L’essere umano – o forse meglio – l’uomo misura di tutte le cose. Concetto tanto antico quanto oggi politicamente scorretto. Parlare di “uomo” già costituisce una limitazione per alcuni discutibile. Se poi aggiungiamo i deliri di un ecologismo a buon mercato, allora porre l’essere umano al centro dell’universo significa dimenticare tutti gli altri esseri, viventi e non, che compongono il variegato mosaico della natura. Eppure, proprio quel concetto enunciato in apertura è il cuore del bellissimo spettacolo di danza in scena al Teatro Romano di Spoleto, nell’ambito della 65ª edizione del Festival dei Due Mondi.
Si intitola Through the Grapevine, titolo inglese che letteralmente tradotto suona “attraverso la vite”, ma che in realtà significa “per sentito dire”, con la coreografia di Alexander Vantournhout, belga, classe 1989, che ne è pure interprete insieme ad Axel Guérin. Si tratta di un eccentrico pas-des-deux che mescola riferimenti diversi, dalla danza vera e propria alle arti marziali, al circo, allo yoga. La performance ha la durata di circa un’ora e per venti minuti buoni si svolge senza musica, in un confronto prima timido poi sempre più serrato tra i due protagonisti, straordinari per tenuta fisica ed espressività. Si somigliano anche, i due danzatori, nella plastica bellezza di un fisico nodoso e agile, ma l’uno è un po’ più alto dell’altro e anche questa differenza – insieme alla folta chioma di uno dei due – diviene, nel corso del danza, motivo per sviluppare in modo originale la narrazione.
C’è l’uomo vitruviano di Leonardo a monte di questa coreografia. Il corpo si fa dunque misura di tutte le cose nel senso che, all’inizio, i due si studiano a vicenda e, attraverso il corpo, misurano lo spazio del palco del teatro romano. Poi, nel gioco dialettico dell’esibizione, toccano tutte le corde dell’emozione, dall’affetto – mediato da una gestualità trattenuta – all’ironia, sino al confronto agonico e alla danza come rito, potente e teso, anche di iniziazione alla vita e alla mascolinità. Equilibrio e armonia caratterizzano una performance nella quale ha un ruolo importante la musica, firmata da Andrea Belfi, modellata sul pulsare ritmico di percussioni arricchite poi dalle screziature jazz degli altri strumenti, così come contribuiscono alla suggestione dell’insieme le luci disegnate da Caroline Mathieu ed Harry Cole. Vivissimo il successo del pubblico.