Mercoledì 16 febbraio Rai Cultura propone su Rai5, alle ore 10, Werther di Jules Massenet nell’edizione andata in scena nel 2019 al Teatro La Fenice. Si tratta dello spettacolo ideato da Rosetta Cucchi nel 2016 per il Comunale di Bologna e poi ripeso con successo a Venezia. La regista sceglie una chiave di lettura borghese di taglio moderno e lineare che, supportata dalle scene stilizzate e geometriche di Tiziano Santi, rimanda a un luogo e a un tempo imprecisati. Non è un personaggio intriso di romanticismo, quello che vediamo in scena fin dall’inizio dell’opera: Werther è seduto su una poltrona, in proscenio, e sta meditando il suicidio. Nei suoi ultimi istanti di vita, vede materializzarsi i ricordi e rivive come in un flashback gli incontri con Charlotte e la storia del loro amore impossibile. Immagina quello che sarebbe potuto essere e non è stato. L’opera diventa così il percorso di un borghese suicida, di un giovane che ha sognato e desiderato, più che l’amore romantico e passionale, una vita sentimentale fatta di piccole gioie quotidiane, il matrimonio, il calore della famiglia, un rapporto indissolubile fino alla vecchiaia e alla morte. Non a caso l’azione si concentra per lo più all’interno di una casa che assumerà anche le sembianze di una chiesa, e che nel corso dell’opera si allontanerà sempre più verso il fondo del palcoscenico fino a sparire del tutto insieme al sogno di una felicità familiare.
Toni relativamente più stürmisch emergono dal versante orchestrale. Guillaume Tourniaire ci ricorda che il percorso psicologico di Werther attraversa i luoghi principali di Goethe sostanziandosi di immagini bellissime e di una sensibilità romantica, ora accesa ora umbratile, quanto mai suggestiva. Ci ricorda un po’ meno che la partitura di Massenet è anche aerea, sensuale, armonicamente ricca. Più che i colori e le sfumature espressive, la direzione di Tourniaire evidenzia la tensione lirica mantenendo l’espansione melodica entro i confini di un’espressività fortemente passionale, cupa e drammatica.
Jean-François Borras qui sostituiva all’ultim’ora l’indisposto Piero Pretti e, considerata la mancanza di prove, va riconosciuto al tenore francese di esserla cavata egregiamente. Il suo Werther fa leva sulla comunicativa di un timbro chiaro e gradevole (nonostante un leggero vibrato stretto), ma soprattutto sulla consapevolezza stilistica e un gioco adeguato di effetti chiaroscurali. L’immedesimazione, il fraseggio sfumato e la linea di canto elegante lo rendono credibile al di là di qualche sporadico acuto non perfettamente timbrato.
La Charlotte di Sonia Ganassi parte un po’ sottotono, ma cresce nel corso della recita. Le sparse disomogeneità nei gravi e qualche durezza negli acuti sono ampiamente compensate dal calore timbrico sempre apprezzabile e da un fraseggio vario e sensibile. Ne esce un personaggio consapevole e maturo, più che fresco e adolescenziale.
Non convince l’Albert vocalmente opaco e incerto nell’emissione di Simon Schnorr, e nemmeno l’esile Sophie di Pauline Rouillard. Armando Gabba tratteggia bene, invece, la parte del Borgomastro, pur con qualche emissione non sempre timbrata in basso. Funzionali ai rispettivi ruoli Christian Collia (Schmidt) e William Corrò (Johann). I piccoli fratelli di Charlotte sono interpretati dai volenterosi solisti del Kolbe Children’s Choir.