Tutto riprende dal momento in cui La bohème di Puccini, nell’allestimento curato dalla regia di Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi, avrebbe dovuto andare in scena nel 2020. La pandemia impedì la realizzazione di uno spettacolo poi registrato e trasmesso in streaming nel febbraio dell’anno successivo. Ma non finisce qui. Il Teatro Regio, nel frattempo, chiuse al pubblico per i necessari lavori di messa in sicurezza del palcoscenico. Oggi, finalmente, questo allestimento simbolo – perché ispiratosi nel lavoro della curatrice della scene, Leila Fteita, con il pittore scenografo, Rinaldo Rinaldi, a una ricostruzione storica, anche nei costumi a cura di Nicoletta Ceccolini, dei bozzetti ideati da Adolf Hohenstein per la prima esecuzione assoluta dell’opera a Torino nel 1896 e oggi conservati nell’Archivio Storico Ricordi di Milano – può finalmente essere proposto al pubblico e, nel contempo, inaugurare la stagione del Regio.
Definimmo questo spettacolo, visto online (vedi recensione), un sogno di cartone. Ora che lo si può vedere dal vivo, non manca di destare ancora buone impressioni. Ci sono tutti gli ingredienti perché i sogni di spensieratezza, giovinezza e amore perduti dinanzi al dolore della morte lascino il segno e si colorino di quella nostalgia naïve che lo spettacolo non si fa scappare di mano, così nel fredda soffitta dei quattro bohémiennes, come nei caldi colori dell’animatissimo quartiere latino, o nella fitta nevicata che avvolge la fredda alba della Barriera d’Enfer. Ogni quadro è abbastanza prevedibile in questo spettacolo poetico e didascalico, eccezion fatta per qualche ingenuità di troppo, anche scenografica (le cupole della Chiesa di Sacré-Cœur non c’erano ancora al tempo in cui si ambienta l’opera, né c’erano quando l’opera di Puccini nacque); gioia, speranza, disillusione e disperazione si succedono in quadri visivi di buoni sentimenti che alla fine sono poi quelli che portano l’ascoltatore a emozionarsi e commuoversi sempre ogni qual volta si ascolta questo capolavoro.
Ci mette del suo anche la bacchetta di Per Giorgio Morandi, che tiene in pugno saldamente l’ottima Orchestra del Regio, così come il Coro istruito da Andrea Secchi, per una concertazione attenta ai dettagli strumentali, precisa nella gestione del difficile secondo atto, liricamente distesa in piani sonori carezzevoli e puliti, senza troppi compiacimenti, sia sul versante del respiro patetico, con sonorità raccolte e ben equilibrate nei suoni, sia nelle vibranti accensioni orchestrali che danno straziante anima al dramma finale dei due protagonisti. Tutto scorre liscio nella sua concertazione, e c’è da essere certi che con una compagnia di canto più sensibile questo si sarebbe colto ancor meglio.
Se ne ha prova, ad esempio, quando Riccardo Fassi (Colline) intona a mezza voce, con un canto morbido e flessibile, un “Vecchia zimarra” da incorniciare come miglior momento della serata, l’unico, forse, davvero capace di destare emozioni. Per il resto la compagnia funziona ma non esalta. Buono il Marcello del baritono russo Ilya Kutyukhin, voce interessante ma perfettibile sul piano della rotondità d’emissione. Valido anche lo Schaunard di Vincenzo Nizzardo, mentre decisamente in difficoltà la Musetta di Valentina Mastrangelo, per di più scenicamente priva di pepe nel suo momento solistico del secondo atto, che sfocia nel concertato che dovrebbe vederla primeggiare anche per quell’estroversione in grado di garantire al personaggio il protagonismo che le compete in questo frangente.
Quanto ai due protagonisti, il tenore ucraino Valentin Dytiuk (Rodolfo) inizia con voce che pare percorsa da un vibrato stretto, anche se nella celebre “Che gelida manina” si impegna per essere espressivo; ci riesce bene, sfumando i suoni e toccando gli acuti senza difficoltà. Il pubblico lo premia con un lungo applauso e, nel prosieguo dell’opera, l’impressione resta nell’insieme buona, decisamente più persuasiva rispetto a quella lasciata del soprano greco Maritina Tampakopoulos, Mimì fin dall’inizio un po’ distaccata, priva di emozioni espressive, oltre che di un fraseggio poco propenso a illuminare le frasi di quelle oasi intime e commosse richieste dal canto di conversazione pucciniano. A questo si aggiunga che lo sfogo in acuto si fa affaticato quanto più la temperatura drammatica del personaggio cresce nel corso degli atti.
Completano il cast l’inossidabile Matteo Peirone, Benoît e Alcindoro da manuale interpretativo, Sabino Gaita (Parpignol), Desaret Lika (Sergente dei doganieri) e Marco Tognozzi (Un doganiere).
Sala gremita di pubblico e successo finale festosissimo.
Teatro Regio – Stagione d’opera e di balletto 2022
LA BOHÈME
Opera in quattro quadri
Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
dal romanzo Scènes de la vie de Bohème di Henri Murger
Musica di Giacomo Puccini
Mimì Maritina Tampakopoulos
Rodolfo Valentin Dytiuk
Musetta Valentina Mastrangelo
Marcello Ilya Kutyukhin
Schaunard Vincenzo Nizzardo
Colline Riccardo Fassi
Benoît e Alcindoro Matteo Peirone
Parpignol Sabino Gaita
Sergente dei doganieri Desaret Lika
Un doganiere Marco Tognozzi
Orchestra e Coro Teatro Regio Torino
Direttore Pier Giorgio Morandi
Maestro del coro Andrea Secchi
Maestro del coro di voci bianche Claudio Fenoglio
Regia Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi
Curatrice delle scene Leila Fteita
Curatrice dei costumi Nicoletta Ceccolini
Bozzetti per la prima assoluta al Regio
custoditi dall’Archivio Storico Ricordi Adolf Hohenstein
Pittore scenografo Rinaldo Rinaldi
Luci Andrea Anfossi riprese da Lorenzo Maletto
Direttore dell’allestimento Antonio Stallone
Nuovo allestimento Teatro Regio Torino
Torino, 12 febbraio 2022