Chiudi

Trieste, Teatro Verdi – Don Pasquale

Condivisioni

Il Don Pasquale di Gaetano Donizetti, capolavoro della tarda maturità del compositore bergamasco, che, pur debitore ancora di Rossini per alcuni stilemi, è ormai del tutto padrone del proprio genio e mescola con la sua personalissima cifra l’elemento buffo con quella melanconia della perdita – sia della ragione o della persona amata, del tempo passato o della propria libertà – che contraddistingue la propria produzione, ritorna al Teatro Verdi di Trieste nel brillante allestimento del Teatro Comunale di Bologna, firmato da Gianni Marras alla regia e Davide Amadei per la scenografia e i costumi.

L’azione è trasposta in un non tempo cinematografico ricco di citazioni di pellicole degli anni Cinquanta-Sessanta, in cui situazioni entrate nell’immaginario comune si mescolano ad altre, che difficilmente si direbbe se rimandino più alla realtà storica o a un mondo di celluloide. Certo, Marras e Amadei attingono a piene mani al mondo patinato delle riviste di quel tempo dove gossip, finzione e cronaca venivano mescolati in una narrazione per immagini che ricreava un bel mondo quasi epico, nella sua sorridente e ipocrita corsa al benessere. Ecco pertanto Don Pasquale seguire la descrizione che Malatesta gli fa di Norina, sfogliando un catalogo di pin up, e quest’ultima attendere il Dottor Malatesta dal coiffeur, sotto il caso; appreso il piano per incastrare Don Pasquale, un po’ industriale un po’ personaggio uscito dalla fantasia di Scarpetta rivisitata da Totò e Mattoli, si affretta poi “al gran cimento” correndo per le vie di una Roma ricreata con i tratti pittorici della pubblicità dell’epoca, su una vespa, brillante citazione di Vacanze romane con la magnifica Audrey Hepburn; o, ancora, il povero Ernesto che si appresta a lasciare la casa dello zio vestito in tuta spaziale sullo sfondo di un razzo che punta alla Luna del 1969 o forse a un fantastico Marte meta di tanti film di fantascienza del periodo. Ernesto, infine, che incarna il ragazzo-mito del tempo, col ciuffo biondo pettinato alla Bobby Solo/Little Tony e che canta la sua serenata del terzo atto con un microfono ondeggiando il bacino come Elvis the Pelvis. E fra queste reminiscenze di uno-nessuno e centomila personaggi che si muovono fra le coloratissime, quanto i loro bellissimi costumi, scene di Amadei e la comparsa di un notaio-Groucho Marx, il trait d’union narrativo diventa il poliedrico factotum impersonato dall’eccellente e misurato mimo Daniele Palumbo.

Così immaginato, lo spettacolo diventa l’indubbio protagonista, grazie anche all’arte scenica degli interpreti; l’aspetto prettamente musicale, tende al contrario, almeno secondo le impressioni ricavate alla quarta recita a cui abbiamo assistito, a restare per così dire schiacciato, quasi una colonna sonora, complementare, imprescindibile, ma, per certi aspetti, un commento alla rutilante ri-creazione del regista. La direzione di Roberto Gianola che stacca tempi tutto sommato inappuntabili e sa far cantare con ampio fraseggio l’Orchestra del Teatro Verdi, tende tuttavia, da punto di vista dinamico, ad assestarsi su una gamma che dal mezzo forte va al fortissimo; vanno così perse quelle tinte notturne che pervadono la partitura, dall’introduzione all’aria di Ernesto nel secondo atto al celeberrimo notturno del terzo; colori che sono il carattere peculiare di molto Donizetti buffo e tragico, e che corrispondono a quella soffusa melanconia a cui si accennava prima. La scena dello schiaffo, geniale con quello splendido tema affidato all’orchestra che accompagna il declamato sommesso, gonfio quasi di pianto trattenuto, “è finita Don Pasquale”, tale che il canto della stessa Norina si carica di rimorso, scivola via veloce, quasi fosse poco più che breve sosta nell’azione comica, e non, qual è, una finestra sull’anima del povero vecchio. Questo colore un po’ piatto, a tratti fragoroso, se da un lato corrisponde ai colori primari della scenografia (tanti gialli e blu), dall’altro si trasfonde anche agli interpreti.

La Norina di Nina Muho è vivace, petulante, briosa, fascinosa nella figura come lo fu la Hepburn; il timbro nel registro acuto tende a essere poco gradevole, aspro, mentre le colorature scivolano via poco pulite, specie alla conclusione di certe frasi; certamente cresce nel corso della recita dando il meglio di sé, vocalmente, nel secondo atto. Antonino Siragusa è un eccellente Ernesto, ottimo fraseggiatore, sicuro nell’acuto, e si riconferma uno specialista di questo repertorio, anche se lui pure soggiace alla generale omogeneità di colori. Pablo Ruiz conferisce a Don Pasquale un bel timbro e varietà di accenti, ma il registro basso suona a tratti meno timbrato; pronuncia bene le parole anche se dove Donizetti richiede velocità e chiarezza qualcosa si perde. È, tuttavia, un personaggio credibile e spassoso, come pure il Dottor Malatesta di Vincenzo Nizzardo, che si fa apprezzare per un bel timbro baritonale caldo. Sebbene tenda a marcare troppo le vocali quando scende, ottenendo un effetto non sempre gradevole, fraseggia bene l’aria “Bella siccome un angelo” trovando tratti di originalità e incarna con misurato brio il genio creatore di intrighi e beffe protagonista di una lunga tradizione comica. Armando Badia offre il suo valido contributo nel ruolo del Notaio, mentre il Coro del Teatro Verdi, diretto da Paolo Longo, finalmente non schiacciato sul fondo della scena, seppure sottoposto ancora all’obbligo di mascherine, esegue ottimamente “Che interminabile andirivieni”.

Teatro Lirico Giuseppe Verdi – Stagione lirica e di balletto 2021/22
DON PASQUALE
Dramma buffo in tre atti su libretto di Giovanni Ruffini e Gaetano Donizetti
Musica di Gaetano Donizetti

Ernesto Antonino Siragusa
Norina Nina Muho
Don Pasquale Pablo Ruiz
Il Dottor Malatesta Vincenzo Nizzardo
Un Notaro Armando Badia
Mimo Daniele Palumbo

Orchestra, Coro e tecnici della Fondazioni Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Direttore Roberto Gianola
Maestro del coro Paolo Longo
Regia Gianni Marras
Scene e costumi Davide Amadei
Allestimento Fondazione Teatro Comunale di Bologna

Trieste, 7 aprile 2022

image_print
Connessi all'Opera - Tutti i diritti riservati / Sullo sfondo: National Centre for the Performing Arts, Pechino