La cantatrice errante peruviana e il suo compagno Piquillo sono tornati dopo parecchio tempo a litigare, amarsi e a prendere in giro Don Andrés, viceré d’operetta ma dittatore fino alla fine (non sa per quale delitto ha mandato in carcere un marchese appena evaso, ma siccome nemmeno quest’ultimo ricorda il perché, decide di rimetterlo in galera). Un soggetto trattato più di una volta, sia sul versante serio che tragicomico: Jean Renoir per esempio ne ricavò un celebre film, La carrosse d’or, con la grande Anna Magnani.
A Parigi, La Périchole è stata messa in scena al Théâtre des Champs-Élysées: forse la sede più giusta, visto che l’autore della musica, Jacques Offenbach, veniva chiamato da Rossini il “Mozart degli Champs-Elysées”. Le recensioni dell’epoca riferiscono che il pubblico della prima uscì canticchiando diverse melodie, soprattutto quella che viene ripetuta più volte e mette fine all’operetta, “Il grandira”. Il sottoscritto, che non canta in pubblico per non venire messo a sua volta in galera dai viceré di turno, è uscito però fischiettandola. Così come il pubblico, che occupava in buon numero – ma non esauriva – l’enorme sala di questo bellissimo teatro, e aveva prima sorriso, riso di buon grado e si era perfino commosso in alcuni punti della meravigliosa partitura. Un grande, Offenbach, che come sempre rielabora a lungo la sua opera e dai due atti iniziali passa ai tre definitivi e, con infallibile istinto drammatico, conclude il secondo con quella autentica follia che è il rondò dei mariti “recalcitranti”, sommerso in questa edizione parigina da ovazioni meritatissime.
Siccome nel 1868 il dittatore reale era già in crisi, la carica di satira politica qui è minore ma non assente, e Offenbach non rinuncia nemmeno a quella musicale: a farne le spese in questo caso è il coro dei nobili oltraggiati dell’atto terzo de La favorite, a riprova di quanto fosse popolare questo titolo donizettiano a Parigi, per non parlare dello straordinario “felicità felicità, ecceterà ecceterà” che la dice lunga anche sulla qualità e incisività del testo dei librettisti Meilhac e Halévy. Messo in chiaro che Offenbach non è solo il grande compositore di un’unica opera più o meno incompiuta, com’è questa produzione parigina? Dulcamara direbbe “eccellente” e avrebbe ragione. È Bordò, non elisir.
La messinscena di Laurent Pelly è ingegnosa, divertente, coinvolgente: per il pubblico, ma anche per tutti gli artisti e perfino per gli orchestrali. Può piacere o meno che il regista abbia modernizzato fin troppo la vicenda e che il primo atto sia ambientato nella losca periferia di una grande capitale sudamericana, ma questi ubriaconi che vengono pagati con alcool per cantare le lodi di un vicerè che si presenta in incognito (quando tutti sanno benissimo chi sia) sono piuttosto furbi e i coristi del Teatro di Bordeaux (preparati ottimamente da Salvatore Caputo) sono tutti fantastici attori e rendono benissimo il momento scenico; esattamente come nel secondo atto, quando si trasformano in cortigiani vil razza dannata che più non si può (e le scene e costumi diventano sfarzosissimi). Il pubblico applaude perfino a scena aperta.
Per non essere da meno, Marc Minkowski e i suoi Musiciens du Louvre si divertono un mondo e in alcuni momenti si mettono in piedi per guardare lo spettacolo e poi (nell’intermezzo aggiunto prima dell’atto terzo) coinvolgono gli spettatori dirigendo i loro battimani. Suonano benissimo, con un ritmo indiavolato, e si fanno valere anche nelle parti più liriche dell’opera, le arie e i duetti della protagonista e del suo Piquillo.
Nel cast, sono tutti bravi nei rispettivi ruoli e compiti. Cito per primo l’unico che si limita a recitare, Eddy Letexier, formidabile come marchese blasé ma soprattutto come prigioniero che ha impiegato dodici anni per trovare un buco da dove scappare: in modo politicamente scorrettissimo abbraccia (e fa anche qualcosa di più) tutte le donne che hanno la sfortuna di stargli vicino, compresa la stessa Périchole, con il “futile” pretesto che sono dodici anni che non ne vede una….(e il pubblico maschilista sghignazza).
Tra i cantanti ci sono le tre cugine che spacciano bibite e altro in periferia che poi – colpo di genio ma anche di risparmio di energie – diventano le tre “nipoti” che nella presentazione a corte disprezzano e burlano il nuovo Marchese Piquillo, colpevole di prestare la propria moglie al vicerè che ben avrebbe potuto guardarsi intorno: sono le brave Chloé Briot, Alix Le Saux ed Eléonore Pancrazi. Bravissimi anche Lionel Lhote e Rodolphe Briand, rispettivamente Don Pedro de Hinoyosa e Le Comte Miguel, ironici a più non posso e spassosi cantanti-attori. Il viceré è l’ormai veterano ma sempre ottimo Laurent Naouri che canta bene quel poco che c’è da cantare, ma si conferma interprete sempre sopraffino.
E poi i protagonisti. Piquillo non ha in locandina un secondo interprete. Sarebbe difficile in effetti trovare un altro Stanislas De Bayberac, che conoscevo come tenore francese di opera seria (ottimo Pelléas) e interprete di musica da camera. Certo ha una figura avvenente ma come cantante e attore risulta impareggiabile: in alcuni momenti sembra quasi un saltimbanco, posto cantare in certe posizioni non è affatto scontato. Protagonista è Marina Viotti. Chi, come me, è abituato alle registrazioni di Crespin o Berganza (che per fortuna ho sentito dal vivo cantare le arie), può rimanere spiazzato, ma non più di cinque minuti. Viotti crea una nuova Périchole, fra il trash, il punk e il gotico, e la interpreta benissimo, con distacco e ironia ma anche con tocchi di tenerezza e molta sensualità, e poi la canta con voce bella, adeguata, in un francese ottimo – è una delle sue lingue madri – e con grande intenzione nel porgere.
Speriamo che qualcuno abbia la buona idea di fare un dvd di queste bellissime recite.
Parigi, 23 novembre 2022