Roma, Teatro dell’Opera – Dialogues des Carmélites

All’esterno, in piazza Beniamino Gigli, a incorniciare la nuova stagione del Teatro dell’Opera di Roma, c’è l’incanto delle mille lucine a decoro delle alte palme, dell’abete natalizio e dei piccoli cespugli di bosso ai lati del red carpet che conduce dritto all’ingresso del Costanzi. All’interno, c’è un titolo importante del Novecento europeo assente dal 1991 (altro unico precedente nel 1958) e in nuova produzione realizzata con la Fenice di Venezia a firma di Emma Dante. C’è il doppio esordio nei rispettivi ruoli stabili alla testa di Orchestra e Coro dei maestri Michele Mariotti e Ciro Visco, ci sono le tante presenze della politica, della cultura, della tv e dello spettacolo, con una splendida Raina Kabaivanska al centro della platea. Intorno, un lusso garbato, la postazione per la diretta-differita di Rai5 capitanata dalla regia di Barbara Napolitano e soprattutto, in apertura di palco come a stringersi in un unico abbraccio, ci sono le parole giuste e accorate personalmente pronunciate dal sovrintendente Francesco Giambrone, dedicate alle vittime del recente disastro sull’Isola di Ischia, andate a esprimere solidarietà commossa ai parenti e ai lavoratori impegnati nelle difficili operazioni di ricerca degli ultimi dispersi. Poi pubblico in piedi per un lungo, mestissimo minuto di silenzio.

E da lì, quasi in continuità vibrante stretta fra la sospensione della preghiera e la sublimazione di una morte-martirio tagliata da sedici metallici colpi di ghigliottina amplificati con potenza da brivido sotto e intorno alla sala, ha inizio la storia vera dei Dialogues des Carmélites, capolavoro del teatro per musica moderno del compositore francese in gioventù all’appello con il “Gruppo dei Sei” Francis Poulenc. È la storia delle sedici suore del Carmelo di Compiègne decapitate il 17 luglio del 1794 a Parigi nei giorni del regime del Terrore per non aver voluto rinunciare ai loro voti, divenuta narrazione nel 1931 con la novella Die Letzte am Schafott (L’ultima al patibolo) di Gertrud von Le Fort, nel 1947 sceneggiatura per film con i Dialogues di Georges Bernanos editi nel ‘49. Quindi, con genesi fra il 1953 e il ‘56 su tale ultimo spunto, l’opera (al debutto il 26 gennaio 1957 con esito trionfale alla Scala di Milano) su diretta proposta dell’editore Ricordi a Poulenc, a sua volta dettosi folgorato dalla lettura dei Dialoghi proprio nel corso di un soggiorno romano, come raccontato dallo stesso musicista, seduto a un tavolino di un locale in Piazza Navona “mentre continuava a ordinare caffè e acqua minerale finché non fosse arrivato alla fine del volumetto”.

