A dieci anni dall’esordio della Traviata “alla turca” firmata dal cineasta Ferzan Özpetek, nonché sfogliando le diverse riprese, difficile ritrovare sul palcoscenico del Teatro San Carlo di Napoli una Violetta che riesca a tener testa e ugola con debita procacia scenica e prorompente fisionomia lirico-drammatica a quell’ormai lontano varo di ruolo e allestimento scolpito con vivo successo all’epoca dal soprano Carmen Giannattasio. Da allora, fungendo da trampolino di prova a tante interpreti per svariati motivi rimaste sostanzialmente estranee al personaggio, è sempre mancato qualcosa alla pur bella ed esotica Parigi fatta di sete pregiate e tappeti lussuosi, di arredi orientali e narghilè ideata dal pluripremiato regista di tante celebri pellicole (dalle Fate ignoranti e dalle Mine vaganti alla Napoli velata e alla Dea fortuna) per reinventare, accanto allo scenografo Dante Ferretti e al costumista Alessandro Lai, un primo Novecento iper sensuale per il più gettonato dei capolavori di Verdi.
Così, se non di più, anche stavolta al di là dei consensi del pubblico sperticati e di una indiscutibile tenuta d’assieme, latitante ci è parsa la definizione di molti dettagli, sia nella centratura e finitura canora (nessuno è arrivato a bucare più di tanto la quarta parete) sia per il lavoro in buca ancorato a una mera potenza sonora di superficie, con linee musicali staccate dal podio a gran velocità e spinte per netti contrasti lungo l’intero eppur variegato arco della partitura. Il tutto a fronte di un intatto e ancora efficacissimo contenitore scenico-registico che ambienta il primo atto in un elegante salone franco-turco, il secondo in un assai suggestivo giardino interno con tende a vela (primo quadro) e con apertura su un’immensa scalinata per il quadro secondo, il terzo focalizzato a luce bianca fondente sul solo letto di morte (eccessivo resta comunque il conato di sangue) stretto fra il buio di una camera oscura, quella dell’anima, attraverso cui si intravedono a flash le reazioni al capezzale dei vari astanti.
Intanto nel rispetto degli spettatori della seconda recita, sulla base di quanto diversamente programmato e rimasto in cartellone ma non sul sito cambiato al volo, corre l’obbligo di riportare la non piacevole sorpresa della sostituzione neanche annunciata in sala della protagonista Pretty Yende (nelle news sempre online si leggerà a seguire “a causa di un’improvvisa indisposizione”) con l’interprete del secondo cast, Claudia Pavone, appresa direttamente guardando attoniti (e per un attimo convinti di aver sbagliato data) il caratteristico, gigantesco video ritratto realizzato da Luciano Romano in apertura d’opera. Con buona pace della curiosità critica per quel che avremmo ascoltato nel bene o nel male dalla belcantista sudafricana Yende, si è pertanto assistito a una riformulazione del gioco delle parti essendo la Pavone nelle recite a seguire abbinata ad altre voci.
Ferme restando la chiarezza gestuale e la spiccata sensibilità musicale da sempre riconosciute al giovane direttore campano Francesco Ivan Ciampa, si rileva in tale contesto alla guida dell’Orchestra del San Carlo una condotta oltre le sfumature e le articolazioni profonde per rendere probabilmente e piuttosto, con il massimo effetto metrico e a scarto sonoro, quel bruciare febbrile della “fuggevol ora” che, al di là delle follie e dei piaceri mondani, nella giovane vita spezzata di Violetta assurge a tragico e fatale emblema di fragilità esistenziale. Di conseguenza le quarantanove battute di Preludio, con il relativo bagaglio di temi ed esposizione tonale (malattia più solitudine in si minore, amore in mi maggiore), corrono sottili e in fretta per deflagrare nei fulgori pseudo bandistici dell’Introduzione, analogamente camminata se non incontinente, con qualche rischio inevitabile di sfasatura. Ne consegue il costante, gran piglio brillante (particolarmente apprezzato dallo spettatore generico) e un esito fonico quasi da colonna sonora che spinge in avanti il carro, il canto e gli eventi.
Il che vale per il brindisi brillante con un Coro misto dai piedi sempre ben saldi grazie alle cure evidenti apportate in tempi recenti dal maestro José Luis Basso, per una Stretta (Si ridesta in ciel l’aurora) rapinosa ma scandita con attenzione e piglio, per le cabalette ad alti giri, per un Finale II dall’applauso assicurato (vivace il coro di zingarelle e matadori più ballo in coreografia coerente grazie alle sempre notevoli prestazioni del Corpo di Ballo della Fondazione), fino a puntare sulla concentrazione tensiva dell’intero atto finale. Dell’orchestra, che della bacchetta asseconda il taglio, si cita il bel solo del primo clarinetto ospite Edoardo Di Cicco, intonazione e tinta – al netto di un’articolazione non sempre omogenea – del primo violino ospite Daniela Cammarano, la cantabilità dei violoncelli, la prestanza degli ottoni.
