Venezia, Teatro La Fenice – Falstaff
Giunto alla sua ultima opera, Verdi impara finalmente a divertirsi. Lo ammette lui stesso in una lettera: “Ho scritto per piacer mio e per conto mio. Io mi diverto a fare musica senza progetti di sorta e non so nemmeno se finirò”. Grazie a Falstaff scopre insomma che può permettersi di ridere. Delle passioni, in primo luogo. Poi della cultura dell’epoca, ma anche di se stesso e del proprio credo artistico (“l’arte sta in questa massima: rubar con garbo e a tempo”). Naturalmente quello di Verdi non è un riso liberatorio, ma il sorriso malinconico di chi è pronto a distaccarsi dalla vita. E tuttavia il vecchio compositore ha ancora il coraggio di mettersi in gioco. Costruisce la sua ultima partitura con raziocinio, disincanto e anche un po’ di cinismo, attraverso il ricorso ironico alle più diverse forme e strutture musicali. Il melodismo incandescente d’un tempo cede così alla frammentazione e alle eleganze contrappuntistiche consone al nuovo codice parodistico. L’ironia della citazione e l’intertestualità, assi portanti dell’arte del Novecento, trovano un archetipo proprio nelle allusioni e nei molteplici rimandi presenti in Falstaff. Che può considerarsi, quindi, non solo un emblema della crisi che investe la fin de siècle, ma anche un’opera che tramite la parodia del tragico e l’emarginazione dell’eroe – ridotto a un sopravvissuto, a una specie di rottame – arriva ad anticipare certi fantasmi del nuovo secolo alle porte.
Per Myung-Whun Chung, che al Teatro La Fenice dirige l’edizione inaugurale della Stagione 2022/23, sembra che l’ultimo capolavoro verdiano abbia invece una dimensione in prevalenza retrospettiva. La trasparenza contrappuntistica e la complessità della partitura, nell’ottica del maestro coreano, non anticipano Stravinskij, Busoni o altri autori del Novecento. Più che aprire al nuovo secolo, il Falstaff di Chung resta saldamente ancorato all’Ottocento. Il direttore dipana una narrazione esuberante e scorrevole, a tratti frenetica, e pur non perdendo di vista la rincorsa al rapido “moto molecolare” della partitura, predilige le sonorità piene e ridondanti del Verdi più tipico. A tratti la strumentazione risulta sottoposta ad appesantimenti e forzature dinamiche, lasciando desiderare un’articolazione più cameristica delle trame timbriche. Il suono sembra poco propenso al sense of humour, al brio e all’ironia. Più centrati i momenti in cui emergono sentori di crepuscolarismo e tinte nostalgiche. Naturalmente, il coordinamento dei ritmi, specie in relazione al palcoscenico, risulta sempre compatto e serrato. Col risultato, fra l’altro, di portare la compagnia di canto a impegnarsi in un lodevole gioco di squadra.
Senza bisogno di trucchi scenici, Nicola Alaimo ha il physique du rôle ideale per la parte di Falstaff. La vocalità è adeguata, rotonda e morbida nell’emissione. In alcuni momenti, la tendenza a una certa enfasi istrionica e agli scatti rabbiosi va a scapito dell’eleganza e della nobiltà che pure appartengono al personaggio. A ogni modo, Alaimo fraseggia molto bene, sa giocare con le sottigliezze dell’accento, con le tinte dell’ironia e della disillusione amara. Ottima la messa a fuoco della parola scenica.
Nel ruolo di Ford, Vladimir Stoyanov offre una delle sue prove migliori. La voce risulta timbrata e omogenea in tutta l’estensione, sicura negli acuti. Con fraseggio accurato, incisivo, e accento accortamente dosato, delinea un personaggio introverso, scontroso, senza mai strafare. Il monologo delle corna è eccellente sotto ogni profilo. Da parte sua, Selene Zanetti è una credibile Alice Ford grazie alla buona timbratura del registro centrale (su cui gravita spesso la scrittura), ma anche alla capacità dell’interprete di esprimere quel misto di languore, malizia ed energia passionale che è la cifra caratteristica del personaggio.
Apprezzabile pure la coppia degli amorosi. Per René Barbera, la parte di Fenton è una specie di passeggiata. Abituato a ruoli ben più ardui sotto il profilo del virtuosismo e dell’estensione, il tenore messicano-americano ha gioco facile nel far valere la piacevolezza di un timbro da lirico-leggero, una linea di canto impeccabile, sempre sul fiato, e un appropriato gioco di chiaroscuri. Adeguatamente sentimentale è la Nannetta di Caterina Sala, dotata di una vocalità fresca, duttile, ben controllata nelle emissioni, limpida nei filati.
Sara Mingardo, poi, ci risparmia i continui e talvolta grotteschi cambi di registro e di colore che certa tradizione ha riservato a Mrs Quickly e ci restituisce una comare finalmente arguta, elegante, estranea a intenti gigioneschi e caricaturali. Ben assemblate anche le parti di contorno: dalla Meg puntuale e incisiva di Veronca Simeoni al Cajus delineato con parodistica misura da Christian Collia, ai gaglioffi Bardolfo e Pistola bene caratterizzati da Cristiano Olivieri e Francesco Milanese. Ottimo il coro preparato da Alfonso Caiani.
Se tutti recitano come attori consumati il merito è anche di Adrian Noble. Il regista britannico vanta una grande esperienza nel teatro di prosa (è stato direttore artistico della Royal Shakespeare Company) e i suoi allestimenti operistici risentono inevitabilmente di questa estrazione. Che Noble sappia far teatro non c’è dubbio. E in questa produzione veneziana lo fa in maniera del tutto tradizionale. Ambienta Falstaff all’epoca di Shakespaere in una cornice che ricorda il mitico Globe elisabettiano (le scene sono di Dick Bird, mentre i bei costumi sono firmati da Clancy), ricorrendo dunque all’espediente del teatro nel teatro. Non sarà una novità, ma il gioco funziona ed è gestito al meglio: nel primo atto si assiste alla messa in scena di Sogno di una notte di mezza estate alla presenza di Shakespeare stesso. La regia si mantiene con gusto su un registro ludico, brioso, con un’azione ben sintonizzata con il fluire della vicenda e della musica. A tratti, se vogliamo, la scena è un po’ troppo affollata, ma il risultato – grazie anche alle luci di Jean Kalman e Fabio Barettin – è nell’insieme piacevole e suggestivo. Non è detto che i nuovi allestimenti debbano offrire per forza soluzioni innovative, o prospettive inedite. Ogni tanto anche il ritorno alla tradizione ha il suo perché. E infatti il pubblico apprezza e accoglie con entusiasmo tutti gli artefici dello spettacolo. Ovazioni in particolare per Chung e Alaimo. [Rating:4/5]
Teatro La Fenice – Stagione 2022/23
FALSTAFF
Commedia lirica in tre atti di Arrigo Boito
Musica di Giuseppe Verdi
Sir John Falstaff Nicola Alaimo
Ford Vladimir Stoyanov
Fenton René Barbera
Dottor Cajus Christian Collia
Bardolfo Cristiano Olivieri
Pistola Francesco Milanese
Mrs Alice Ford Selene Zanetti
Nannetta Caterina Sala
Mrs Quickly Sara Mingardo
Mrs Meg Page Veronica Simeoni
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Myung-Whun Chung
Maestro del coro Alfonso Caiani
Regia Adrian Noble
Scene Dick Bird
Costumi Clancy
Luci Jean Kalman e Fabio Barettin
Regista associato e movimenti coreografici Joanne Pearce
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Venezia, 18 novembre 2022