Una storia vera. Come vere sono le sedici suore, innanzitutto donne, scontornate con mano ferma e poeticissima da Emma Dante d’intesa serrata con le scene esatte ed essenziali di Carmine Maringola, con i costumi evocativi di Vanessa Sannino, le luci sempre efficaci di Cristian Zucaro e con i fondamentali movimenti coreografici di Sandro Campagna. Va subito detto che l’equilibrio fra i diversi linguaggi della scena, fedeli alla parola del testo quanto alla forza di un’aggiornata rilettura dei contenuti, è totale e per nulla scontato. Con relativo apporto gestuale, lavoratissimo, dei cantanti, delle coriste, degli attori.
Con il premier tableau, si entra nel salotto di fine Settecento ma già carico di suggestioni da fiaba ottocentesca del marchese de la Force, seduto su un’antica carrozzella. Pochi, ma da subito potenti, i segnali a risalto su fondale nero: la discesa di due splendidi lampadari in cristallo dalla luce dorata, i domestici piumati e in damascato cobalto disposti in riga e scalpitando come cavalli alle sue spalle in aggancio alla narrazione concitata dell’incendio e dell’assalto alla carrozza che s’inchioda tra la folla provocando, di lì a breve a palazzo, la morte della moglie dopo aver dato alla luce la figlia e qui protagonista, fortemente minata dalla paura, Blanche. Intorno, si stagliano le cornici “Leitmotive” con le donne dipinte da Jacques-Louis David, il celebre ritrattista della corte napoleonica. Cornici che ritorneranno legando il corso dei tre atti come scrigni e matrici identitarie delle carmelitane. Saranno porte delle loro celle, inginocchiatoi per gli eccezionali colloqui con l’esterno, poi corridoi del carcere. Infine tragico patibolo, attraversate non da lame, ma da quelle tele bianche (in verità, troppo morbide per garantire l’effetto ghigliottina assicurato invece in buca dall’agghiacciante sfregamento delle lastre di metallo) che cancellano a una a una le vite, le voci e le stesse immagini mondane di quelle suore combattenti, divenute icona di fede, coraggio e libertà in coda ai giorni del Terrore.

La loro fisicità sensuale dell’esser state e dell’essere ancora femmine affiora, secondo una precisa volontà della regista, sottopelle ma molto chiaramente: nelle giovani silhouettes di spalle dalle lunghe capigliature sciolte dinanzi al crocifisso di un Cristo donna, nel forzato spogliarsi dei voti e degli abiti sacri, nello sbandato girotondo notturno in bicicletta, negli abbandoni à la Pina Bausch fra le porte a corridoio della prigione, nella fierezza in sottoveste candida con cui affrontano il martirio. Persino nell’alta drammaticità scolpita nella figura immensa della vecchia priora delirante e morente, bellissima in primis per la superba interprete scelta a darvi forma e voce, o nella Blanche immolatasi comparendo per ultima, d’improvviso dal buio, su un grande crocifisso. Dall’altra, i segni della clausura nei pannelli delle grate a ricamo, del rito nell’unità compatta dei movimenti di gruppo a testa china, della penitenza tradotta in zoppìa ritmata a scansione coreutica, di una pietà contemplativa riconoscibile nella delicata tenerezza dei gesti mentre, la forza della vocazione, ne trasforma l’abito in guerriere sante d’Orléans. D’impatto anche il grande asse da stiro intorno al quale le monache svolgono i piccoli lavori domestici, a seguire trasformato in letto di morte per la priora poi esposta in un ossario a quattro ante, dai cinquecento teschi appositamente realizzati nei laboratori della Fondazione lirica capitolina. Il tutto calibrato con la stessa raffinata eleganza di linee, tensioni e affondi, impennate e disincanti, presenti in partitura intorno ai poli della paura e del coraggio, della vita e della morte, della parola e della musica.

Con un dominio mirabile nella connotazione stilistica e semantica di una partitura dai molteplici tasselli in gioco continuamente variabile fra dinamiche ora elegiache, ora di forza, frammenti di preziosi arabeschi, silenzi e interiorità dolenti, reminiscenze, tumulti e clangori, il nuovo direttore musicale Michele Mariotti sale sul podio della prima inaugurazione con la “sua” Orchestra garantendo un’altissima qualità di tinta e sostanza all’immenso affresco verbale e musicale. Ne risulta una studiata cura degli equilibri tra golfo mistico e palcoscenico per una lettura salda per plasticità e rigore, acuminata nei metri quanto attenta a scolpire oltre gli interludi preziosi caratteri e canto, per lo più in declamato, alla luce della tornitura degli impasti di suono. Morbido è il colore dei legni, martellati e lucidi gli effetti sulle campane così come in affondo sono puntati gli squarci degli ottoni tappati, laddove la peculiare tinta degli archi, con il concorso dei fiati, richiama le pagine di scuola slava, russa e, naturalmente, le patinate evanescenze di Francia. La dedica alla madre apposta da Poulenc in partitura d’altra parte richiama in causa, fra i numi ispiratori, Musorgskij e i nostri Monteverdi e Verdi. Ma in filigrana ci sono anche Smetana, Janáček, Čajkovskij, Delibes, Fauré e tanto Puccini, dall’alba romana di Tosca alle attese di Butterfly, fino all’orientalismo tagliente di Turandot.