Passando alle voci, la Violetta del soprano Claudia Pavone è bella e si muove complessivamente bene in scena. Ma non folgora quanto a personalità lirico-drammatica, pur prendendo miglior quota strada facendo. Nel canto di conversazione al primo atto lascia perplessi alquanto posizionando troppo avanti la voce e dunque stridendo, mal governando le traiettorie all’acuto sia in partenza che in approdo, coprendo i centri nella ricerca di maggior vigore. E questo vale anche per la sua prima grande scena e aria in cui presta comunque, va detto, notevole attenzione alle indicazioni in partitura e ai sonori sovracuti, Re bemolle e Mi bemolle di rito, che spinge troppo. Ma li prende. Poi, dal duetto con Germont padre, in lei cambia qualcosa. Le sue sonorità si fanno più intense e interessanti. In ben calibrata espansione risultano ad esempio sia il sol con doppio punto e corona all’addio con Giorgio Germont, sia l’esplosione del suo celeberrimo “Amami, Alfredo” preparata con attacco di velluto. In via analoga, al di là di qualche stimbratura nelle parti recitate, ben sostiene l’affronto pubblico di Alfredo, le dinamiche espressive e tutti i lunghi, intensi “la” all’acuto del suo dolente “Addio del passato” (peccato per la piccola incrinatura nello smorzare al termine il fil di voce), fino a risultare potente nella chiusa a tre in livido ostinato.
Viceversa l’Alfredo del tenore Francesco Demuro cambia un po’ l’asse del ruolo in direzione donizettiana, presentando timbro sostanzialmente chiaro e forgiando slanci d’eleganza eroica alla Edgardo o di tenera tinta alla Nemorino, ma sempre distinguendosi per l’omogeneità del metallo, la solidità della tecnica e per la cura non comune di un fraseggio articolato in lunghe arcate di suono e in studiati portamenti. Ne deriva un’aria “De’ miei bollenti spiriti” di gran tempra, scolpita staccando note ampie e lunghe, fino a infiammarsi nella cabaletta svettando in un do finale di petto poderoso e infinito.
Di calco verista per postura verso il pubblico (alla Tonio nel Prologo) e continua ricerca di una varietà di scavi non necessari al ruolo, viceversa di proiezione bronzea e opulenta, è il Germont padre del baritono georgiano naturalizzato tedesco George Gagnidze, apprezzabile soprattutto nello scontro e accordo con Violetta rispetto alle introspezioni spesso troppo introiettate e coperte nella sua unica grande aria “Di Provenza il mare, il suol”, la cui frase avversativa, pur in forte, mette quasi paura per l’aggressività dell’attacco.
In serata decisamente non felice, poi, i due comprimari Marco Miglietta (Gastone) e Valeria Girardello (Flora Bervoix), l’uno per suoni allargati e sfrangiati, l’altra per l’emissione scavata e oscillante. Di squillo e professionalità inossidabili, invece, Daniela Mazzucato per Annina, bene Enrico Marabelli (barone Douphol), Pietro Di Bianco (marchese d’Obigny), Alessandro Spina (dottor Grenvil). Completavano a dovere il cast i tre coristi del Lirico napoletano Michele Maddaloni (Giuseppe), Giacomo Mercaldo (un domestico di Flora) e Alessandro Lerro (un commissario).
Grande, al termine, l’entusiasmo del pubblico.
Teatro San Carlo – Stagione d’opera e di balletto 2021/22
LA TRAVIATA
Opera in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave
dal dramma di Alexandre Dumas La dame aux camélias
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Claudia Pavone
Alfredo Germont Francesco Demuro
Flora Bervoix Valeria Girardello
Annina Daniela Mazzucato
Giorgio Germont George Gagnidze
Gastone Marco Miglietta
Il barone Douphol Enrico Marabelli
Il marchese D’Obigny Pietro Di Bianco
Il dottor Grenvil Alessandro Spina
Giuseppe Michele Maddaloni
Domestico di Flora Giacomo Mercaldo
Un commissionario Alessandro Lerro
Orchestra, Coro e Corpo di Ballo del Teatro di San Carlo
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Maestro del coro José Luis Basso
Regia Ferzan Özpetek
Scene Dante Ferretti
Costumi Alessandro Lai
Luci Giuseppe Di Iorio
Direttore del Balletto Clotilde Vayer
Produzione del Teatro di San Carlo
Napoli, 24 luglio 2022