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Trapani, Luglio Musicale Trapanese 2022 – Tosca

The show must go on. Sembra essere stato questo l’imperativo della nuova governance del Luglio Musicale Trapanese, la più antica istituzione musicale “estiva” siciliana, che nel corso degli ultimi mesi – per tacere degli ultimi anni – non naviga certo in acque tranquille. Improvvisi cambi al vertice, ogni anno, sono stati all’origine di ripensamenti della politica artistica della rassegna, che se da una parte ha beneficiato di un fiorire di iniziative spesso di notevole interesse, dall’altro da tempo attende una stabilità invocata a gran voce dalle maestranze in forze all’ente, prima ancora che dal pubblico. Eppure il Luglio Musicale Trapanese rimane una delle poche, inattaccabili certezze dell’estate siciliana, «come scoglio immoto resta contro i venti e la tempesta»: non hanno perso il sorriso né una fattiva operosità il nuovo consigliere delegato, Natale Pietrafitta, e il direttore artistico, Walter Roccaro, pronti a rimodulare la stagione, presentata nel mese di aprile, adattarla alle risorse economiche disponibili e, soprattutto, avviare una produzione che, nel solco della tradizione, non lascia in silenzio la lirica trapanese. Il traguardo delle 1400 presenze, che ha coronato le due recite del primo titolo in cartellone, è forse il risultato migliore che si potesse auspicare.

Il sipario si è dunque alzato su Tosca, titolo assai atteso da un uditorio rimpinguato da consistenti presenze di turisti, una nuova produzione che aspira a dimostrare come, senza inutili clamori e false aspettative, si possano raggiungere esiti di onestà e correttezza professionale. Per questo merita un plauso, in primis, Manuela Ranno, bacchetta sensibile e accorta nel mantenere salda e compatta la tenuta del palcoscenico e dell’orchestra, alle prese con un equilibrio acustico – quello dell’opera en plein air, in generale, ma soprattutto a Villa Margherita, ubicata in pieno centro cittadino – continuamente messo a repentaglio dall’inquinamento sonoro urbano. Non è merito da poco, dunque, la duttilità con cui ha condotto le pagine più complesse, dal Finale I, giustamente grandioso e magniloquente, al grande duetto tra Scarpia e Tosca, nel secondo atto, in cui la cautela nella scelta dei tempi diventa quasi una sorta di sinistra macchina della tortura, bordone impietoso di una confronto teso, violento, da autentico thriller, benché aperto a improvvise oasi di lancinante lirismo. L’arco drammatico sembra quasi stemperarsi nell’ultimo atto, in cui la pittura d’ambiente conquista il primo piano, evoca una Roma in cerca di luce nelle ore estreme della notte: i bagliori del solo di clarinetto che prelude all’ultima aria di Cavaradossi sono l’ultima memoria di felicità, prima della grande, tragica messinscena finale. Raccontare, sostenere, squadernare frammenti di una disperata storia d’amore: le preoccupazioni di Ranno trovano riscontro nella bella prova della compagine orchestrale, che si apprezza per la linearità degli esiti, come del coro, puntualmente istruito da Fabio Modica, e del delizioso gruppo delle voci bianche, preparate da Anna Lisa Braschi.

Selezionata in maniera accurata, la distribuzione vocale conquista l’attenzione dell’uditorio. La prova più attesa era senz’altro quella di Chiara Isotton, che della cantatrice romana ha fatto uno dei suoi ruoli di elezione, nel corso dell’ultimo quinquennio. Colpisce, di primo acchito, la freschezza dello strumento come dell’interpretazione: l’artista veneta domina le sfaccettature del personaggio grazie a una vocalità rigogliosa, omogenea su tutta la gamma, luminosa negli acuti come centrata nei gravi; ha un fraseggio incisivo, pieno e calibrato, ma privo di quell’enfasi da tragédienne che, spesso, inutilmente ne appesantisce la resa. Ha un’unica concessione alla tradizione, un port de bras essenziale e raffinato con cui a tratti – la chiusa di «Vissi d’arte» – sembra voler schiudere una dimensione retorica che invece è controllatissima, misurata, prontamente raccolta. Floria Tosca non è solo donna ma ritorna giovane donna, forse al suo primo grande amore: non più virago dominatrice ma innamorata fragile, titubante, pronta a cadere nei lacci della tela intessuta da Scarpia. Isotton non è e non vuole essere femme fatale, e questa scelta le consente di recuperare appieno una precisione, una giustezza musicale che è sicuro viatico per la definizione psicologica del personaggio.
Risalta, per questa via, lo scontro con lo Scarpia di Massimo Cavalletti. Figura imponente, padrone della scena, dispone di un timbro tendenzialmente chiaro che viene brillantemente messo al servizio della costruzione del ruolo: anche in questo caso, non più l’attempato poliziotto lubrico e approfittatore, ma quasi un’alternativa autorevolmente credibile a Cavaradossi. Ci prova con Tosca sin da quando si inginocchia al suo fianco appiè della statua della Vergine, ma conduce il secondo atto con l’abilità del giocatore di scacchi: dal rinvenimento del ventaglio dell’Attavanti alle istruzioni impartite a Spoletta tutto è sovranamente artefatto – e per questo credibilissimo, tanto che non si stenta a credere nei suoi sentimenti per Tosca. La freschezza e l’ampia proiezione di uno strumento morbidamente plasmato contribuiscono a definire i tratti del barone siciliano.
Cavaradossi è Denys Pivnitskyi. Il tenore ucraino vanta un’impostazione corretta, brillante pasta tenorile, una sostanziale consentaneità con la prosodia italiana, al netto di vocali troppo aperte e di alcuni suoni non sempre centrati. E se «Recondite armonie» lo vede ancora in fase di rodaggio, «E lucevan le stelle» dispone di una gamma di delicate sfumature, di una ricerca di calore espressivo con cui efficacemente sigla il duetto conclusivo con Tosca.
Tra i comprimari, merita una menzione speciale l’insinuante Spoletta di Rosolino Claudio Cardile, motore delle perfide macchinazioni di Scarpia, capace di attirare l’attenzione mentre sibila le frasi del requiem durante la tortura del pittore rivoluzionario. Ma sono del pari efficaci Matteo D’Apolito, Sagrestano di sagace bonomia prima che paurosa vittima degli incalzanti interrogatori di polizia, che lo vedranno impegnato anche come Sciarrone; e Christian Barone, che mette al servizio di Angelotti una vocalità importante e sicura. Vincenzo Alaimo, infine, firma un cammeo dolente e asciutto come Carceriere.

