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Valencia, Palau de les Arts – Macbeth

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Sessant’anni fa, quando ascoltai il primo Macbeth dal vivo, c’erano solo due registrazioni disponibili e il titolo era ancora raro. Oggi, per fortuna, non più. L’opera di Giuseppe Verdi fa parte del mainstream e l’abbiamo potuta sentire/vedere nella sua prima versione, con balletto e senza, poi nel rifacimento francese, e viene considerata, giustamente, uno dei titoli maggiori del suo formidabile autore. Continuano a colpire certe soluzioni risalenti al 1847 come il monologo “Mi si affaccia un pugnal” del protagonista, il duetto seguente con la Lady, la scena delle apparizioni, per non parlare del sonnambulismo e della grande scena finale del re assassino (compreso lo stupefacente “Mal per me che m’affidai” che Verdi, sempre attento all’azione teatrale, decise di tagliare al momento della versione di Parigi e che da tempo viene reintegrato nel nuovo finale), senza dimenticare le scene delle streghe.

La recita al Palau de les Arts di Valencia a cui ho assistito (un pienone) ha rischiato di saltare per uno sciopero indetto dal personale del teatro ma che, per fortuna, si è risolto con un ritardo di mezz’ora. Sarebbe stato un peccato, anzitutto perché, come in questo caso, quando c’è un grande direttore gli elementi meno perfetti o più discutibili passano in secondo piano. E credo che oggi si possa dire che Michele Mariotti, per quanto ancora giovane, è un grandissimo maestro. Pensavo fosse difficile avere sorprese all’ascolto di quest’opera, ma ho dovuto ricredermi. Sotto la direzione di Mariotti, la marcia reale dell’atto primo (tanto deprecata) non sembra affatto una semplice banda. Poco prima, si ascolta una versione della cabaletta della Lady “Or tutti sorgete” dove il ritmo incalzante e gli accenti degli archi fanno rabbrividire, permettendo di cogliere tutta l’ossessione per il potere di questo essere demoniaco. Inutile denigrare le cabalette: semplicemente bisogna capirle, crederci e saperci fare. Il lavoro sui fiati – l’Orchestra della Comunitat Valenciana è sempre eccellente – , il pizziccato degli archi (preludio, introduzione al sonnambulismo, ma anche tutto l’atto terzo), il ritmo di un coro forse ‘debole’ come quello dei sicari che aspettano Banco, sono altri esempi di un lavoro di cesello che non va mai a scapito della visione d’insieme e che si può cogliere chiaramente anche nei due grandi concertati e nella scena della battaglia, negli accompagnamenti dei recitativi, nel tremendo dolore di “Patria oppressa”, un coro geniale che fa capire subito il famoso umanesimo del compositore, che come nell’originale di Shakespeare arriva perfino alla compassione per gli spietati assassini, e ben prima del sonnambulismo e dell’ultima scena: da questo punto di vista solo Kurosawa e magari Welles sono arrivati a un comprensione così affascinante della “tragedia scozzese”. Benissimo il coro della Generalitat di Valencia istruito come al solito da Francesc Perales.

Protagonista di questa recita doveva essere Luca Salsi, chiamato al posto dello scritturato Carlos Álvarez, ma a sua volta il baritono italiano, indisposto, è stato sostituito da George Gagnidze. Un cantante che ha mezzi vocali adeguati per il ruolo ma manca di finezza e, quando la cerca, anziché cantare a mezzavoce o piano, sconfina nel parlato, compromettendo così la ‘linea’ che in Verdi non dovrebbe mai venire meno. Si aggiunga che il colore sembra un po’ appannato e che la presenza scenica e la capacità attoriale non hanno fatto mai parte del bagaglio di questo baritono.
Benissimo invece la Lady di Anna Pirozzi, e pazienza se il difficilissimo re bemolle nella scena del sonnambulismo è stato appena accennato. Convincente anche come attrice, si è dimostrata sicura in tutti i registri (la tessitura, si sa, è spietata quanto il personaggio), forse un po’ meno nei gravi. Molto bene anche il Banquo di Marko Mimica in una delle sue serate migliori e bene, anche se forse un po’ leggero per la parte, il Macduff di Giovanni Sala, che si è fatto notare in particolare nel recitativo “O figli, o figli miei”. A posto il Malcolm di Jorge Franco e la Dama di Rosa Dávila, entrambi del Centre di Perfeccionament, e corrette le parti minori, in particolare quella del basso Luis López Navarro, più a suo agio nei panni della prima apparizione e del sicario che in quella del medico.

Dimenticavo la parte visiva. Siccome non mi è piaciuta (a parte l’azzeccato ultimo atto), mi sono lasciato guidare dalla bacchetta di Mariotti e così ho rimosso Bugs Bunny e la Pantera Rosa che, tra gli altri, uccidevano Banco, non ho seguito i giochi di Macbeth e la Lady durante il preludio, non ho fatto caso alle streghe-ballerine da cancan nel terzo atto. L’allestimento è una coproduzione con la Royal Danish Opera per la regia di Benedict Andrews, con costumi moderni di Victoria Behr, scene di Ashley Martin-Davis, luci (un paio di volte accecanti, forse per contrasto con l’oscurità imperante) di Jon Clark, e movimenti coreografici di Ran Braun, anche se non abbiamo avuto modo di ascoltare il migliore (per me) tra i ballabili di Verdi, proprio quando avevamo a disposizione una bacchetta capace di farcelo capire.

Palau de las Artes – Stagione 2121/22
MACBETH
Melodramma in quattro atti
Libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi

Macbeth George Gagnidze
Banco Marko Mimica
Lady Macbeth Anna Pirozzi
Dama di Lady Macbeth Rosa Dávila
Macduff Giovanni Sala
Malcom Jorge Franco
Medico/ Sicario Luis López Navarro
Domestico Marcelo Solís
1° Apparizione Luis López Navarro
2° Apparizione Francisco Arasteny
3° Apparizione Adrián García

Orchestra e Coro della Comunitat Valenciana
Direttore Michele Mariotti
Maestro del coro Francesc Perales
Regia Benedict Andrews
Scene Ashley Martin-Davis,
Costumi Victoria Behr
Luci Jon Clark
Coreografie Ran Brown

Valencia, 10 aprile 2022

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