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Milano, Teatro alla Scala – Recital di Anna Netrebko

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Il senso di una serata è (quasi) tutto nel brano d’esordio. “Io son l’umile ancella” da Adriana Lecouvreur, l’aria con cui Anna Netrebko apre il recital che segna il suo ritorno al Teatro alla Scala dopo che aveva rinunciato a interpretarvi proprio l’eroina di Cilea all’indomani delle polemiche seguite all’invasione russa dell’Ucraina. Quando si affaccia per la prima volta sulla scena, vestita di un vaporoso abito chiaro e con i capelli sciolti, il pubblico che gremisce il teatro le tributa un’ovazione. E sarà così sino a fine recital, anche quando lei, dopo i primi due bis, annuncia scherzosa che non farà come Juan Diego Flórez e si limiterà a tre bis. Peccato, perché il pubblico avrebbe ancora ascoltato questa grande primadonna dei nostri tempi. Per molti, il più grande soprano di oggi. Di certo un’artista somma, “ancella del genio creator”, come recita il libretto di Adriana: proprio quello che andrebbe chiesto agli interpreti. Niente di più (e niente di meno, ça va sans dire). Soprattutto, non andrebbe chiesta loro nessuna improbabile “patente” di democrazia.

Il fatto è che Anna Netrebko non è una semplice “ancella”, ma una autentica regina del palcoscenico e ha fatto alla Scala ciò che sa fare meglio, ossia interpretare senza però limitarsi a una semplice restituzione di quanto scritto sugli spartiti, ma mostrandosi capace di offrire una lettura creativa e, in alcuni casi, capace del sapore di una rivelazione, di un’epifania. Va anche detto che il programma scelto, accompagnato dal valido pianista Malcolm Martineau, era davvero interessante e vario, spaziando dal melodramma alla liederistica sia in lingua tedesca che francese e russa, non senza toccare le arie da camera italiane. In ogni pagina Netrebko ha saputo esibire la sua stupefacente musicalità, la capacità che ha di piegare la sua voce, naturalmente grande e ben proiettata, a squisiti pianissimi che risultano tuttavia sempre sonori e torniti. Costante l’attenzione all’articolazione della parola, così come a un fraseggio ricco di sfumature, soprattutto nelle arie e nei brani russi, dove la naturale eufonia della lingua di Puskin trova nel suo canto un sovrappiù di malinconica sensualità. Piccole imprecisioni o qualche debolissimo problema di intonazione non pregiudicano il valore di una serata memorabile per emozione e intensità nel canto.

Netrebko è una sorta di antidiva, sia per l’originalità e la spontaneità con cui si offre ai propri followers sui social, sia per una istintiva empatia che riesce a stabilire con il pubblico. Proprio come accaduto alla Scala, dove non si è fatta mancare lo sfizio di cantare “Mattinata” di Leoncavallo alla fine della prima parte, concludendo il pezzo con una puntatura invero non bellissima ma strappa applausi. Oppure quando, come secondo bis, si lancia in una fenomenale esecuzione de “Il bacio” di Arditi dove, se la coloratura non è perfetta, il pezzo vibra di una irresistibile leggerezza, vagamente screziata di sensualità.

Ad affiancare il soprano c’erano anche altri due artisti: il violinista Giovanni Andrea Zanon e il mezzosoprano Elena Maximova. Col primo – fine fraseggiatore – si crea un’alchimia davvero singolare, a partire dall’aria di esordio. E se lo straussiano “Morgen!” è miniato da entrambi con straordinaria finezza, il canto brunito e morbido del soprano unito al suono chiaro e luminoso del violino sortiscono l’effetto di una lancinante emozione nello stupendo “Non cantare per me, bellezza mia” su testo di Puškin e musica di Rachmaninov. Maximova, voce rotonda e corposa, di bel colore, si unisce a Netrebko in una pregevolissima esecuzione del duetto “È sera… S’offuscan nel cielo le nubi” da La dama di picche di Čajkovskij e nella sognante “Barcarola” di Offenbach. Non mancano vere e proprie chicche, come l’elegantissima “Il pleure dans mon coeur” dalle Ariettes oubliées di Debussy, una sensuale Dalila con “Printemps qui commence”, oppure ancora la vivacissima “Ballad of baby Doe” dell’americano Douglas Stuart Moore.
Tuttavia, è nelle pagine operistiche che brilla il talento della grande primadonna. Abbiamo già detto di Adriana, ma dobbiamo necessariamente dire di una Louise (Charpentier) dalla femminilità inquieta e fresca insieme, di una Nedda ebbra di gioia di vivere, di una Manon Lescaut dal legato ammirevole, ad esaltare la fosca brunitura di un timbro unico.
Alla fine, un trionfo, col pubblico a battere in sincrono le mani, nella speranza – vana – di altri bis. Ma, lo ha detto lei stessa, non avrebbe fatto come Flórez.

Teatro alla Scala – Stagione 2021/22
RECITAL DI CANTO
Musiche di Cilea, Rachmaninov, Rimskij-Korsakov, Strauss,
Debussy, Charpentier, Čajkovskij, Leoncavallo, Dvorak,
Saint-Saens, Offenbach, Stuart Moore, Tosti

Soprano Anna Netrebko
Mezzosoprano Elena Maximova
Violino Giovanni Andrea Zanon

Milano, 27 maggio 2022

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