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Trieste, Teatro Verdi – Il pipistrello

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Ritorna a Trieste, quasi una memoria dei gloriosi anni in cui, nei mesi estivi, la città era protagonista del Festival dell’Operetta, Il pipisterello, capolavoro di Johann Strauss jr. e di un genere spesso considerato erroneamente minore. Scritta in brevissimo tempo, la partitura vide la luce al Theater an der Wien nel 1874, all’alba quasi di quel periodo storico contraddistinto da una nuova industrializzazione, scoperte scientifiche e un progressivo benessere – e da rinnovate spinte colonialistiche – che gli valsero di lì a qualche anno il nome di Bella Époque. La partitura di Strauss e il libretto contengono tutti i caratteri che si sogliono attribuire allo spirito del tempo: leggerezza, fiducia nell’ingegno umano, un generale ottimismo, ma anche quelli che scorrono più sotterranei in chi visse i contrasti di quell’epoca, primo fra tutti un senso di nostalgia e di inquietudine che traspare a tratti dalle languide melodie di valzer straussiani. È quindi essenziale mantenere intatto, nell’esecuzione e nell’allestimento dello spettacolo, l’equilibrio ingenuo, attribuendo al vocabolo un significato assolutamente positivo, di un gioco lieve, senza caricare all’eccesso un aspetto a discapito di un altro. In tal senso possiamo dire che l’edizione triestina coglie nel segno.

Il regista Oscar Cecchi sposta la vicenda alla fine della Bella Époque collocandola nel 1914, scelta di per sé legittima e vincente, salvo avere voluto costruire un parallelismo, non errato, ma drammaturgicamente non essenziale, con i nostri giorni; entrando in sala, dunque, lo spettatore viene subito accolto in un interno dei giorni nostri, in cui si muove, in assoluto relax e abiti da camera, una giovane coppia, fra quadri ritraenti Maria Callas in stile Andy Wharol e televisioni che trasmettono notiziari sulla guerra Ucraina e di recente cronaca. Durante l’Ouverture viene calato il sipario e il tempo scorre a ritroso sino al 1914 così che, al suo riaprirsi, alle pareti di quel salotto borghese troviamo i ritratti di Francesco Giuseppe e le prime pagine della Domenica del Corriere con le celeberrime illustrazioni dell’assassinio di Sarajevo, episodio scatenante del primo conflitto mondiale. Per il resto, lo spirito del libretto è rispettato appieno e sicuramente le repliche contribuiranno ad affinare i ritmi e i tempi della recitazione, soprattutto delle parti non cantate, che risultavano talora ancora un po’ artificiose. Paolo Vitale realizza delle scene funzionali ed efficaci, che suppliscono ai pochi mezzi, con un senso del gusto e della misura che ben si sposa a quello del teatro del regista; così l’imponente cornice dorata che inquadra tutto il boccascena all’inizio del secondo atto, con la grande giraffa-lampadario, i leoni, i quadri di Klimt, è un bell’effetto che ben riunisce i simboli di quel tempo – il lusso, il fascino dell’esotico, il senso di supremazia verso ciò che dalle colonie proveniva – e letteralmente ritaglia un frame su un’epoca giunta alla sua ultima scena.
L’ottimo corpo di ballo della SNG Opera in Balet Ljubljana con le coreografie di Lukas Zuschlag sintetizza alla perfezione, infine, tanto la spensieratezza aerea del ritmo dei valzer con il languore delle loro melodie, che il senso di noia che si accompagna all’edonismo decadente dell’ambiguo principe Orlofsky, incarnandone, nelle pose e movenze, la fluidità di genere che lo identifica e ne fa un personaggio di grande attualità.

Nikolas Nägele dirige l’Orchestra del Teatro Verdi di Trieste, che ritrova la sua collocazione nel golfo mistico, fraseggiando con grande eleganza e musicalità; l’agogica non lascia spazio a effetti esteriori o di stampo tardo romantico e decadente, mentre la gamma dinamica è buona e curato il suono della compagine orchestrale; a rendere pienamente convincente l’esecuzione manca un po’ di verve, quasi il folle volo di questo pipistrello sia ricondotto a una razionalità che non gli appartiene del tutto.

Sul palcoscenico, Marta Torbidoni impersona Rosalinde: voce calda e pastosa nel registro medio, dotata di una buona tecnica e di un buon volume, deve ancora conquistare, a tratti, naturalezza e disinvoltura, soprattutto nel registro acuto. La sua è peraltro una prova positiva che abbisogna solo di un po’ di tempo per padroneggiare completamente la parte. Manuel Pierattelli veste i panni di Gabriel von Eisenstein con eleganza e simpatia: forse la parte, scritta per tenore, ma, non sempre a caso, nella prassi affidata a un baritono in passato, non è l’ideale per il suo timbro di tenore lirico che in alcuni momenti fatica a trovare la giusta emissione. Alessandro Scotto di Luzio può permettersi di giocare nel ruolo di Alfred, il tenore italiano, facendo per l’appunto “il tenore”, con tutto il repertorio di “divismi” che si sogliono attribuire ai cantanti, ma senza rinunciare a una buona esecuzione della serenata iniziale. Ottima l’Adele di Federica Guida, che esibisce una voce chiara, omogenea nei registri e capace di eseguire le agilità con la dovuta scioltezza, mentre si riconferma voce di grande fascino, dal timbro profondo e vellutato, Anastasia Boldyreva nel ruolo en travesti di Orlovfsky. Motore della vicenda, il Dottor Flake è affidato alla voce esperta di Fabio Previati, perfettamente calato nella parte e a suo agio con la scrittura. Convince pienamente anche la prova di Stefano Marchisio quale Frank, che si segnale per una tecnica bene impostata, un timbro brunito da autentico baritono e le ottime doti di attore. In ruoli minori Federica Vinci (Ida) e Andrea Schifaudo (Dottor Blind) si pongono a livello dei colleghi e completano degnamente un buon cast che nelle repliche avrà modo di dare ancora il meglio di sé. Andrea Binetti, infine ma non certo ultimo, nella parte di Frosch si riconferma artista e uomo di teatro, autentico erede della tradizione che da un lato risale a Sandro Massimini, a cui sono legati i suoi esordi, dall’altro all’altrettanto grande e compianto Elio Pandolfi, entrambi più volte protagonisti di memorabili allestimenti al Festival dell’operetta. Il Coro del Teatro Verdi, a cui speriamo venga presto concesso di cantare senza mascherina, ha come sempre offerto una buona prova sotto la direzione del Maestro Paolo Longo.
La serata si è chiusa con un successo da un pubblico non numerosissimo ma caloroso come da tradizione e … da stagione.

Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
IL PIPISTRELLO
Operetta in tre atti di Johann Strauss jr
Libretto di Carl Haffner e Richard Genée basato su
Le Reveillon di Henri Meilhac e Ludovic Halévy

Gabriel von Eisenstein Manuel Pierattelli
Rosalinde Marta Torbidoni
Alfred Alessandro Scotto di Luzio
Adele Federica Guida
Principe Orlofsky Anastasia Boldyreva
Dottore Falke Fabio Previati
Frank Stefano Marchisio
Frosch Andrea Binetti
Ida Federica Vinci
Dottor Blind Andrea Schifaudo

Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi
Direttore Nikolas Nägele
Maestro del coro Paolo Longo
Regia Oscar Cecchi
Scene Paolo Vitale
Coreografie Lukas Zuschlag
Corpo di ballo della SNG Opera in Balet Ljubljana
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi

Trieste, 10 luglio 2022

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