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Trieste, Teatro Verdi – Tosca

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Quasi la data della sua prima esecuzione mondiale, il 14 gennaio del 1900, fosse un simbolo, Tosca di Giacomo Puccini segna un momento di passaggio nella storia del melodramma italiano: fatte proprie le lezioni wagneriane e quella dell’ultimo Verdi (che confessò di essere stato attratto dal dramma di Sardou), Puccini si afferma definitivamente quale autentico ponte fra la grande tradizione Ottocentesca e il Novecento, di cui, in questa possente partitura, anticipa soluzioni armoniche per le quali bisognerà attendere ancora qualche anno per ritrovarle, ad esempio, in Richard Strauss. Ma Puccini, che, fra i compositori italiani, fu senza dubbio quello più attento a quanto accadeva oltralpe, non solo accoglie e rielabora stimoli e idee musicali, ma anche di natura drammaturgica, dando al secondo atto del dramma un taglio che fa suo il linguaggio del neonato cinematografo, immaginando un rapido sovrapporsi e alternarsi di piani sonori (la cantata, la tortura di Cavaradossi, il suono dei tamburi che apprestano il patibolo), anticipati dall’impressionante scena del Te Deum che chiude l’atto primo e che sfociano nell’alba romana che apre il terzo atto, con qui rintocchi di campane romane che anticipano nell’idea gli affreschi sinfonici di Respighi, ancora da venire.

Questa potenza di scrittura, dove gli accordi di Scarpia si susseguono irrelati in un linguaggio nuovo, dove il ritmo si confonde e precipita in sincopi e parcellizzazioni tematiche in attesa di definirsi in una linea melodica (una prova de La fanciulla del West?) trova nell’allestimento di Hugo de Ana, in scena al Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste proveniente dal Comunale di Bologna e già recensito da Connessi all’Opera (qui il link), una trasposizione visiva che non solo coglie certi aspetti formali della partitura, ma anche l’inquietudine del periodo storico che si agita sullo sfondo della vicenda, incupito e reso incerto dalla presenza di poteri diversi eppure in egual modo oppressivi. Se le scene, con gli scorci deformanti dal basso verso l’alto, le proiezioni di fotogrammi di celeberrimi quadri e particolari delle basiliche romane, e i filmati, che ci raccontano quanto il libretto omette, unitamente alle belle luci di Valerio Alfieri, sono efficaci nel rendere il clima mutevole, inquieto e colmo di foschi presagi di quei giorni di giugno del 1800, successivi alla battaglia di Marengo – o quelli nostri, di questo fosco marzo 2022, quando nuove battaglie scuotono animi e coscienze dell’Europa e mettono a rischio la pace mondiale –, sul palcoscenico del Verdi la regia sembra lasciare a tratti gli interpreti a se stessi, concedendo alcune ingenuità, che non inficiano, tuttavia, uno spettacolo riuscito.

La direzione del Maestro Christopher Franklin non riesce a infondere alla scrittura pucciniana unità né a trarre dall’Orchestra del Teatro Verdi un impasto sonoro definito, sicché le singole sezioni sembrano procedere piuttosto per accostamenti timbrici e dinamici, con alcuni attacchi che vanno a discapito della coesione col palcoscenico. Come il tripudio delle linee barocche smarrisce chi le osservi, sembrerebbe che Franklin si sia eccessivamente concentrato sul dettaglio singolo della partitura, perdendo di vista l’architettura nel suo complesso.

Dominatrice della serata – preceduta da un minuto di silenzio in segno di rispetto per le vittime della guerra in Ucraina e da un ricordo degli ultimi spettacoli ospitati dal teatro tergestino che hanno visto come protagonisti compagini ucraine – è Maria José Siri che si riconferma una delle maggiori interpreti di questo repertorio. Siri sfoggia un timbro morbido e omogeneo, caldo nell’ottava bassa e luminoso degli acuti. Il fraseggio è ampio ed è in pagine come “Non la sospiri” che si apprezzano le doti dell’interprete attenta ai dettagli. Potendo contare su un’ampia gamma dinamica, in virtù di una tecnica sicura, la sua Tosca appare profondamente umana; della “diva” mantiene forse i tratti più ingenui e le fragilità di cui resta ella stessa vittima: non ha l’impeto drammatico sfoderato da altre colleghe del passato, ma si pone come erede di una tradizione di interpreti che in Tosca hanno visto principalmente l’ancella di quel “canto” che la protagonista diede agli angeli del ciel, sicché nulla è concesso agli effetti veristi più esteriori, e anche la temibile “lama” scoperta del terzo atto, quell’autentico salto nel buio che intimoriva, più di quello conclusivo con cui conclude la vicenda, voci ormai entrate nel mito come Magda Olivero e Renata Tebaldi, è risolta splendidamente.
Mikheil Sheshaberidze è un Mario Cavaradossi dotato di una buona impostazione che gli permette di salire all’acuto con sicurezza e buono squillo. Talora il passaggio presenta qualche incertezza, mentre il personaggio risulta ancora acerbo: i colori sono piuttosto uniformi, anche se il fraseggio è complessivamente bene delineato. Nonostante “tenoreggi” secondo tradizione prolungando oltre misura gli acuti su “la vita mi costasse” e il celebre “Vittoria!” nel secondo atto, offre una buona prestazione, riscuotendo un felice successo. Alfredo Daza veste i panni del barone Scarpia, con intuizioni a volte sottili e interessanti dal punto di vista interpretativo, ma vocalmente non è pienamente a fuoco, e privilegia uno stile declamato che non gli consente di approfondire tutte le sfaccettature di questo complesso carattere. Bene i comprimari, dall’Angelotti di Cristian Saitta, curato e ricco di accenti inediti, al Sagrestano di Dario Giorgelè, ripulito da tutti i tratti caricaturali della tradizione, allo Spoletta astuto e viscido di Motoharu Takei, sino allo Sciarrone di Min Kim e al carceriere di Giuliano Pelizon. Buona la prova del Coro del Teatro Verdi, un po’ sacrificato sul fondo del palco nella scena del Te Deum, diretto dal Maestro Paolo Longo e sempre precisi I Piccoli cantori della Città di Trieste, puntigliosamente preparati dal Maestro Cristina Semeraro che ha curato anche la bella voce della giovane Maria Vittoria Capaldo interprete di Un Pastore.

Teatro Lirico Giuseppe Verdi – Stagione lirica e di balletto 2022
TOSCA
Opera lirica in tre atti su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
dall’omonimo dramma di Victorien Sardou
Musica di Giacomo Puccini

Floria Tosca Maria José Siri
Mario Cavaradossi Mikheil Sheshaberidze
Il barone Scarpia Alfredo Daza
Cesare Angelotti Cristian Saitta
Il sagrestano Dario Giorgelè
Spoletta Motoharu Takei
Sciarrone Min Kim
Un carceriere Giuliano Pelizon
Un pastore Maria Vittoria Capaldo

Orchestra Coro e Tecnici della Fondazione
Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Direttore Christopher Franklin
Maestro del coro Paolo Longo
Con la partecipazione de I Piccoli Cantori della Città di Trieste
diretti da Cristina Semeraro
Regia, scene e costumi Hugo de Ana
Luci Valerio Alfieri
Allestimento Fondazione Teatro Comunale di Bologna

Trieste, 4 marzo 2022

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