Un diluvio di fiori e petali da palchi e barcacce come non si vedeva da almeno vent’anni, un programmone scelto fra i ruoli di punta del teatro musicale dall’Otto al primo Novecento italiano con bel confronto europeo, una primadonna assoluta per quantità di voce, forza e carisma che svetta, con tanto di sfilata in quattro abiti d’alta foggia, al fianco di un rimbalzo dal podio che accompagna magnificamente, pur se nei cammei sinfonici esagera sforando nel simil Capodanno. E, al termine, due bis da varietà popolare con pubblico in visibilio nel fitto scambio di baci dal palco e di applausi in sala.
È a tutti gli effetti un grande spettacolo, più che un recital per voce con orchestra, il concerto che sul palcoscenico del Teatro San Carlo ha incoronato ancora una volta superstella della lirica mondiale Anna Netrebko, ormai “di cartello” a Napoli ma stavolta chiamata a inaugurare in data unica la nuova Stagione di Concerti della Fondazione lirica guidata da Stéphane Lissner tagliando, al contempo, il nastro delle celebrazioni dedicate ai cent’anni dalla nascita (1923-2023) di un’altra diva dall’iconico canto, del secolo appena trascorso, qual è stata la comunque impareggiabile Maria Callas.
Dopo il singolare hors-d’oeuvre giocato sull’evento-performance “a sette morti” creato e interpretato dall’artista Marina Abramovich, il soprano russo ne ha tradotto in pratica e in prospettiva per la concertistica la vastità e il peso drammatico del repertorio, passando in rassegna salti non facili per cronologia, targa culturale e ruolo, tuttavia saldandone in cifra sostanzialmente unica le disparità di stile e tecnica quanto di tinta espressiva. Vale a dire, vuoi che si tratti di belcanto italiano del primo Ottocento o del dramma musicale tedesco, dell’opéra-lyrique francese, del dramma lirico verdiano o di tragedia lirica giapponese di Puccini, il canto ne esce sempre d’impatto vincente facendo leva su elementi costanti e precisi: una quota drammatica di forza impressionante per volume e fiato, le risorse di un istinto musicale raro che tutto risolve, il pieno dominio delle dinamiche e delle puntature all’acuto, delle espansioni melodiche come delle smorzature sfumandone ad arte la fibra. Viceversa, sempre nel quadro di sintesi degli esiti, vano risulta cercarvi il lavoro di cesello in dizione e colorature, nello stile e nella lamina delle melodie in tempo lento tonalmente più scoperte. Perché, semplicemente, c’è da fare i conti con un ispessimento dei suoni di canna, pur prodigiosi e rotondi ma intatti ed esatti in via privilegiata se proiettati entro il raggio di potenza della spinta, dunque ideali per tutto il repertorio drammatico più audace e di forza. Si pensi, per analogia, alla sensibilità del muscolo di un braccio dopo aver portato a lungo un peso eccessivo se non estremo.
Il percorso in programma, staccato da un fitto scroscio di applausi all’ingresso di una Netrebko bellissima nel suo ampio abito di raso bianco e nero, oltre che generosa nell’affettuoso saluto con cui subito ringrazia il pubblico napoletano, ha inizio con il Finale ultimo dall’Anna Bolena di Gaetano Donizetti. Un pannello articolato fra scena, cantabile e cabaletta che ritrae in proiezione esemplare la regina mancata e condannata passando dal più tenero ma vaneggiante delirio delle nozze immaginate al perdono della coppia regale abbandonandosi alla morte (Piangete voi?… Al dolce guidami…Coppia iniqua). Fra gli emblemi del migliore lirismo donizettiano e tra i piatti forti della prima Netrebko, sia nella scena che nel cantabile si raccolgono nella duplice Anna gemme assai preziose grazie alla lucentezza delle note più alte, ipersfumate e lunghissime, alla dolcezza del disegno terzinato ma, anche, qualche patina di stanchezza nell’equilibrio tonale delle curvature discendenti corrispondenti alla rassegnazione dolente e nelle acciaccature più biscrome laddove l’interprete sposta o rinforza più in basso e internamente la voce. L’etereo platino della Callas, insomma, qui non si ritrova. Di gran temperamento è invece, come prevedibile, la cabaletta, ardita e tagliente ma, anche qui, si riscontrano all’acuto suoni un po’ duri e sforzati.
A seguire, il tracciato interpretativo, esclusa la Dalila dal Samson di Saint-Saëns, risulta tutto in splendida ascesa, con alcuni apici di intensità folgorante che annunciano, con ogni probabilità, quel che saranno i suoi impegni futuri. La sua Abigaille dal Nabucco di Giuseppe Verdi in quella scena e aria corrispondente al primo vero focus solistico sulla principessa assira (Ben io tʼinvenni… Anchʼio dischiuso un giorno) sfodera, oltre a un ricco abito perlaceo color sabbia, una miriade di accenti, salde abilità nei salti intervallari repentini e un vigore plastico che ne scolpisce a tinte vivide la sete di potere inerpicandosi in soluzione miracolosa e crescente lungo le due ottave del suo registro. Il cantabile ne rivela anche il sentimento, tra abbandoni, rarefazioni e impennate in rapporto comunque dialettico con la disincantata ambizione.
