessa durata di Carmen e Aida anche a causa del prolungarsi degli intervalli. Ai problemi nel montaggio delle scene, dovuti a quanto pare a una carenza di organico dei macchinisti, si è aggiunta l’assenza di una regia vera e propria sia a livello di gestione delle masse che di recitazione dei singoli. Inutile scendere nei dettagli. Al di là dei motivi reali che hanno determinato una ripresa così disastrata e imbarazzante, è chiaro che alla “prima” di un festival prestigioso queste cose non dovrebbero mai succedere.
Con tali premesse, ha finito per risentirne anche la parte musicale. Marco Armiliato è notoriamente un maestro che sa calarsi in modo appropriato nella realtà culturale del nostro melodramma ottocentesco. Le sue direzioni rientrano nella più tipica tradizione italiana, ma in questa occasione sarebbe superfluo cercare di individuare ascendenze, genealogie, o una visione personale dell’opera. Armiliato si limita a portare a casa la serata con professionalità, a garantire una certa tenuta complessiva e un adeguato supporto alle voci: inoltre, restituisce sia la concitazione e l’eleganza delle scene di festa che il versante languido e patetico dell’opera, creando momenti drammatici efficaci. Considerato il caos che c’è in scena, non è poco.
Nel ruolo di Violetta debutta un giovane soprano armeno, Nina Minasyan. La voce da lirico-leggero non è certo “areniana” e, soprattutto nel registro medio-basso, non vanta particolare spessore. Man mano che sale, tuttavia, acquista timbratura e brillantezza: gli acuti e sopracuti sono saldi (il mi bemolle che chiude il “Sempre libera” è ottimo), le agilità precise e ben stagliate, la musicalità sicura. Dal punto di vista drammatico, nondimeno, il personaggio ha ancora bisogno di maturazione, l’accento è poco incisivo, la dizione non sempre perspicua, l’espressione fin troppo sorvegliata. Insomma, è una Violetta mediamente ben cantata, capace anche di bei suoni, ma per l’appunto più suonata che interpretata.
L’Alfredo di Vittorio Grigolo è praticamente l’opposto: fin troppo immedesimato e non sempre rifinito nello stile, tende a strafare sia negli slanci vocali che nella gestualità. La voce ha il bel timbro comunicativo che sappiamo, e se gli acuti tendono a essere più voluminosi che squillanti, gli vanno riconosciuti un fraseggio vario e animato, una dizione nitidissima, oltre che un physique du rôle ideale. Dovrebbe solo controllare l’eccesso di esuberanza ed estroversione che finiscono per sopraffare la povera Violetta.
Quanto a Vladimir Stoyanov, al netto di qualche oscillazione, si conferma cantante e interprete affidabile, musicalmente misurato ed efficace nel disegnare con sobrio lirismo la figura di Germont padre.
Tra le parti di fianco si distinguono l’Annina di Francesca Maionchi, il Gastone di Carlo Bosi, il Barone Douphol di Nicolò Ceriani. Bravo Francesco Leone nei panni del Dottor Grenvil, bene anche Alessio Verna come Marchese d’Obigny, funzionale Lilly Jørstad come Flora. Da citare pure il glorioso Max René Cosotti nella particina di Giuseppe. Completa la locandina Marco Malvaldi, Domestico/Commissario. Nel complesso efficiente il coro preparato da Ulisse Trabacchin.
Il pubblico, a parte un po’ insofferenza all’annuncio del ritardo, è stato molto generoso e ha riservato a tutti (in particolare a Grigolo) accoglienze calorose.
Arena Opera Festival 2022
LA TRAVIATA
Melodramma in tre atti.
Libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valéry Nina Minasyan
Flora Bervoix Lilly Jørstad
Annina Francesca Maionchi
Alfredo Germont Vittorio Grigolo
Giorgio Germont Vladimir Stoyanov
Gastone di Letorières Carlo Bosi
Barone Douphol Nicolò Ceriani
Marchese d’Obigny Alessio Verna
Dottor Grenvil Francesco Leone
Giuseppe Max René Cosotti
Domestico/Commissionario Marco Malvaldi
Primi ballerini Eleana Andreoudi, Fernando Montano
Orchestra, Coro, Corpo di ballo e Tecnici dell’Arena di Verona
Direttore Marco Armiliato
Maestro del coro Ulisse Trabacchin
Regia e scene Franco Zeffirelli
Costumi Maurizio Millenotti
Coreografia Giuseppe Picone
Luci Paolo Mazzon
Coordinatore del Ballo Gaetano Petrosino
Verona, 2 luglio 2019