Prosegue con successo la lodevole iniziativa del Teatro alla Scala di proporre, all’interno del proprio variegato cartellone, anche opere del repertorio contemporaneo. Se, nelle ultime stagioni, sono stati messi in scena titoli di musicisti quali Giorgio Battistelli, Luca Francesconi e György Kurtág e, nelle scorse settimane, ha debuttato una nuova commissione scaligera per famiglie, Il piccolo principe di Pierangelo Valtinoni (qui la nostra recensione), quest’anno la scelta è caduta su uno dei compositori più prolifici e acclamati dell’area anglofona, autore di tre opere liriche e di numerosi pezzi orchestrali e da camera, Thomas Adès.
Per l’occasione, viene finalmente eseguita in prima italiana The Tempest, su libretto della scrittrice e drammaturga australiana Meredith Oakes tratto dall’omonima pièce teatrale di William Shakespeare; dopo la prima mondiale, nel febbraio 2004, alla Royal Opera House di Londra, è stata ripresa, nel corso degli anni, in svariate piazze internazionali, come Copenaghen, Santa Fe, Québec, New York, Vienna, Budapest. Dopo l’accoglienza positiva per Powder Her Face del 1995, incentrata sulla scandalosa figura della duchessa Ethel Margaret Whigham, il teatro londinese commissionò ad Adès una nuova opera; l’idea di trattare il soggetto shakespeariano venne nel 2000, dopo che il musicista assistette, all’Almeida Theatre di Londra, all’allestimento di Jonathan Kent per The Tempest. Dal dramma di Shakespeare vengono estrapolati solamente alcuni nuclei tematici, soffermandosi in primis sulla necessità e sulla difficoltà dell’essere misericordiosi; il testo originale è altresì ripensato e riscritto, ridotto e concentrato in un linguaggio contemporaneo, costituito da versi brevi, ritmici e rimati o semi-rimati, così da rispecchiare gli aspetti magici e rituali della pièce. Sensibili risultano le differenze tra il dramma in cinque atti e l’opera lirica in tre atti: per esempio, il protagonista Prospero è qui visto non come un magnetico e distaccato demiurgo, ma come un uomo appassionato e assetato di vendetta. La partitura di Adès appare fluida e fortemente chiaroscurata, eclettica e imprevedibile, giocata su di uno stile cangiante, contraddistinto da un ampio ventaglio di sfumature espressive, timbri e colori orchestrali, trattamenti vocali, una miscela ben riuscita di omofonia e polifonia, consonanza e dissonanza, linee melodiche continue e frammentate, alterazioni agogiche e scarti dinamici.
Sul podio dell’Orchestra del Teatro alla Scala, troviamo il compositore stesso. Adès viene a capo di una partitura poliedrica, a tratti difficile, con lucidità, determinazione e piglio energico, dandone una lettura pungente, nitida e vibrante, nella quale coesistono, con marmorea compattezza, vigoria e tenerezza, sonorità livide e magmatiche e altre trasparenti e filigranate. Una direzione nella quale i vividi contrasti vengono sbalzati a tuttotondo con incisività.
Ben assortito il cast, quasi tutto madrelingua e che vede numerosi debuttanti al Teatro alla Scala. Dopo il successo del 2018 come Clov in Fin de partie, torna a Milano il baritono britannico Leigh Melrose. Vocalità nel complesso corposa e di grana scura, doviziosa di accenti e inflessioni, sorretta da un fraseggiare scavato nella pietra, Melrose delinea con cocente espressività ed efficacia un Prospero dilaniato e potentemente umano, combattuto tra l’amore per la figlia e il desiderio di vendicarsi, tra lirismo e accensioni d’ira. Nei panni dello spirito dell’aria Ariel, figura il soprano di coloratura statunitense Audrey Luna. Voce puntuta e leggera, emette con naturalezza e facilità acuti, sovracuti e trilli al fulmicotone, gorgheggi e vocalizzi pirotecnici e penetranti come spilli, proiettati al limite della tessitura vocale sopranile. Il tenore canadese Frédéric Antoun è un Caliban dallo strumento pastoso, caldo e solare, screziato di suggestive sfumature bronzee, curato nella dizione, scenicamente credibile nei panni del selvaggio che, alla fine dell’opera, rimarrà sovrano incontrastato dell’isola.
Il mezzosoprano americano Isabel Leonard, Miranda, figlia di Prospero, si distingue per la voce ambrata, morbida e avvolgente, quasi di tinta sopranile nelle note alte, e per l’interpretazione romantica e ingenua. Come Ferdinando brilla il tenore canadese Josh Lovell: la vocalità è argentina, fresca e luminosa, duttile ed emessa con omogeneità, in unione a una musicalità rifinita e a un physique du rôle avvenente. Il tenore inglese Toby Spence è un Re di Napoli dallo strumento vocale chiaro e malleabile, estremamente musicale e ricco di armonici, mentre il tenore britannico Robert Murray (Antonio, fratello di Prospero) emerge per l’eleganza di fraseggio, per la voce squillante e per la buona immedesimazione nel ruolo di traditore mellifluo.