Di minore intensità risulta la sua attesa a denti stretti fatta di sogni e illusioni (Un bel dì vedremo) dalla Madama Butterfly di Giacomo Puccini, pur esaltata fra sospensioni e slanci di drammatico pathos ma entro i margini di una corretta linea esecutiva più che di plastico affondo interpretativo.
Nella seconda parte prendono quindi forma e voce, in efficace angolazione e confronto, i diversi repertori d’Europa. L’inno seducente alla primavera dal primo atto del Samson et Dalila di Camille Saint-Saëns “Printemps qui commence” – per cantare la Francia sceglie uno stretto abito rosso-argento tutto di paillettes – non lascia in verità una memorabile impronta per cause simili a quelle rilevate nel brano d’apertura di recital mentre l’interprete, letteralmente, prende quota e brilla luminosissima per recitazione, tecnica, piglio, espansioni melodiche e trillature nell’aria di bravura “Dieu! Quel frisson court dans mes veines?” dal Roméo et Juliette di Charles Gounod. L’aria del veleno posta in apertura di scena al quarto atto e particolarmente amata dalla Netrebko, è appunto il primo dei tre apici assoluti nel giro di vite stretto con diversa esposizione in rapida successione. La sua Giulietta conquista per la viva tempra e per la ricchezza melodica di un canto fitto di perigli, fra slanci di tecnica e passione, fioriture all’acuto e accenti di forza, tutti sul fiato.
Superba è anche la sua Liza dall’atto terzo della Pikovaja Dama di Čajkovskij, naturalmente in abito nero e scontornata fra scena e arioso (Uzh polnoch blizitsya… Akh! Istolimas ya gorem) con un afflato timbrico-espressivo, oltre che linguistico, vibrato con le corde più autentiche del soprano russo. Vi è tutto: attesa, ansia e tormento, domande e abbandoni, accenti e colori della grande madre Russia. Di simile altezza è infine il recente traguardo wagneriano siglato da una morte d’amore (Liebestod) dal Tristan und Isolde prossima al sublime e, forse, piccolo assaggio di un’imminente, immensa Isotta.
Quanto ai brani meramente sinfonici (la Sinfonia del Nabucco, l’Intermezzo della Manon Lescaut di Puccini, l’Ouverture da Ruslan e Ljudmila di Glinka e il Preludio del Tristan und Isolde), la gran velocità e il taglio paratattico hanno spinto più di una volta l’esecuzione fino alle porte della musica bandistica (Verdi), da film (alla Star Wars in chiusa d’Intermezzo pucciniano) o, comunque, verso standard all’americana. Viceversa Jader Bignamini, direttore italiano che ha più volte diretto la coppia Netrebko-Eyvazov accompagnandola anche nella recente tournée asiatica e in ulteriori, importanti tour sia in concerto che discografici, garantisce accompagnamenti al canto notevolissimi. Con le sue metriche a gran velocità mette in ogni caso a dura prova l’Orchestra del San Carlo che, nell’occasione, tiene invece ben testa a ogni sua richiesta. In particolare si premiano l’intera sezione degli archi, con special merito per le prime parti del quartetto con lode per il violista Leonardo Li Vecchi, le sempre efficacissime percussioni, il solo del corno inglese in Donizetti e il migliore equilibrio dei fagotti.
Tripudio finale, pubblico in piedi e un lancio di fiori talmente veemente da aver colpito le teste dei violoncellisti e uno spartito addirittura volato in terra. Poi, i due bis, non proprio in linea con quanto ascoltato, ma festosi assai. E qui Anna Netrebko, dominatrice, incantatrice e regina assoluta del palco abbraccia i tanti fasci di fiori e, danzando voluttuosa, regala la vezzosissima romanza-valzer “Il bacio” del risorgimentale Luigi Arditi e una folcloristica “Heia, heia, in den Bergen” (altro cavallo di battaglia dell’interprete) dall’operetta La principessa della Czarda dell’ungherese Emmerich Kálmán.
Teatro San Carlo – Stagione di Concerti 2022/23
CONCERTO DI CANTO
soprano Anna Netrebko
direttore Jader Bignamini
Orchestra del Teatro di San Carlo
Programma
Gaetano Donizetti
Anna Bolena, “Piangete voi?… Al dolce guidami…Coppia iniqua”
Giuseppe Verdi
Nabucco, Sinfonia, “Ben io tʼinvenni… Anchʼio dischiuso un giorno”
Giacomo Puccini
Manon Lescaut, Intermezzo
Madama Butterfly, “Un bel dì vedremo”
Camille Saint-Saëns
Samson et Dalila, “Printemps qui commence”
Charles Gounod
Roméo et Juliette, “Dieu! Quel frisson court dans mes veines?”
Michail Glinka
Ruslan e Ljudmila, Ouverture
Pëtr Ilʼič Čajkovskij
Pikovaja Dama, “Uzh polnoch blizitsya… Akh! Istolimas ya gorem”
Richard Wagner
Tristan und Isolde, Preludio, “Mild und leise”
Inizio celebrazioni Centenario Maria Callas (1923-2023)
Napoli, 8 ottobre 2022