Un plauso più che meritato va infine all’intera compagnia di canto, con menzione speciale e trionfo per la prova al contempo potente e sublime di una straordinaria Anna Caterina Antonacci, Madame de Croissy autoritaria, energica per quanto piegata dall’età e dalla malattia, drammaticamente scossa dal dubbio blasfemo sull’orlo spaventoso della morte. È un canto impressionante, il suo, scavato e scolpito con dizione francese perfetta nella parola, sul fiato, nel gesto del corpo intero, nei tesi segni del volto sotto il manto dei lunghi capelli d’argento. Un’interprete grande da sempre, che qui deraglia con assoluta precisione canora e d’attrice fra gli scatti di umore e di registro, in torsione tra le lunghe maniche di una camicia di forza che tanto ricorda l’introversione contratta della modern dance, in fasce elastiche, siglata dalla divina Graham. La scena della sua morte diventa pertanto, a pieno diritto, il punto più alto dei Dialogues romani ma, anche, un apice assoluto fra le interpretazioni passate e future.
Esattamente ritratta in abito blu chiaro come da ritratto a lei abbinato della Princesse de Broglie dipinta da Ingres, la Blanche del soprano americano Corinne Winters è una creatura diversa dal gruppo. Nel salotto de la Force, accanto al padre e al fratello, è nella sua vulnerabilità da bambina tanto Clara/Marie da Schiaccianoci e, come la fanciulla hoffmanniana, in crescita veloce grazie al volitivo fervore religioso in chiusa sublimato in patibolo e croce. Il velluto della voce, morbido e intenso ma, innanzitutto, leggermente brunito della Winters, ne rivela con il prode sostegno della tecnica sin dal principio la corda malinconica unita a una forza interiore pronta a esorcizzare la sua congenita paura al quadrato da lepre. Brava dall’esordio alla fine, e infatti applauditissima al termine.
Un pari lavoro sul carattere in sinergia fra le risorse dei singoli ruoli, la direzione musicale e la regia lo si riscontra, in verità, sull’intero sistema dei personaggi-interpreti: il soprano polacco Ewa Vesin è un lirico spinto che tratteggia in spiccata tensione l’immagine della nuova priora, Suor Marie-Thérèse di Sant’Agostino al secolo Madame Lidoine; il mezzosoprano russo Ekaterina Gubanova, nella parte di Mère Marie de l’Incarnation, assicura severità di modi fra la robusta fibra del timbro e la marcata sostanza dei suoi accenti, mentre il soprano ungherese Emöke Baráth è una Soeur Constance de Saint-Denis gioviale e vivacissima, dalla voce luminosa e ben sicura nelle salite all’acuto.
Sul fronte degli uomini si premia in primo luogo il nobile afflato del Chevalier de la Force garantito dal timbro chiaro e romanticissimo del tenore ucraino Bogdan Volkov che ha, dalla sua, cifra da Lenkij, omogeneità di pasta, eleganza di frase e buon volume. Sonoro e di bel calibro anche il Marquis de la Force del baritono Jean-François Lapointe così come funzionali e ottimamente confezionate sono le prove di Krystian Adam (L’Aumônier du Carmel), di Alessio Verna (Le Geôlier e II Commissaire), William Morgan (I Commissaire), di Roberto Accurso (Officier) e dei notevoli talenti usciti dalle ultime edizioni di “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma: Irene Savignano (Mère Jeanne de l’Enfant-Jésus), Sara Rocchi (Soeur Mathilde) e Andrii Ganchuk (Thierry e Javelinot).
Brevi ma levigatissimi gli interventi del Coro, curato dal neonominato Ciro Visco. L’Ave Maria al femminile nell’atto secondo e la Salve regina a voci miste, poggiata in chiusura come un velo sul doppio incedere ostinato verso la vita eterna contro la sottrazione della morte, attestano un raro lavoro di controllo sulle voci.