Arriva dal Teatro Coccia di Novara la nuova produzione dello spettacolo, firmata da Renato Bonajuto e già recensita su queste colonne (qui il link). Come già evidenziato, è uno spettacolo persuasivo e, per certi versi, anche gradevolmente sorprendente, nella misura in cui sembra muoversi nel solco della tradizione, per poi prenderne intelligentemente le distanze. Singolare è stato, infatti, il ricorso alla collaborazione con Giovanni Gasparro, quarantenne pittore barese noto – non solo in Italia – per la maniera caravaggesca dei suoi lavori, tecnica grazie alla quale ha realizzato non poche cimase, pale d’altare e teleri in varie chiese della Penisola. A lui si devono le tele disseminate in Sant’Andrea della Valle come sugli spalti di Castel Sant’Angelo ma, soprattutto, la splendida quadreria di Palazzo Farnese, fitta di immagini di martiri e santi in plastiche pose barocche. Intuizione folgorante perché – come magistralmente evidenziato dalla penna di Mormile – restituisce «quel profumo d’incenso mischiato alla sensualità» che diventa cifra distintiva dello spettacolo. La Roma di Gasparro non è solo sede del papato e di una spiritualità in cui sembra credere solo Tosca; ma anche di una carnalità che fa capolino proprio da una pittura fondata sul gusto dell’eccesso, del contrasto, del conflitto. E tutto questo risalta nello splendore dei costumi di Artemio Cabassi, che accortamente evita il rosso per Tosca – sontuosa nel nero con passamaneria dorata del secondo atto, sublimato nell’ottanio del terzo – per attribuirlo a Scarpia, seducente don Giovanni di rara eleganza; come nelle scene di Danilo Coppola. Il quale immagina un angolo acuto della basilica teatina romana in piena de/ricostruzione – il crocifisso accantonato in un angolo è un eccellente tocco di ironia – che poi si spiana nella prospettiva tutta verticale della galleria di Palazzo Farnese, blindata al proscenio e valorizzata da opprimenti luci di taglio; fino a Castel Sant’Angelo, dove domina la figura bronzea di Verschaffelt, quasi un monito verso la catartica conclusione della tragedia. La regia opportunamente valorizza questi spunti, descrivendo la città dei papi con un piglio non immemore del Fellini di Roma: pesanti parrucche dei cardinali ferocemente contrastano con la ‘verità’ rivoluzionaria di Cavaradossi; la «povera cena» di Scarpia, su una tavola riccamente imbandita, con la fame di Angelotti; la religiosità ufficiale con quella di Tosca, forse di matrice popolare ma intimamente avvertita. Per questo dissemina ovunque crocifissi – ben tre nello studio di Scarpia, uno per ogni tavolo – e impone a tutti un segno di croce che diventa saluto ufficiale, dalla sortita di Tosca al mellifluo congedo di Spoletta dinanzi al cadavere di Mario: stazioni di un’autentica via crucis, rappresentata in tutta la sua gloriosa dimensione eroica. [Rating:3.5/5]

Luglio Musicale Trapanese 2022
TOSCA
Melodramma in tre atti di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
Musica di Giacomo Puccini

Floria Tosca Chiara Isotton
Mario Cavaradossi Denys Pivnitskyi
Il barone Scarpia Massimo Cavalletti
Cesare Angelotti Christian Barone
Il sagrestano Matteo D’Apolito
Spoletta Rosolino Claudio Cardile
Sciarrone Matteo D’Apolito
Un carceriere Vincenzo Alaimo

Orchestra, Coro e Coro di voci bianche dell’Ente Luglio Musicale Trapanese
Direttrice Manuela Ranno
Maestro del coro Fabio Modica
Maestra del coro di voci bianche Anna Lisa Braschi
Regia Renato Bonajuto
Scene Giovanni Gasparro e Danilo Coppola
Costumi Artemio Cabassi
Nuovo allestimento in coproduzione con
la Fondazione Teatro Coccia di Novara

Trapani, Teatro Giuseppe Di Stefano, 17 luglio 2022