Scelta coraggiosa, quella del Teatro Regio di Parma, che mette in scena per la prima volta Ascesa e caduta della città di Mahagonny di Brecht/Weill. Purtroppo, il pubblico della prima non è particolarmente numeroso, ma ci auguriamo che tanti approfittino dell’occasione per accostare un capolavoro del Novecento non solo musicale, capace più di altri di stimolare anche la riflessione critica sulla storia passata e sulla contemporaneità.
A Parma, la regia è affidata a Henning Brockhaus, che costruisce uno spettacolo articolato e vivace, che tuttavia non convince del tutto nel primo atto, poco organico e a tratti artificioso, mentre si presenta più coerente dal punto di vista drammaturgico nei due atti successivi. Il regista dice di ispirarsi, per scene e costumi, alla pittura americana di Edward Hopper: affermazione vera solo a metà. Nel senso che le bellissime scene di Margherita Palli e gli immaginifici costumi di Giancarlo Colis sono certo perfettamente funzionali a restituire una città americana degli anni Trenta, colorita e disordinata, ma non hanno nulla del concentrato realismo della pittura di Hopper, scarna ed essenziale, così potente nel suo raccontare l’isolamento, l’incomunicabilità, la solitudine. Sentimenti che viceversa emergono talvolta dal testo e dalla musica, quando Weill non si limita ad accompagnare con ritmi di danza ed evocazioni cabarettistiche o jazz la follia utopistica di un luogo ove non vigono regole se non quella di possedere denaro. “Mahagonny – scrive Brockhaus nelle note di regia – è una metropoli del piacere e del divertimento, un paradiso del whisky, del mangiare senza limiti, dei bordelli lussuriosi. È un luogo dove i soldi possono tutto, ma alla fine non servono a niente: non si compra la felicità. Il protagonista Jim Mahoney con impeto da rivoluzionario del capitale impone la legge del “tu puoi fare tutto”. (…) Jim diventa alla fine la vittima delle sue intenzioni: indebitandosi per aiutare un compagno chiede un prestito che gli viene negato, così viene condannato a morte perché non ha più soldi. Non avere soldi è rigorosamente vietato a Mahagonny. Alla fine la città precipita in rovina, fra le proteste dei cittadini che condannano le atrocità del capitalismo e si ribellano con violenza”.
Interessante – e registicamente azzeccata – l’idea di dare spazio al mondo degli operai, significativamente esclusi da Mahagonny: questa realtà di poveri e sfruttati esiste come un’ombra, una presenza angosciante sul fondo della scenografia e crea un forte contrasto con l’andazzo di questa città dell’utopia e della perdizione, che vive costantemente in un clima surreale, sul filo di un abisso nel quale poi alla fine precipita. Poco valorizzata tuttavia la dimensione trasgressiva della città, affidata quasi solo a discinte ballerine in guêpière che nel secondo atto compaiono anche a seno nudo mentre ballano una sorta di lap dance: trasgressione sì, ma edulcorata. Belle comunque le coreografie di Valentina Escobar, perfettamente coerenti con la visione registica, alla quale contribuiscono pure le suggestive luci di Pasquale Mari e i video di Mario Spinaci.
Sul fronte musicale, il direttore Christopher Franklin si attesta su di un piano di apprezzabile correttezza, ma manca quel graffio – o quel guizzo – che conferisca evidenza plastica alla corrosiva scrittura di Weill, che ne accentui la dimensione espressionista, il montaggio quasi cubista nei molteplici riferimenti che dalla tradizione ottocentesca affonda poi nelle pieghe del Novecento. Anche il ritmo teatrale ne viene un po’ compromesso. Pregevolissimi i contributi dell’Orchestra Toscanini e dei suoi strumentisti, nonché del coro del Teatro Regio, istruito dall’ottimo Martino Faggiani.
I protagonisti musicali fanno tutti del proprio meglio, ma con esiti alterni, dovuti anche al fatto che ben quattro artisti devono essere sostituiti per indisposizione. Lo stesso Chris Merritt nel ruolo di Fatty accusa diverse difficoltà di emissione e intonazione, mentre appare discutibile la prestazione di Tobias Hächler (Jim Mahoney), scenicamente efficace ma vocalmente manchevole. Molto brava l’imponente Leokadja di Alisa Kolosova, così come Nadja Mchantaf viene a capo con onore del difficile ruolo di Jenny Hill. Molto bella la voce del baritono Zoltan Nagy (Moses) e nel complesso all’altezza tutti i comprimari, così importanti in questo lavoro.
Teatro Regio di Parma – Stagione lirica 2021/22
AUFSTIEG UND FALL DER STADT MAHAGONNY
Opera in tre atti su testo di Bertolt Brecht
Musica di Kurt Weill
Leokadja Begbick Alisa Kolosova
Fatty, der “Prokurist” Chris Merritt
Dreieinigkeitsmoses Zoltan Nagy
Jenny Hill Nadja Mchantaf
Jim Mahoney Tobias Hächler
Jack O’Brien Matthias Frey
Bill, detto Sparbüchsenbill Simon Schnorr
Joe, detto Alaskawolfjoe Jerzy Butryn
Tobby Higgins Matthias Frey
Il narratore Filippo Lanzi
Sei ragazze di Mahagonny Roxana Herrera, Elizabeth Hertzberg
Yulia Tkachenko, Cecilia Bernini
Kamelia Kader, Mariangela Marini
Orchestra dell’Emilia-Romagna “Arturo Toscanini”
Coro del Teatro Regio di Parma
Direttore Christopher Franklin
Maestro del coro Martino Faggiani
Regia Henning Brockhaus
Scene Margherita Palli
Luci Pasquale Mari
Video Design Mario Spinaci
Costumi Giancarlo Colis
Coreografia Valentina Escobar
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma
in coproduzione con Fondazione I Teatri di Reggio Emilia
Parma, 26 aprile 2022