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Trieste, Teatro Verdi – Rigoletto

Penultimo titolo in cartellone, il Teatro Verdi di Trieste mette in scena Rigoletto di Giuseppe Verdi, scrigno di madreperla non solo di pagine popolari citate nei più disparati contesti, ma capolavoro assoluto, in cui il tema dell’amore viene analizzato in tutte le sue forme e deviazioni: l’amore paterno che diviene oppressivo in Rigoletto e infonde nell’amore ideale di Gilda per il Duca un desiderio di libertà, in cui ella trova, forse, la forza del sacrificio supremo che la ricongiungerà all’altro affetto, continuamente aleggiante nell’opera: quello della madre; e ancora l’amore come gioco e godimento libertino nel Duca. A ben vedere, il dramma ispirato da Hugo, è una sorta di decalogo delle degenerazioni in cui il più nobile dei sentimenti può decadere sino ad annullarsi a partire da Monterone in cui, come in Rigoletto, si trasforma in odio. Non ci sono vincitori in quest’opera: né Monterone, appunto, a cui è destinato il carcere, né Gilda, la cui morte non le riporta il Duca, non Rigoletto che in Gilda perde tutto: culto, famiglia, il suo universo, non Maddalena, guidata come il Duca dall’istinto e come il fratello da un amore puramente materiale ed empio per il denaro. Unico non vinto, ma neppure vincitore, perché perpetuamente solo, il Duca, Don Giovanni lasciato peregrinare per propagare il suo male, quasi un Hollander senza redenzione. A meno di non volervi vedere un’immagine ancora più cupa: solo l’amore sensuale, istintivo è quello che unico può concretamente esistere; e allora l’impulso vitale è egoismo e per questo ogni sua idealizzazione è condannata a degenerarsi. Egoismo quello di Rigoletto, di Gilda, di Monterone. Paradossalmente solo il Duca risulterebbe puro. In questa complessità tematica, che Verdi, in virtù del suo genio musicale e teatrale, ha tradotto in una partitura perfetta che ha nel celeberrimo quartetto del terzo atto “Bella figlia dell’amore” la sua sintesi suprema, risiede la modernità dell’opera.

Éric Chevalier, che firma regia e scene, realizza uno spettacolo a tratti scarno, di stampo tradizionale. La scena è a impianto fisso con quinte laterali e una grande doppia scala centrale che porta a un praticabile e che, ruotando, diviene ora il muro della casa di Rigoletto, ora lascia vedere uno scorcio della strada in cui Rigoletto incontra Sparafucile, ora è parte di un salone del palazzo ducale ora l’interno della casa del bandito. Sul fondo vengono proiettati immagini degli elementi che completano la scena: se quella dei giardini della prima scena risulta poco efficace, i risultati migliorano nel prosieguo dello spettacolo dove anche l’uso delle luci si fa più accorto ed efficace integrandosi con i colori dei bei costumi di taglio tradizionale pensati da Giada Masi. Dal punto di vista prettamente registico se da un lato si apprezza il lavoro sul rapporto padre-figlia, evidente nella gestualità e nella mimica dei due personaggi, dall’altro va detto non tutto funziona benissimo e a tratti sembra quasi che gli interpreti siano lasciati agire più in base alla propria esperienza e a quello che a essi può venire dalla musica che da precise indicazioni. Ciò che non sembra funzionare è il tentativo – difficile dire se voluto – di infrazione dell’illusione scenica, con le luci in sala che si accendono durante la festa del primo atto, così da permettere a Borsa di additare al Duca le beltà presenti e, meno ancora, quello del terzo atto quando, per permettere ai tecnici di ruotare il praticabile, viene calato il sipario durante il finale della tempesta e Rigoletto viene fatto uscire a cantare sul proscenio, il suo monologo “Della vendetta alfin giunse l’istante”: più Prologo dei prossimi Pagliacci che colpo di teatro.

Bene assecondata dall’Orchestra del Teatro Verdi, Valentina Peleggi dirige un cast che nella omogeneità di livello ha il suo punto di forza. La sua è una lettura pulita, attenta al suono e al colore orchestrale, capace di staccare tempi giusti e di mantenere un ritmo narrativo in cui solo quel tratto delle cabalette, che Werfel definiva “garibaldino”, retaggio e anima del Risorgimento italiano che si riaccende talora anche nei titoli dell’estrema maturità del compositore, tende a tratti non tanto a raffreddarsi, ma a contenersi. Ciò non toglie all’interpretazione della Peleggi un suo fascino e una sua coerenza che offre il meglio di sé nelle pagine più intimistiche, nell’attenta resa degli accompagnamenti ai duetti fra Rigoletto e Gilda, nell’attenzione alle voci e agli equilibri fra le sezioni orchestrali.

