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Parigi, Opéra-Comique – Armide

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Di tutte le opere dedicate alle vicende amorose di Rinaldo e Armida, da Händel a Dvořák, quella di Christoph Willibald Gluck è probabilmente una delle più riuscite (e ammalianti). Il motivo per cui viene rappresentata così raramente sul palcoscenico – l’ultima produzione parigina risale al 1913 – è che il ruolo del titolo è semplicemente massacrante. Si tratta di un one-woman show, con la protagonista costantemente in scena, a eccezione dell’inizio del IV atto.

Véronique Gens ha raccolto la sfida e questa produzione di Armide segna il trionfo di questa grande interprete, la cui carriera, condotta con acuta intelligenza, l’ha portata dalla musica barocca a Mozart, dal Settecento alle eroine del melodramma ottocentesco. Dopo due ore e mezzo di contrasti affettivi, di amore appassionato, di ripicche, di pentimenti, la scena finale ci lascia senza respiro, quasi abbagliati: Gens incarna con tanta convinzione e perfezione tecnica gli stati d’animo del personaggio che trascina con sé lo spettatore in queste “montagne russe” emotive, lasciandolo stremato alla fine sulla poltrona del teatro. La cantante, tale un’atleta di primo rango, riserva una potenza vocale impressionante nella scena della maledizione. Corriamo all’Opéra-Comique per non perdere una simile impresa e per acclamarla.

Lo spettacolo è travolgente. Innanzitutto dal punto di vista musicale. Intorno a Véronique Gens, i ruoli secondari sono affidati a ottimi cantanti. Si noti, in particolare, l’impressionante Hidraot di Edwin Crossley-Mercer: l’arrivo in scena del baritono-basso franco-irlandese è un pezzo da antologia a se stante. Come non menzionare, inoltre, almeno il raffinato mezzosoprano Anaïk Morel (La Haine) e il giovane tenore Enguerrand de Hys (Artémidore e Le chavlier danois) dal timbro vellutato e dalla tecnica sicura? L’unica delusione ce la riserva Ian Bostridge che, nel ruolo di Rinaldo, non convince. Cantante di Lied, ossessionato dal testo, Bostridge declama il suo ruolo invece di cantarlo (e con gli acuti che fanno cilecca, il quadro è completato).

L’orchestra dei Talens Lyriques e il coro Les élémens, specializzati nel repertorio del Settecento, offrono ai solisti un accompagnamento elegante, stilisticamente coerente ed energico. Christophe Rousset sguazza indiscutibilmente nel mare del repertorio francese sei-settecentesco. Joël Suhubiette ha, come al suo solito, preparato un coro che funziona come un orologio svizzero.

La scenografia di Bruno de Lavenère è piacevole. Belle le luci (ideate da Laurent Castaingt), che ricordano nell’atto III la serie di dipinti del Tiepolo; belli gli spazi, tra cui un albero gigantesco, che illustra a volta il giardino delle delizie di Armide o la desolazione del suo palazzo in rovina, e alcuni motivi non figurativi dell’arte islamica nel primo quadro. Ai costumi, firmati da Alain Blanchot, va almeno riconosciuto il merito di non avere optato per i soliti clichés: no, per una volta, Armida non era tutta di pelle vestita, aderendo al peggio delle produzioni eurotrash. Purtroppo, gli attori sono stati lasciati allo sbaraglio senza alcuna direttiva, tanto che certi movimenti del coro e dei solisti sfioravano la recita natalizia in parrocchia. La regista svizzera Lilo Baur è, a quanto pare, capace del meglio e del peggio nello spazio di una sola serata: indiscutibilmente, ci regala momenti magici, di pura bellezza, accostati ad altri del tutto raffazzonati. Globalmente, però, lo spettacolo funziona. E poi, considerando la lussureggiante magnificenza della partitura e il lavoro musicale eccellente concepito da Rousset, si può pure chiudere un occhio su certi difetti scenici. Lo scroscio interminabile di applausi ci farebbe credere che il pubblico sia uscito in estati dalla mitica salle Favart.

Parigi, Opéra-Comique, 7 novembre 2022

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