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Spoleto, 65° Festival dei Due Mondi – Le Sacre du printemps (coreografia Pina Bausch)

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Un altro spettacolo di danza era tra gli appuntamenti più attesi del 65° Festival dei Due Mondi. Parliamo de Le sacre di printemps di Igor Stravinskij nella ormai classica versione di Pina Bausch. Con una novità: a mettere in scena il balletto è una compagnia di danzatori africani. Nulla di selvaggio, come forse ci si potrebbe aspettare. C’è invece una danza potente, estenuata, costantemente inchiodata alla terra il cui richiamo è fortissimo e non solo metaforico, perché il palco è ricoperto di terra. Si scontrano suggestioni diverse in questa versione inedita del balletto che, al suo primo apparire nel 1913, cambiò le sorti della musica del Novecento. C’è una danza che ha tutta la prorompente fisicità che questo tipo di coreografia richiede. Che rende ragione della forza e della violenza cieca che abita questa musica, nonché di una delle caratteristiche che da subito colpirono i primi ascoltatori: una musica che è una macchina, una macchina ritmica.

Tale fu la rivoluzione: porre il parametro del ritmo al centro della scena, quando normalmente era un po’ l’ingranaggio sotterraneo, a favore di altri aspetti, melodia e armonia su tutti. Invece il ritmo è qui il principio trainante, per cui si crea una costante tensione con l’aggancio di sequenze metriche diverse che generano una continua oscillazione e danno un senso profondo di disorientamento. Di fatto, si tratta di tutta una danza sulla consunzione, costruita nelle sue due parti su un maxi crescendo di tensione drammatica. Così accade anche per la dimensione tonale, laddove esiste una sola tonalità che governa, ma continuamente attraversata da armonie diverse, come se ci fossero una serie di ramificazioni che si intrecciano e si perdono. In ciò la resa della danza – e di questa danza in particolare – è straordinariamente efficace. Le melodie, quasi tutte diatoniche e quindi con quella particolare patina di arcaico, vengono però trattare in modo molto diverso da quanto accadeva nella tradizione precedente. La melodia è scolpita con un inciso e rimane uguale a se stessa, mentre cambia ciò che le ruota intorno, ovvero ritmo e armonia. Musica nuda, diretta, brutale, violenta, che porta alla luce ciò che fino a quel momento era rimasto nascosto.

Un carattere spigoloso, nervoso, che abbiamo ritrovato nella resa dei danzatori africani. E se l’assenza delle basi accademiche “occidentali” si fa sentire, pure lo spettacolo guadagna in energia debordante, tanto da far esplodere il pubblico, alla fine, in un applauso liberatorio. Il Sacre è stato preceduto da Common grounds, un’intensa esibizione di due grandi coreografe contemporanee, Germaine Acogny e Malou Airaudo, un lavoro ispirato alle loro vite, portato in scena con tutta la grazia e la semplicità delle proprie storie di mature protagoniste della danza.

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