Che il frequentatore assiduo di teatri lirici si rassicuri. Se non ha mai sentito parlare di Coronis, è in assoluta buona compagnia. Quella che l’Opéra-Comique ha deciso di mettere in scena, co-producendola con il Théâtre de Caen che l’aveva già rivelata nel 2019, è una scoperta mondiale. Questa zarzuela, a lungo attribuita ad Antonio Literes, è di fatto una composizione del contemporaneo oggi meno noto Sebastián Durón (1660-1716): a scoprirlo sono stati due studiosi, Raúl Angulo Díaz che ha poi edito la partitura, e Antoni Pons. E, se finalmente Coronis trova la strada del palcoscenico, lo si deve indiscutibilmente a Vincent Dumestre, infaticabile difensore del Seicento, non solo francese e italiano, ma anche iberico. Il direttore francese al timone del “suo” Poème Harmonique, ensemble che ha fondato nel 1998, è riuscito smuovere le montagne, trascinando nell’avventura una delle sale più autorevoli, l’Opéra-Comique. E trionfo fu.
Cercare di seguire il libretto di un autore anonimo, ispirato alle Metamorfosi di Ovidio, è impresa quasi vana: la trama non è solo un intreccio di azioni principali e secondarie, come d’uso nell’estetica barocca, ma ha pure una forte connotazione allegorica, perché un’opera che viene allestita a Madrid, probabilmente nel 1705, davanti al nuovo re Filippo V, nipote del re di Francia Luigi XIV, e per giunta in piena guerra con gli inglesi, un messaggio in un modo o in un altro lo deve pur mandare. La ninfa Coronis – l’allusione alla “corona” non lascia dubbi – è minacciata dal mostro marino Tritone, e contesa simultaneamente da Nettuno e da Apollo Il dio dei mari non esita a scatenare un putiferio per averla, inondando guarda caso il Paese, ma alla fine avrà la meglio il rivale, il dio del sole (c’è bisogno di sottolineare il riferimento a quel “Roi Soleil”, nonno del re di Spagna?). Ovvero, gli inglesi non si facciano illusioni: avranno pure conquistato Barcellona, arrivando per via marittima, ma alla fine saranno i Borboni a spuntarla. Comunque, oggi l’attenzione non è rivolta al libretto, perché è ovviamente la musica a fare la differenza.
Quella di Durón è un vero crocevia di tradizioni, tutte assorbite e rivisitate in chiave personalissima. Sulla partitura, aleggia Lully: il modello della tragédie en musique si fa sentire specie nella numerose pagine corali. E poi certo non sfugge il peso della musica italiana. Che si percepisce nelle arie (spesso lunghe pagine complesse, all’Alessandro Scarlatti) e negli immancabili lamenti: in Coronis, ce n’è uno monodico e un altro addirittura a quattro voci. La scrittura orchestrale è pure estremamente rigogliosa e per altro Durón annota tutto (strumenti e prassi esecutiva). L’attribuzione dei ruoli favorisce le voci femminili per una ragione contingente: i cantanti a Madrid erano quasi esclusivamente impegnati nella musica religiosa, da cui le donne erano tradizionalmente escluse. E dunque, a eccezione di un tenore e di un ruolo en travesti, il cast è tutto femminile.
Il soprano Marie Perbost, che incarna il ruolo eponimo, è la trionfatrice della produzione. Ha tutto per riuscire. Scenicamente, è un’ottima attrice, assolutamente credibile; e si capisce perché tutti gli uomini (divinità e mostri marini al seguito) le facciano la corte. Vocalmente, la giovane Perbost sfodera un timbro ammaliante, una tecnica fluida. L’altra star, che non si lascia confondere nella massa, è il tenore Cyril Auvity: il suo personaggio (Proteo) è il saggio che va ascoltato, ma il pubblico ascolta soprattutto Auvity che sa suscitare sia commozione sia ammirazione. La sua è una voce che è diventata ampia, sicura, ormai da annoverare tra quella dei migliori tenori francesi, perfetta per il repertorio sei-settecentesco. Per il resto, è il lavoro calibratissimo di una troupe omogenea che sa districarsi a meraviglia tanto nelle sezioni d’insieme quanto in quelle soliste. Spiccano comunque Victoire Bunel (Sirene), Caroline Meng (Nettuno) e Marielou Jacquard (Apollo).
Vincent Dumestre non ha più bisogno di essere presentato, almeno dopo il prodigioso Bourgeois Gentilhomme di Molière su musiche di Lully, realizzato con la complicità del regista Benjamin Lazar. Sotto i ponti sono pure passate altri inconfondibili interpretazioni di francesi (Lully, Lalande) e d’italiani (Cavalieri, Monteverdi, Cavalli). Insomma, Dumestre sguazza nel mare del Seicento e riesce sempre a dare una coerenza d’insieme alla partitura di Durón che è, come si diceva, un punto di arrivo di diversi linguaggi. Le Poème Harmonique ha un suono fatto di grande sensualità, perfetto per questo repertorio.
Sceglie di potenziare l’eccesso il regista Omar Porras che opta per uno spettacolo visualmente estremamente carico, pensato più per soddisfare i sensi che l’intelletto. Ma ha ovviamente dalla sua l’estetica del tempo, quel Barocco spagnolo che influenza mezza Europa, prima che il Classicismo francese riprenda in mano il teatro imponendo ordine e disciplina in nome di Aristotele. Insomma, non c’è dubbio: si esce da questo spettacolo felici per la scoperta, gratificati dall’esito musicale. E a giudicare dagli applausi, il giudizio è generale.
Consolazione per coloro che si fossero persi Coronis a teatro: resta il disco che è uscito per l’etichetta Alpha, proprio in concomitanza con la produzione dell’Opéra-Comique. Per questa incisione, Dumestre si è attorniato per lo più degli stessi artisti con l’eccezione del ruolo dell’ambita ninfa inciso dall’altrettanto brava Ana Quintans. Dalla scena al CD, i piaceri variano, ma non troppo.