Dicono a Parma che “Verdi è come il maiale: non si butta via niente!”. Fedele a questo adagio, il Festival che del grande compositore porta il nome ha messo in scena, nel corso degli anni, tutte le opere del Maestro. Non solo, ha anche recuperato versioni alternative degli stessi titoli (si pensi al Macbeth o al Trovatore in francese) o, come accade quest’anno, ha messo in cartellone prime versioni di opere poi modificate. Così, il terzo titolo operistico del Festival Verdi 2022 è quel Simon Boccanegra andato in scena con poco successo alla Fenice nel 1857 (come noto, il lavoro fu poi rivisto per la Scala nel 1881).
L’ascolto della prima versione è molto interessante, perché rivelatore dell’ispirazione drammaturgica e musicale che anima il genio verdiano in quel momento della sua parabola artistica. E se è innegabile che la versione del 1881 è decisamente superiore, quella del 1857, priva della magnifica scena del Consiglio con quel suo accorato appello alla pace, pur presentando in modo forte il tema politico, finisce con lo stemperarlo alla luce delle passioni individuali. Dunque, quello che il Verdi del 1857 ci consegna è un Simone ancor più fragile e tormentato. Coerentemente con questo quadro, meno sbalzata appare anche la bieca figura di Paolo, mentre sul fronte musicale si nota una adesione comunque creativa ai moduli stilistici del tempo, presto foriera di ulteriori grandi sviluppi.
Ben lo sa Riccardo Frizza, sul podio di un’orchestra Toscanini in gran spolvero. La sua lettura non solo è capace di costruire una coerenza stringente nell’arco narrativo, ma valorizza anche le peculiarità di una scrittura che si fa sempre più ricercata. Il maestro bresciano conferisce respiro alla melodia, con un raffinato gioco di variazioni agogiche nell’accompagnamento (altro che “zumpappà”) e una calibratissima attenzione alle dinamiche che hanno come esito un incedere incalzante. Una lettura che rende pienamente ragione del fatto che Verdi è il più grande uomo di teatro italiano dell’Ottocento (si senta, a questo proposito, quale attenzione il direttore riserva all’accompagnamento dei recitativi). C’è poi un gusto per la bellezza del suono – e qui va dato merito agli strumentisti – che si coglie nella calda tornitura degli ottoni, nel guizzo nervoso dei fiati, nella morbidezza degli archi.
Di livello il cast vocale, che trova in Vladimir Stoyanov un Simone di dolente, sobria intensità. La voce del baritono bulgaro è chiara e duttile, non grandissima, ma omogenea e ben proiettata. L’interpretazione è fortemente interiorizzata e ciò che emerge con forza e con commovente autenticità è la figura del padre, mentre sullo sfondo restano il pirata e il condottiero. La fierezza del Simone di Stoyanov è in qualche modo levigata dall’affetto paterno, un po’ come accade per i sassi in riva al mare ligure, accarezzati dalle onde.
Al fianco di un simile protagonista, la magnifica Amelia/Maria di Roberta Mantegna, la cui voce di lunare, perlacea consistenza si piega a una espressività dalle mille sfumature, che illumina la melodia, ed è pure capace di un preciso virtuosismo (c’è anche la vivace cabaletta, poi espunta, dopo la sua aria di esordio). Riccardo Zanellato è un Fiesco fiero, sdegnoso, nobilmente verdiano nel colore e nell’ampiezza di una cavata vocale importante, mentre Piero Pretti disegna il ritratto di un giovane appassionato e vigoroso, con quella sua voce di lucido smalto, svettante in acuto e sempre incisiva nel fraseggio. Paolo Albani trova in Devid Cecconi un interprete perfetto per coerenza vocale e drammatica, così come si fanno apprezzare il Pietro di Adriano Gramigni e l’ancella di Chiara Guerra. Sugli scudi la prova del coro del Regio, istruito da Martino Faggiani: preciso, intonato, dal suono compatto nell’impasto equilibrato tra voci maschili e femminili.
Forse, anche la regista Valentina Carrasco conosce il detto parmigiano che fa un parallelismo tra Verdi e il maiale. Decide infatti di ambientare il racconto in un macello, non di maiali ma di bovini. Scelta che alla prima suscita la reazione sdegnata di una parte del pubblico, che rumoreggia all’aprirsi del sipario nel secondo atto, quando le scene di Martina Segna mostrano proprio tanti bovini appesi nello spazio asettico e un po’ inquietante del mattatoio. Le vecchine del “povero Verdi!” si peritano di ricordarci che “Verdi non faceva il macellaio!”. Grazie dell’informazione. “A noi – spiega Carrasco nelle note di regia – serviva un contesto che rendesse conto della crudeltà a cui possono arrivare i meccanismi di potere”. Ecco dunque il perché del macello che, in passato, spesso si trovava in zone vicine al porto: luoghi entrambi di vita difficile, insalubri per uomini e bestie, ove sovente anche gli uomini si comportano come animali. Dunque, siamo in un porto italiano (genovese?) in un periodo a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento (lo dichiarano i costumi di Mauro Tinti). Molti efficaci le luci di Ludovico Gobbi, nonché i video in bianco e nero di Massimiliano Volpini, che rimandano proprio all’Italia del boom economico. Boccanegra è un leader populista, un caudillo, che si inserisce nel mai sopito conflitto tra patrizi e plebei. Una composizione tra le fazioni si tenterà con la scelta di Adorno quale nuovo doge, alla morte del protagonista, ma il pessimismo verdiano non lascia comunque grandi speranze per il futuro. Il disegno registico ha dunque una sua coerenza, che piaccia o meno. Carrasco è una professionista che sa il fatto suo: cura infatti con grande attenzione la recitazione sia dei solisti che – ed è un fatto notevole – del coro.
Alla fine, il successo è vivo per tutti, con eccezione del team registico, colpito da contestazioni.
Festival Verdi 2022
SIMON BOCCANEGRA
Melodramma in un prologo e tre atti di Francesco Maria Piave
dal dramma Simón Bocanegra di Antonio García-Gutiérrez
Musica di Giuseppe Verdi
Prologo
Simon Boccanegra corsaro al servizio
della repubblica genovese Vladimir Stoyanov
Jacopo Fiesco nobile genovese Riccardo Zanellato
Paolo Albiani filatore d’oro, genovese Devid Cecconi
Pietro popolano di Genova Adriano Gramigni
Dramma
Simon Boccanegra, primo doge di Genova Vladimir Stoyanov
Maria Boccanegra, sua figlia, sotto il nome di
Amelia Grimaldi Roberta Mantegna
Jacopo Fiesco, sotto il nome di Andrea Riccardo Zanellato
Gabriele Adorno, gentiluomo genovese Piero Pretti
Paolo Albiani, cortigiano favorito del doge Devid Cecconi
Pietro, altro cortigiano Adriano Gramigni
Un’ancella di Amelia Chiara Guerra
Filarmonica Arturo Toscanini
Coro del Teatro Regio di Parma
Direttore Riccardo Frizza
Maestro del coro Martino Faggiani
Regia Valentina Carrasco
Scene Martina Segna
Costumi Mauro Tinti
Luci Ludovico Gobbi
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma
Parma, Teatro Regio, 25 settembre 2022