Chiudi

Spoleto, 65° Festival dei Due Mondi – Le crocodile trompeur / Didon et Énée

Condivisioni

L’opera costa. Affermazione scontata e universalmente nota a chiunque lavori nel mondo dello spettacolo. Pare sia una delle motivazioni per le quali l’edizione numero 65 del Festival dei due mondi di Spoleto, contrariamente a quanto accadeva in passato, ha rinunciato a mettere in scena un melodramma. Cosa che ha scontentato alcuni, suscitando qualche fondata critica. Tuttavia, il melodramma – chiuso fuori dalla porta – rientra dalla finestra grazie a uno stravagante e surreale spettacolo applauditissimo a Spoleto. Si tratta di Le crocodile trompeur / Didon et Énée, tratto dal capolavoro di Henry Purcell, integrato da altri testi (Shakespeare e Virgilio su tutti), messo in scena da una bizzarra compagnia francese, capeggiata da Samuel Achache e Jeanne Candel per quel che riguarda la regia e da Florent Hubert per la direzione musicale.

In realtà, come spiegano le note di sala, il lungo spettacolo (oltre due ore senza intervallo) è l’esito di un lavoro di gruppo (un collettivo, si diceva una volta) portato avanti da artisti che sono attori, musicisti, cantanti, performer, tutti di straordinario talento. L’ironia è il filo conduttore della narrazione e potrà sembrare strano, dato che si parla del dramma di Didone abbandonata da Enea. Ma, in fondo, nella vita reale accade spesso che tragedia e commedia si intreccino (o che la tragedia muti in commedia, per dirla con Somma e Verdi). Così, nonostante il riso che punteggia la narrazione e tiene desta l’attenzione del pubblico, la vicenda si chiude comunque con una emozionate esecuzione dello stupendo lamento della Regina “When I am Laid on Earth”, in un clima di struggente sospensione.

Il tutto ha inizio con un discorso apparentemente senza capo né coda sull’armonia che regge l’universo, sia nella dimensione macroscopica delle stelle che in quella interiore dell’essere umano. Riflessione che poi lascia il passo a uno strampalato gruppo di chirurghi alle prese con l’autopsia di Didone, alla ricerca della causa della sua morte. I quattro precipitano quindi nel corpo della regina e ne ripercorrono le ultime vicissitudini combinando la parola con il canto, il francese con l’inglese, il sentimentalismo o l’intellettualismo più dichiarato con la comicità.

Non è semplice per chi scrive restituire la molteplicità di rimandi e suggestioni che questo spettacolo offre, nella sua costruzione asistematica, rimodulazione contemporanea del principio di improvvisazione che era proprio della musica barocca. Un mondo fantastico, delirante, spiazzante, pluristilistico e plurilinguistico, continuamente rimodellato grazie alle voci e agli strumenti, ma anche a una scenografia povera e ricca insieme, liberamente ispirata al dipinto di Brueghel L’ouïe, curata da Lisa Navarro, che valorizza le strutture cadenti e le pareti scrostate dell’ex chiesa di San Simone.

image_print
Connessi all'Opera - Tutti i diritti riservati / Sullo sfondo: National Centre for the Performing Arts, Pechino