Diciamolo subito. Quella proposta a Torino nel Cortile di Palazzo Arsenale, per il cartellone Regio Opera Festival, non è la Carmen di Bizet. È piuttosto uno spettacolo che raccoglie parte della sua musica (i tagli sono davvero tanti) inserita all’interno di una narrazione affidata all’attore Yuri D’Agostino che recita un canovaccio pensato da Sebastian F. Schwarz, un testo in cui si immagina che Bizet stesso narri in prima persona la storia della sua Carmen, ma cent’anni dopo la prima del 1875. L’intero spettacolo è pensato in tal senso; si apre nella vecchia casa del compositore a Bougival, qui mostrata come ricca di ricordi sull’opera, con quadri appesi alle pareti e con quattro personaggi seduti a un tavolo che – come scrive Paolo Vettori, regista dello spettacolo – nonostante trasformazioni e rovesciamenti evocano incredibilmente al compositore “i tratti e i caratteri dei protagonisti della sua Carmen, in un rapporto dialettico con interpreti e pubblico di ieri e di sempre”.
Questo viaggio nei ricordi ha un duplice scopo. Il primo di natura pratica: mettere in scena una selezione delle più celebri pagine di Carmen in uno spazio che difficilmente avrebbe potuto accogliere l’opera nella sua integralità. Il secondo, di fornire al pubblico un quadro didattico e illustrativo sulle caratteristiche dell’opera, utilizzando le sue pagine migliori incastonandole all’interno del testo pensato dal direttore artistico del Regio allo scopo di “raccontare” l’opera nel percorso che l’ha portata a divenire una delle opere più celebri ed seguite al mondo, senza mancare di lanciare, nel finale, una morale sulla vera o presunta libertà che la donna ha oggi di condurre una vita priva di condizionamenti, senza per questo pagare ed essere punita per le scelte fatte, come avvenne per Carmen. Eppure il narratore, rivolto al pubblico, lascia aperto questo interrogativo e cerca così di trasmettere la morale che ancora l’opera di Bizet può comunicare alla nostra contemporaneità, chiedendosi se la condizione femminile sia migliorata rispetto al passato.
Questo adattamento dell’opera ha quindi, nel suo duplice scopo, quello di illustrarne la drammaturgia, la sua genesi e anche lo scandalo che suscitò al primo apparire; condensa saggiamente tutto quello che si deve sapere su Carmen e sul messaggio che lancia, ma non è l’opera di Bizet.
Si tenta così di ripercorrere, con maggior rilievo, la medesima formula di spettacolo già sperimentata con Madama Butterfly dello scorso anno. Allora il testo di Vittorio Sabadin individuò i particolari delle vicenda aggiungendo alcuni particolari musicali sull’opera narrati dal medesimo attore, il bravissimo Yuri D’Agostino. L’adattamento di oggi è ancora più invasivo; non si limita ad accompagnare gli ascolti, supera l’idea di un canovaccio testuale che serve da cerniera fra un ascolto e l’altro, bensì diventa uno spettacolo ispirato alla Carmen di Bizet, inventando una drammaturgia che spiega tutti i risvolti dell’opera di Bizet. Ecco perché il Regio, forse, avrebbe dovuto osare di più, cercando un nuovo titolo per lo spettacolo, non presentandolo come Carmen, bensì come pièce teatral-musicale ispirata all’opera e ai suoi contenuti. Piaccia o meno, l’operazione ha avuto una sua ragion d’essere nella ricerca di avvicinare all’opera un pubblico nuovo, forse diverso da quello più tradizionalmente inteso. Il Cortile di Palazzo Arsenale era affollatissimo, anche se l’impressione è stata quella di trovarsi dinanzi a spettatori neofiti, forse non più in grado di comprendere, visto l’egual grado d’intensità degli applausi rivolti agli interpreti, la diversità del loro valore.