Il basso americano Kevin Burdette è uno Stefano istrionico e spassoso, senza però risultare volgare o macchiettistico, a tratti appannato nei gravi. Accanto a lui, il controtenore Owen Willetts nei panni del giullare Trinculo, dimostra di possedere una vocalità rotonda, estesa e dalla timbrica sfolgorante. Completano il nutrito cast il puntuale baritono inglese Paul Grant (Sebastian, fratello del sovrano di Napoli) e il sonoro basso-baritono rumeno Sorin Coliban (il consigliere Gonzalo). Vigorosi e inappuntabili gli interventi del Coro del Teatro alla Scala, guidato con mano sapiente da Alberto Malazzi.
Già noto al pubblico scaligero per aver firmato, nell’era Lissner, le regie di 1984 di Maazel, nel 2008, e l’anno successivo The Rake’s Progress di Stravinskij, torna a Milano il regista, attore e sceneggiatore Robert Lepage. Lo spettacolo, una coproduzione del 2012 già andata in scena, negli anni passati, al MET di New York, all’Opéra de Québec e alla Wiener Staatsoper, viene ripresa per l’occasione da Gregory A. Fortner. L’allestimento presenta uno spiccato, pregnante effetto di mise en abyme per gli spettatori del Piermarini: le scene di Jasmine Catudal, infatti, ripropongono l’interno della Scala, con i suoi palchi rivestiti di tappezzeria rossa e i fregi dorati, il palcoscenico, le quinte teatrali, il prezioso lampadario (qui meno elaborato e più stilizzato). Questo omaggio al Teatro si collega a doppio filo al testo shakespeariano: da una parte, è un invito a riflettere sugli stretti legami tra il Bardo e il Belpaese (alcuni studiosi hanno persino avanzato l’ipotesi che Shakespeare fosse, in realtà, un linguista e scrittore di origini italiane); dall’altra, non dobbiamo dimenticare come il protagonista, Prospero, prima di essere spodestato fosse duca di Milano, la Milano della scienza e della magia, degli Sforza e di Leonardo da Vinci. Inoltre, nella chiave di lettura di Lepage, il dramma shakespeariano è una storia di magia, trappole, illusioni: da qui, la scelta di riambientarla nel teatro per antonomasia, la Scala appunto, il cui impresario teatrale è nientemeno che Prospero. Come si apprende dall’intervista al regista, pubblicata nel programma di sala, punto di partenza è il 1608, anno di composizione del testo shakespeariano: sempre nel 1608, difatti, fu fondata Québec City, sul sito di un villaggio di nativi irochesi, ed è proprio nella cittadina americana che Lepage decide di ambientare The Tempest, con Prospero, impresario teatrale europeo, che giunge nell’America immacolata e indigena (incarnata da Caliban), costruendo una propria “cassetta degli attrezzi magici”, un proprio mondo privato, la riproduzione della Scala. Grazie anche ai bei costumi in stile ottocentesco di Kym Barrett, estremamente dettagliati e variegati, alle vivide luci di Michel Beaulieu (riprese da Marco Filibeck), ai video evocativi di David Leclerc e alla coreografia movimentata e funambolica di Crystal Pite (ripresa da Katherine Cowie), ne scaturisce uno spettacolo metateatrale esteticamente impattante e avvincente, sorretto da una recitazione sicura, da un notevole dinamismo sia dei solisti che delle masse, da trovate di sicura presa sugli spettatori, impreziosito da seducenti giochi d’ombra (ricordiamo, almeno, il poetico Finale secondo, con le silhouette dei due giovani innamorati che si stagliano su di un emozionale paesaggio naturale bagnato da luci vespertine).
Teatro quasi esaurito (e non è affatto scontato, con titoli contemporanei) e convinto successo di pubblico, con accoglienza entusiastica soprattutto per Adès, Melrose, Luna, Antoun.
Teatro alla Scala – Stagione 2021/22
THE TEMPEST
Opera in tre atti
Libretto di Meredith Oakes
tratto dall’omonima opera teatrale di William Shakespeare
Musica di Thomas Adès
Prospero Leigh Melrose
Ariel Audrey Luna
Caliban Frédéric Antoun
Miranda Isabel Leonard
Ferdinand Josh Lovell
King of Naples Toby Spence
Antonio Robert Murray
Stefano Kevin Burdette
Trinculo Owen Willetts
Sebastian Paul Grant
Gonzalo Sorin Coliban
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Thomas Adès
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia Robert Lepage ripresa da Gregory A. Fortner
Scene Jasmine Catudal
Costumi Kym Barrett
Luci Michel Beaulieu riprese da Marco Filibeck
Video David Leclerc
Coreografia Crystal Pite ripresa da Katherine Cowie
Movimenti acrobatici Geneviève Bérubé
Coproduzione Wiener Staatsoper, The Metropolitan Opera,
L’Opéra de Québec.
In collaborazione con Ex Machina
Milano, 5 novembre 2022