Altro importante appuntamento della corrente stagione dell’Opéra di Monte-Carlo è quello che ha visto la prima rappresentazione locale di Wozzeck di Alban Berg nel nuovo allestimento che il teatro monegasco ha realizzato in coproduzione con il Théâtre du Capitole de Toulouse. A firmarlo è il poliedrico e versatile attore e regista Michel Fau, popolarissimo in Francia, che in ambito operistico si ricorda per aver firmato spettacoli meravigliosi come Le postillon de Lonjumeau di Adam e Dardanus di Rameau.
Dinanzi a un capolavoro dell’espressionismo come questo, la regia e l’impianto visivo, con scene di Emmanuel Charles e costumi di David Belugou, non si limitano ad andare alle radici dell’isterismo umano, bensì lo sublimano presentandocelo visto dagli occhi di un adolescente, che è il figlio di Marie e Wozzeck, voluto dal regista sempre presente sulla scena e affidato a un attore; il quale, come in un’immagine riflessa dell’inconscio, assiste nella stanza da letto al consumarsi del dramma dei suoi genitori, che l’hanno messo al modo “senza la benedizione della Chiesa”. Un figlio che non è più piccolo, ma già in grado di capire come la sua condizione sia quella di vittima dinanzi a una madre, Marie, che legge la Bibbia ma non è certo virtuosa e compagna fedele, tanto da tradire Wozzeck, il quale, scoperta l’infedeltà della donna, l’assassina per poi sprofondare annegato nello stagno dove si reca per gettare il coltello e lavare i segni di sangue che le insozzano le mani dopo il delitto.
La tragedia di Wozzeck, tuttavia, non si consuma come potrebbe essere un qualsiasi delitto d’onore verista, è piuttosto una storia che affonda le radici nella psicanalisi, nell’incapacità dell’essere umano di uscire dal buio di un animo perso nello sgretolamento della coscienza. La sua forza visionaria e l’alienazione sono appunto narrate da Fau attraverso il sogno oppressivo di un ragazzino che appare ad apertura di sipario in camicia da notte nel grande letto di una stanza, formata da pareti sghembe e grigie che si scompongono e mostrano, come crepe dei muri, gli ambienti dove si consumano i fatti di questo incubo immerso nell’ombra. La stanza è vuota, l’unico arredo è un crocifisso appeso alla parete, sopra lo schienale ferreo del letto; atto dopo atto diventa più grande, come a voler simboleggiare il peso di una morale che i personaggi non seguono, vittime di un destino che impedisce loro di agire, fissandone il disilluso abisso psichico ai limiti della pazzia. Come pietrificati nel dolore nevrotico che li rende vittime di un sistema dove sembra percepirsi a ogni passo un sentore di morte e di soffocata oppressione, lo spettacolo di Fau realizza, attraverso le visioni orribili del ragazzo, una narrazione dove follia e allucinazione, condite con una punta di ironia caricaturalmente straniante (c’è anche un gigantesco coniglio che si gonfia e sgonfia nella stanza), vanno a braccetto.
Sotto gli occhi atterriti di questo adolescente passano tutte le paure che alla fine lo vedono accettare con indifferenza la morte della madre annunciatagli da compagni di gioco che paiono spettri, mentre lui non siede incurante sulla sagoma di un cavalluccio di legno pronunciando le parole “Hop, hop! Hop, hop! Hop, hop!”, bensì su una grande statua equestre, indossando una corona, come a voler simboleggiare quanto la sua indifferenza dinanzi alla morte sia riconquistata purezza dopo un angoscioso sogno tramutatosi in realtà, ma allontanato dalla mente.
Splendido l’utilizzo delle luci di Joël Fabing, che disegnano ombre bieche e cariche di turbamenti, mentre i costumi, talvolta eccessivamente colorati, sembrano disegnare alla perfezione gli archetipi espressivi di questi personaggi alienati e senza speranza, se non addirittura pervasi da quel senso di follia portata all’estremo di un umorismo nero che anche la musica ben tratteggia.