Nove minuti di applausi e, al margine, la sfilata in parterre tra vertici istituzionali e nomi dello spettacolo. In sala c’erano Roberto Gualtieri sindaco e presidente del Teatro dell’Opera di Roma, i ministri Gennaro Sangiuliano, Maria Elisabetta CasellatiChristian Masset, gli ambasciatori di Francia e Spagna, i sottosegretari Sgarbi, Durigon, Federico Mollicone presidente della VII Commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera dei Deputati, la presidente dell’Assemblea Capitolina Svetlana Celli, gli assessori Silvia Scozzese (nonché vicesindaco), Miguel Gotor, Alessandro Onorato. In rappresentanza della Rai, l’Amministratore Delegato ed ex sovrintendente dell’Opera di Roma Carlo Fuortes, la Direttrice di Rai Cultura Silvia Calandrelli e il Direttore di Radio 3 Andrea Montanari.
E ancora, tra le personalità, i registi Gianni AmelioRoberto Andò, il compositore Giorgio Battistelli, il soprano Raina Kabaivanska, il sovrintendente della Fondazione Arena di Verona Cecilia Gasdia, Gianni Letta, il presidente SIAE Salvatore Nastasi, l’attore e regista Sergio Rubini, l’artista Marinella Senatore, l’opinionista Roberto D’Agostino, i giornalisti e conduttori Corrado Augias, Bruno Vespa, Rosanna Cancellieri e Serena Bortone, il responsabile della lirica al Mic e presidente del Conservatorio “Santa Cecilia” Antonio Marcellino, il presidente dell’Associazione Amici della Musica e del Festival “Giovanni Paisiello” di Taranto Paolo Ruta. [Rating:4.5/5]

Teatro dell’Opera di Roma – Inaugurazione Stagione 2022/23
DIALOGUES DES CARMÉLITES
Opera in tre atti e dodici quadri
Libretto tratto dalla pièce di Georges Bernanos
Musica di Francis Poulenc

Marquis de la Force Jean-François Lapointe
Blanche de la Force Corinne Winters
Chevalier de la Force Bogdan Volkov
Madame de Croissy Anna Caterina Antonacci
Madame Lidoine Ewa Vesin
Mère Marie de l’Incarnation Ekaterina Gubanova
Soeur Constance de Saint-Denis Emöke Baráth
Mère Jeanne de l’Enfant-Jésus Irene Savignano**
Soeur Mathilde Sara Rocchi**
L’Aumônier du Carmel Krystian Adam
Officier Roberto Accurso
I Commissaire William Morgan
Le Geôlier / II Commissaire Alessio Verna
Thierry /Javelinot Andrii Ganchuk**
** Diplomato “Fabbrica” Young Artist Program Del Teatro Dell’opera Di Roma

Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Michele Mariotti
Maestro del coro Ciro Visco
Regia Emma Dante
Scene Carmine Maringola
Costumi Vanessa Sannino
Luci Cristian Zucaro
Movimenti coreografici Sandro Campagna
Mimi attori
Martina Caracappa, Viola Carinci, Davide Celona, Federica D’Amore,
Angelica Di Pace, Marta Franceschelli, Roberto Galbo, Federica Greco,
Yannick Lomboto, Samuel Salamone, Daniele Savarino, Maria Sgro,
Sabrina Vicari, Marta Zollet

Nuovo allestimento Teatro dell’Opera di Roma
in coproduzione con il Teatro La Fenice di Venezia
Roma, 27 novembre 2022