Devid Cecconi è un Rigoletto molto elegante, scevro da ogni eccesso, la cui voce, in sintonia con la lettura del Maestro Peleggi, si adatta perfettamente alle pagine più liriche nelle quali trova una variegata gamma di colori fra i piani e i mezzo forte. Timbro chiaro, di buon volume, fraseggia con intelligenza, eppure anche nella sua interpretazione appare, per così dire, eccessivamente controllato dalla ragione quell’impeto dell’animo che rende Rigoletto umano: così la terza sezione di “Cortigiani, vil razza dannata” è forse troppo raccolta, la frase non si apre mai troppo, la cavata non è piena, rimane più un’umile richiesta che una disperata richiesta; soprattutto se neppure nella stretta del duetto quest’energia rabbiosa si sprigiona. Ruth Iniesta nella parte di Gilda consegna a Trieste la più felice delle sue interpretazioni fra quelle a cui abbiamo assistito su queste scene negli ultimi anni. Vocalmente in forma, esibisce un bel fraseggio e ricche dinamiche su cui può contare grazie a una tecnica sicura; senza rinunciare al coté virtuosistico di “Caro nome”, ritrae una Gilda totalmente credibile tanto quanto figlia, a un tempo pervasa da profonda pietas per il padre e pronta alla ribellione, che come giovane donna che scopre l’amore. Antonio Poli è un Duca spavaldo che può contare su una voce dal bel timbro autenticamente tenorile, robusta e ben proiettata. Dotato di grande musicalità, risulta attento alle indicazioni di Verdi, e si impegna, giustamente, a cantare con eleganza anche le pagine che si immaginano più “volgari” come la ballata e la canzone; pur giocando con i piani e i forti nell’aria che apre il secondo atto, è parco di mezzevoci, per cui i chiaroscuri sono molto netti, mentre a volte tende a forzare verso l’acuto, che pure gli riesce estremamente facile, con il rischio di risultare crescente.

Abramo Rosalen è uno Sparafucile drammaticamente misurato, curato nel canto allusivo, mentre Anastasia Boldyreva impressiona nella parte di Maddalena per il suo timbro di autentico mezzosoprano caldo e una tecnica sicura che restituiscono il ruolo a quello di autentica co-protagonista dell’importante prima parte del quarto atto. Tutto il resto del cast si allinea su questi buoni risultati a partire dall’ottimo Borsa del giovane Dario Sebastiano Pometti che si distingue seppure in questa piccola parte, alla Giovanna sorniona di Mimika Yamagiwa, alla sempre interessante e versatile Rinako Hara che veste i panni della Contessa di Ceprano e del Paggio, all’elegante, sebbene pure lui un po’ troppo trattenuto, Rocco Cavalluzzi quale Monterone, per giungere a Francesco Musino, conte di Ceprano, e, infine, a Dario Giorgelé che si riconferma affidabile interprete e cantante nella parte di Marullo e a Damiano Locatelli quale usciere. Il Coro del Teatro Verdi ritrova qui giusto spazio e occasione per riconfermare le proprie qualità e la propria preparazione come sempre curata dal Maestro Paolo Longo.
Il pubblico, non numerosissimo, dimostra di apprezzare lo spettacolo nel suo complesso, tributando generosi applausi al termine della rappresentazione. [Rating:3.5/5]

Teatro Lirico Giuseppe Verdi – Stagione lirica e di balletto 2022
RIGOLETTO
Melodramma in tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave
dal dramma Le Roi s’amuse di Victor Hugo
Musica di Giuseppe Verdi

Il Duca di Mantova Antonio Poli
Rigoletto Devid Cecconi
Gilda Ruth Iniesta
Sparafucile Abramo Rosalen
Maddalena Anastasia Boldyreva
Giovanna Kimika Yamagiwa
Il Conte di Monterone Rocco Cavalluzzi
Marullo Dario Giorgelè
Matteo Borsa Dario Sebastiano Pometti
Il Conte di Ceprano Francesco Musinu
La Contessa di Ceprano / Un paggio della Duchessa Rinako Hara
Un usciere di Corte Damiano Locatelli

Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi
Direttore Valentina Peleggi
Maestro del coro Paolo Longo
Regia e scene Éric Chevalier
Costumi Giada Masi
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi

Trieste, 6 maggio 2022