Ecco perché la bacchetta del direttore giapponese Kazuki Yamada, alla testa di un’Orchestre Philharmonique de Monte-Carlo in stato di grazia, della quale è direttore artistico e musicale, e di un Coro dell’Opéra di Monte-Carlo (istruito come sempre alla perfezione da Stefano Visconti) e del Choeur d’Enfants de l’Académie de Musique Rainier III, cerca suoni tesi e taglienti, realizzando una dinamica contrastata e una ricercatissima attenzione a timbri e colori strumentali; il tutto percorso da brividi sinistri e da sonorità gelide e livide, dove il nervoso parossismo sonoro più drammatico si piega a un lirismo malato e inquieto.
La compagnia di canto è eccellente. La domina la Marie di Annemarie Kremer, attrice e cantante perfetta per la parte, abile nel modulare i suoni passando dal canto allo Sprechgesang con sottolineature espressive che rendono alla perfezione la sua doppia anima di donna che è madre tenera ma anche adultera, in bilico fra i mille contrasti che caratterizzano un personaggio al quale il soprano olandese dona strazi interiori e raccolte meditazioni liriche.
Il baritono tedesco Birger Radde è un Wozzeck lacerato ma anche commosso, in perfetto equilibrio fra allucinata follia e abbandoni nei quali utilizza ad arte la mezzavoce con emissioni morbide e delicate. Tonante Il Dottore di Albert Dohmen e d’incisiva nettezza la voce tenorile di Mikeldi Atxalandabaso nei panni del Capitano. Ottimo anche il Tamburmaggiore del tenore Daniel Brenna, così come Michael Porter (Andres), Lucy Schaufer (Margret), Matthieu Toulouse (Primo garzone), Fabrice Alibert (Secondo garzone) e Andreas Conrad (Il Pazzo).
Una menzione particolare va all’attore Dimitri Doré, che nei panni del Figlio di Marie ha tanto da stare in scena; lo spettacolo di Fau lo rende, come si è detto, vero protagonista, seppure muto, di questo incubo visionario al limite dell’isteria che coinvolge l’inconscio e contribuisce a fare di Wozzeck uno dei grandi capolavori del Novecento operistico, carico di quella insanabile inquietudine che questo riuscitissimo spettacolo ben trasmette utilizzando il simbolismo psichico, ma a ragion venduta, andando alla radice della desolata disperazione dell’essere umano perso in una quotidianità oppressa e disperata, senza speranza né riscatto.
Salle Garnier, Opéra di Monte-Carlo – Stagione 2021/22
WOZZECK
Opera in tre atti e quindici scene
Libretto di Alban Berg dal dramma di Georg Büchner
Musica di Alban Berg
Wozzeck Birger Radde
Il Tamburmaggiore Daniel Brenna
Andres Michael Porter
Il Capitano Mikeldi Atxalandabaso
Il Medico Albert Dohmen
Primo garzone Matthieu Toulouse
Secondo garzone Fabrice Alibert
Le Fou Andreas Conrad
Marie Annemarie Kremer
Margret Lucy Schaufer
Il figlio di Marie Dimitri Doré
Un soldato Walter Barbaria
Un tenore solo Vincenzo Di Nocera
Orchestre Philharmonique de Monte-Carlo
Direttore Kazuki Yamada
Direttore del coro Stefano Visconti
Choeur d’Enfants de l’Académie de Musique Rainier III
diretto da Bruno Habert
Preparazione musicale Jesko Sirvend
Maestro di canto David Zobel
Regia Michel Fau
Scene Emmanuel Charles
Costumi David Belugou
Luci Joël Fabing
Assistente alla messa in scena Jean-Yves Courrègelongue
Nuovo allestimento in coproduzione con
il Théâtre du Capitole de Toulouse
Monte-Carlo, 27 marzo 2022