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Milano, Teatro alla Scala – Lo schiaccianoci

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Gran festa alla Scala. Dopo sedici anni torna Lo schiaccianoci più fiabesco e assieme inquietante. Il titolo di maggior fascino consegnato da Rudolf Nureyev al teatro. L’occasione è il trentennale della sua scomparsa, mentre la data segna l’apertura della stagione ballettistica, anche festeggiata da un bel volume (qui il link per scaricarlo) dedicato a storia e protagonisti del Ballo del teatro.

Il titolo nasce a San Pietroburgo nel 1892 sostanzialmente per mano di Ivanov, coreografo attratto dalla teatralità più che dal tecnicismo di Petipa, il francese dominatore per cinquanta anni dei teatri imperiali anche padre dello Schiaccianoci. La musica è del re del repertorio tardoromantico, Čajkovskij, mentre il libretto attinge alla vena sulfurea di E. T. A. Hoffmann. Il balletto è oggetto di vari allestimenti. Alla Scala quello di Nureyev arriva nel 1969. Il mitico danzatore, che esce dal Kirov imbevuto di danse d’école, la ama al punto di porre mano ai grandi classici con rielaborazioni che li rendono più suoi ma anche complessi da affrontare. Non può prescindere dallo Schiaccianoci che, per mano della fonte narrativa, ha già in sé tutti gli ingredienti per diventare una vicenda completamente diversa dal titolo.

Ovviamente il Natale della fiaba natalizia per antonomasia è la cornice della vicenda. Una cornice struggente che rispecchia la solitudine e la malinconia dell’esule senza patria, né dio, né famiglia. L’abete è gigantesco, la festa nella magnifica casa del dottor Stahlbaum un tripudio di giocattoli, ragazzini scatenati, luci, danze di società che non dimenticano nessuno, nemmeno i nonni. Quanto struggimento nel cuore di chi appartiene ormai a un mondo lontano. Mentre nella piazza non manca il teatro di burattini tanto caro alla tradizione russa. Elementi del resto sempre presenti per ricordare Rudy, oggi sepolto nella banlieue parigina, nel cimitero ortodosso di Sainte-Geneviéve-des-Bois, coperto di fiori e dall’imponente Kilim a mosaico pensato da Frigerio, identico a quello che, Wanderer del mondo, lui portava sempre con sé. Nureyev il fuggiasco che si getta tra le braccia della gendarmeria francese di Le Bourget, in realtà resta sempre il figlio di Ufa, metà tartaro e metà bashkiro, con il cuore pieno di nostalgia. Basterebbe per tutti la stanza a mosaico color azzurro che aveva fatto costruire nella sua casa all’isola Li Galli di Positano: il rifugio per sua madre che non sarebbe mai arrivata e che lui potrà rivedere solo morente. La nostalghia è un carattere dominante, assieme all’infinita ansia di libertà e alla insopprimibile curiosità per tutto ciò che incontra: gente, città, musei. Ma quando a Capodanno lo pensiamo immerso in chissà quali festeggiamenti, lo ritroviamo rintanato nella cucina del suo manager tuttofare. La famiglia manca in modo dilaniante a lui che vuole tutto: uomini, donne, potere, amicizie… Il preambolo per raccontare questo Schiaccianoci collocato proprio tra una recita e l’altra del superbo Boris di Ildar Abdrazakov, a sua volta metà tartaro e metà bashkiro e nato a Ufa.

A sipario chiuso, i monelli giocano scatenati. Li ritroviamo alla festa, dove il suggestivo personaggio di Drosselmeyer, controfigura di Nureyev in abiti orientali e benda nera sull’occhio, distribuisce doni e regala alla piccola Clara un bambolotto a forma di schiaccianoci. Gli adulti ballano valzer e quadriglie, per terra sono sparsi i balocchi mentre di sfondo si intravvedono due minuscoli burattini che in altre riprese, amplificate, ricordavano le illustrazioni dei libri di fiabe inglesi. Ora appare tutto più spento. Come del resto più cupa e claustrofobica è la scenografia di Nicholas Georgiadis, scelto e amato dal Nostro. In altri titoli provvederà la fantasia della coppia regina Frigerio-Squarciapino.

Oggi il balletto è ripreso con minor fascino da Aleth Francillon e Manuel Legris. Mentre sul podio sta il moscovita Valery Ovsyanikov portato da un passato eccellente specie in campo coreutico. Certo, dirigere un balletto è sempre complicato per via dei tempi dei ballerini. Tuttavia, a prescindere dal binomio buca-scena, questo Čajkovskij venato di sogno pare tradito nell’agogica e nello sviluppo melodico. Perfetta è invece la sovrapposizione voluta dal coreografo delle figure Principe-Drosselmeyer, l’amico di famiglia che porta regali e magia. Il mago che conduce la piccola Clara dormiente abbracciata allo schiaccianoci in un viaggio iniziatico degno di Freud. La ragazzina sta passando dall’adolescenza all’età adulta. Sogna. La fantasia inquieta la circonda di topi e pipistrelli minacciosi invano cacciati da soldatini e deliziosi ussari al galoppo (bravissimi gli allievi dell’Accademia). È terrorizzata. Ma l’alter ego di Nureyev, appunto Drosselmeyer, si fa carico delle sue turbe diventando il bellissimo principe, che lei ancora non conosce, e danzando con lei. Per riconsegnarla poi al sonno, alla poltrona e al brutto schiaccianoci da stringere al petto.

Intanto quelli della Scala, uno più eccellente dell’altro, sviluppano assieme e passi a due. Una meraviglia il Coro delle voci bianche e la corolla di fiocchi di neve. Saltano agli occhi conoscenze vecchie e nuove, da Beatrice Carbone a Mattia Semperboni. Come da tradizione non mancano i cammei di danze esotiche: spagnole, arabe cinesi, russe. La produzione prevede numerosi cast. Alla prima tocca alla coppia princeps Nicoletta Manni Timofej Andrijashenko dall’aplomb perfetto. Ma dobbiamo riconoscere come tutti costituiscano davvero una splendida compagnia facendoci dimenticare l’imbarazzo degli striscioni che nell’82 svolazzavano davanti al Metropolitan e al suo Chagall (prima tournée americana) annunciando un improbabile “Teatro alla Scala Ballet”. Oggi ne saremmo fieri.
La Scala, che vuole potenziare la voce Ballo, è pienamente accontentata. Alla fine Georgiadis incupito, orchestra maltrattata e ripresa approssimativa vengono riscattati. Tanto che il pubblico, teatro ancora esaurito, tributa applausi a non finire senza ombra di contestazione. Dunque chapeau. Alla Scala, a Manuel Legris direttore del Corpo di ballo e a Dominique Meyer sovrintendente.

Milano, Teatro alla Scala, 17 dicembre 2022

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