Pochi infatti si sono accorti che il tenore Jean-François Borras, nei panni di Don José, fosse diverse spanne sopra gli altri colleghi. Canta con un francese perfetto, ma soprattutto ha stile, eleganza e regala una romanza del fiore come raramente si ascolta. La attacca splendidamente, la colma di colori e addirittura trova una strada ottimale per intonare il si bemolle come si deve, con un suono misto, evitando di eseguirlo forte. Inoltre trova un equilibrio perfetto fra declamazione ed eleganza e, nel finale dell’opera, regala un duetto nel quale ben se ne guarda da cadere nel trabocchetto di un canto verista. Eppure il pubblico pare non accorgersi di essere dinanzi ad uno dei migliori tenori di scuola francese dei nostri tempi e regala gli stessi applausi agli altri componenti della compagnia, che gli sono decisamente inferiori, a partire dalla buona Carmen di Ketevan Kemoklidze, che canta e fraseggia bene ma non entusiasma perché la personalità interpretativa è un po’ stinta, così come la voce è di volume piuttosto contenuto. Anche Benedetta Torre è una Micaëla corretta ma con la tendenza a incorrere in qualche suono fisso in acuto, mentre il giovane baritono Zoltán Nagy è un modesto Escamillo, scenicamente intimidito nonostante la bella presenza scenica, la cui voce appare in difficoltà nelle strofe del celeberrimo couplet del Toreador. La locandina degli interpreti si chiude qui, perché tutti i personaggi di contorno non sono contemplati in questa versione.
La stessa bacchetta di Sesto Quatrini, da un lato per la scelta di tempi troppo frammentari (talvolta eccessivamente veloci, come nel Preludio), dall’altro per la mancanza di atmosfere e finezze che stentano a fargli trovare una cifra interpretativa ben distinta, lascia l’amaro in bocca. Per quanto Orchestra e Coro del Regio, quest’ultimo ben istruito da Andrea Secchi, siano eccellenti, le conseguenze di una versione “spezzatino” si fanno sentire anche in un direttore di talento come lui.
La regia di Paolo Vettori realizza, con scene essenziali di Claudia Boasso e costumi di Laura Viglione, un percorso fedele all’adattamento dell’opera suggerito dal testo recitato più che dall’opera di Bizet. Ed ecco la casetta di Bizet nel primo atto, la pareti coperte di veli blu notte per il quadro dei contrabbandieri che vengono tolti per svelare quinte che raffigurano immagini della corrida nell’ultimo quadro. Prevalgono i toni scuri e l’ambientazione novecentesca spoglia del tutto l’opera da ogni richiamo folcloristico spagnoleggiante (evidente solo dai toni azzurri delle sivigliane mattonelle azulejos), riconducendo la vicenda ad archetipo della condizione di femminile e al tragico epilogo che punisce Carmen per il suo desiderio di essersi proclamata donna libera; libera di amare e, per questo, anche di morire in nome di questa libertà. Un femminicidio che non dovrebbe ripetersi, nonostante nella società di oggi, dove la donna ha acquisito tutte le libertà un tempo negatele, molti siano ancora i Don José. Sembra appunto chiederselo lo stesso narratore/Bizet lasciando la scena tenendo aperto l’interrogativo sull’attuale perpetrarsi delle violenze rivolte al genere femminile pronunciando le parole : “Non ci si volterà più dall’altra parte! Vero? Vero? Vero?”.
Regio Opera Festival 2022
CARMEN
Opéra-comique
Libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy
dall’omonima novella di Prosper Mérimée
Adattamento e testi di Sebastian F. Schwarz
Testi cantati in lingua originale francese
Testi narrati in italiano
Musica di Georges Bizet
Carmen Ketevan Kemoklidze
Don José Jean-François Borras
Micaëla Benedetta Torre
Escamillo Zoltán Nagy
Georges Bizet (attore) Yuri D’Agostino
Orchestra e Coro Teatro Regio Torino
Direttore Sesto Quatrini
Maestro del coro Andrea Secchi
Regia Paolo Vettori
Scene Claudia Boasso
Costumi Laura Viglione
Luci Lorenzo Maletto
Direttore dell’allestimento Antonio Stallone
Nuovo allestimento Teatro Regio Torino
Torino, Cortile di Palazzo Arsenale, 21 giugno 2022