Dopo aver inaugurato la stagione lirica con Falstaff di Verdi, Myung-Whun Chung è tornato al Teatro La Fenice per il primo concerto del nuovo ciclo sinfonico. Il cartellone 2022/23 nell’insieme è alquanto ricco: diciotto programmi replicati anche tre volte per rispondere alle esigenze di un pubblico molto ampio. Peccato solo che la musica contemporanea sia assente. Rendering (1989) di Luciano Berio, previsto nel giugno del 2023, è infatti un omaggio a Schubert su frammenti della sua Decima sinfonia.
Nella serata inaugurale Chung ha diretto dapprima Vesperae solennes de confessore in do maggiore per soli, coro e orchestra KV 339 di Mozart, con la partecipazione del soprano Zuzana Marková, del mezzosoprano Marina Comparato, del tenore Antonio Poli e del basso Luca Tittoto; maestro del coro Alfonso Caiani. I Vespri solenni appartengono a una serie di composizioni liturgiche che Mozart compose tra 1779 e 1781. Di ritorno da Parigi, il musicista aveva ripreso il suo incarico a Salisburgo al servizio dell’arcivescovo Colloredo scrivendo anche questo lavoro per la festività dei Santi, caratterizzato dal semplice nitore delle forme e dall’alternarsi dello stile contrappuntistico con quello più leggero e galante. L’esecuzione di Chung è stata elegante, con una netta differenziazione delle dinamiche, consapevolezza stilistica e sonorità complessivamente adeguate. Come previsto in partitura, al soprano spetta la pagina più bella, l’incantevole Laudate Dominum, reso da Zuzana Marková con trasparente purezza vocale.
Nella seconda parte della serata, il direttore coreano ha proposto invece la Quinta Sinfonia di Gustav Mahler. Composta tra il 1901 e il 1902, eseguita per la prima volta a Colonia il 18 ottobre 1904, è un’opera difficile e complessa che rappresenta un punto di svolta nella produzione dell’autore. Prima di tre sinfonie strumentali, prive di sezioni cantate, la Quinta di Mahler raggiunge una densità polifonica senza precedenti. Assolutamente nuova e inedita è l’architettura formale: cinque tempi disposti a coppie attorno allo Scherzo centrale. La prima delle tre parti comprende due movimenti, una Marcia funebre che introduce un Allegro in forma-sonata. Nella visione di Chung, tensioni e giochi dinamici non conoscono mai parossismo né estenuanti cedimenti. La sezione di mezzo della Sinfonia è occupata da un ampio Scherzo che rispetto alla cupezza della Marcia iniziale e alla violenza del secondo tempo, s’impone per l’energia dionisiaca, quasi un canto di lode alla vita. Il direttore ne evidenzia le ascendenze viennesi e i costanti richiami alla danza. Il celeberrimo Adagietto, in quarta posizione, per arpa e archi, rappresenta un momento di raccoglimento dal tumulto del mondo. Per esaltare l’atmosfera irreale e sospesa di questa pagina, Mahler rinuncia agli strumenti a fiato. Si tratta, di fatto, di un Lied senza parole, un canto di profondo raccoglimento. Mahler tuttavia attinge tematicamente al terzo dei coevi Rückert Lieder, precisamente a Ich bin der Welt abhanden (Sono ormai perduto al mondo), arricchendo il suo melos di struggenti trapassi e lirici abbandoni. Per Chung, l’Adagietto non è un canto intessuto di effusione nostalgica né tantomeno un lamentoso epicedio. Prevale una calma quasi “olimpica” a costo di sacrificare, però, il pathos espressivo. Il risuonare del corno, del fagotto, dell’oboe nelle prime battute del Rondò-Finale ci riporta con forza a terra. Segue una serie di episodi fugati che richiamano tutta la grande tradizione classica viennese, da Haydn a Beethoven. Dopo un accelerando improvviso, gli ottoni propongono un corale che rinvia a quello del secondo movimento. Per Chung è il trionfo finale della vita sull’angoscia e sul dolore, senza alcun timore che possa trattarsi, forse, solo di un’illusione.
Accoglienza molto calorosa da parte del pubblico.
Photo: Crosera e Silvestri