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Milano, Teatro alla Scala – I Capuleti e i Montecchi

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È davvero una gioia, per noi ferventi belliniani, quando un’opera del grande catanese fa il suo ritorno su un palcoscenico internazionale. A maggior ragione se a produrne un nuovo allestimento è il più importante teatro d’opera italiano quale il Teatro alla Scala. Assente da molti, troppi, anni dal palcoscenico milanese, Vincenzo Bellini vi ritorna trionfalmente con una affascinante edizione dei suoi I Capuleti e i Montecchi, opera “giovanile” (se così si può dire di un compositore morto all’età di trentaquattro anni) scritta in fretta e furia utilizzando, genialmente, alcuni autoimprestiti (soprattutto dalla sfortunata Zaira malamente caduta a Parma nel 1829, un anno prima dei Capuleti) e un libretto di Felice Romani che rimaneggiò il suo Giulietta e Romeo musicato anni prima da Nicola Vaccaj. Esito più felice non poteva esserci. La nuova partitura ci consegna un Bellini meravigliosamente in bilico fra struggimenti amorosi e impeti guerreschi, capace di concepire un finale ultimo talmente ardito e innovativo da sconcertare i contemporanei. Non a caso, anche per i capricci di alcune primedonne, il finale dell’opera fu spesso sostituito durante l’Ottocento con quello composto da Vaccaj per poi riapparire gloriosamente d’uso costante nel Novecento, grazie anche alle belle esecuzioni dirette da Riccardo Muti negli anni Ottanta, grande direttore e grande interprete di Bellini.

Al Teatro alla Scala, come è noto, il covid ha costretto il previsto Evelino Pidò a declinare l’impegno, prontamente sostituito dalla debuttante (alla Scala) Speranza Scappucci. Già all’attacco della Sinfonia è stato possibile renderci conto di quanto e quale nerbo e personalità disponesse la direttrice d’orchestra romana. Stacchi rapinosi, carichi di elettricità, un precipitare immediatamente dentro il dramma che la regia di Adrian Noble sottolineava fin da subito visualizzando l’antefatto dove ci viene mostrata l’uccisione del fratello di Giulietta (il libretto utilizzato da Bellini solo parzialmente coincide con la tragedia di Shakespeare). Una direzione, quella della Scappucci, elastica e flessibile nei momenti più estatici e belcantistici, durante i quali la concertatrice sembrava respirare insieme ai cantanti, assaporando con voluttà le spirali melodiche che Bellini elargisce soprattutto nel bellissimo duetto fra Romeo e Giulietta del primo atto.

Una resa così maiuscola di queste, difficili, pagine sarebbe stata impossibile senza interpreti vocali pari all’arduo impegno. Raramente negli ultimi anni ci è capitato di ascoltare un soprano della statura di Lisette Oropesa, perfettamente a proprio agio in un ruolo impervio, affrontato senza tentennamenti o incertezze, capace di trillare (finalmente, in un’epoca grama come la nostra nella quale anche pretesi grandi cantanti rossiniani spianano allegramente trilli e agilità) e variare con eleganza le riprese delle arie, interprete immedesimata e per nulla linfatica, una Giulietta più matura e consapevole del suo adolescenziale Romeo. Marianne Crebassa, infatti, non rinverdisce le glorie virili di una Horne o di una Dupuy, interpreti storiche di questo ruolo en travesti, ma ci regala un Romeo visivamente bellissimo, credibile, innocente e sventato che sembra uscito da un film di Truffaut. Commovente persino il suo improvviso slacciarsi la cravatta nera prima di attaccare “La tremenda ultrice spada!”, pagina dall’esaltante virtuosismo che la Crebassa forse non domina completamente, ma affronta con piglio e coraggio encomiabili. Il registro grave è ben timbrato e per nulla gonfiato sgradevolmente, gli acuti sono forse un poco tirati ma in un ruolo come questo difficile, oggi, pretendere di più. Bravo anche il tenore Jinxu Xiahou, un Tebaldo poco a suo agio con le agilità della sfida con Romeo ma squillante e dalla perfetta dizione italiana. Troppo cavernoso, invece, il Capellio di Jongmin Park, ma assolutamente magnifico il paterno, affettuoso Frate Lorenzo di Michele Pertusi.

La regia di Adrian Noble non rimbambisce lo spettatore con effetti da videogame, ma cura con attenzione e sagacia la gestualità dei cantanti e delle masse corali (ottimamente preparate da Alberto Malazzi). Mai i protagonisti appaiono abbandonati a loro stessi come invece ci è parso di avvertire in recenti produzioni scaligere; Noble è un regista che viene dalla prosa e questo si avverte nitidamente. La vicenda viene ambientata in ipotetici anni Trenta del secolo appena trascorso, e fa riferimento ai fascismi di varia natura che hanno ammorbato l’intero pianeta. Qualche ingenuità (la nevicata durante il secondo atto) non guasta una regia nel complesso riuscita e salutata con convinti applausi a fine serata che hanno premiato lui, la brava costumista (Petra Reinhardt), lo scenografo (Tobias Hoheisel) e Jinxu Xiahou. Per Speranza Scappucci, Lisette Oropesa, Marianne Crebassa e Michele Pertusi, invece, si è trattato di un vero, meritato, trionfo.

Teatro alla Scala – Stagione d’opera e balletto 2021/22
I CAPULETI E I MONTECCHI
Tragedia lirica in due atti
Libretto di Felice Romani
Musica di Vincenzo Bellini

Romeo Marianne Crebassa
Giulietta Lisette Oropesa
Tebaldo Jinxu Xiahou
Lorenzo Michele Pertusi
Capellio Jongmin Park

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttrice Speranza Scappucci
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia Adrian Noble
Scene Tobias Hoheisel
Assistente scenografo Philippine Ordinaire
Costumi Petra Reinhardt
Assistente costumista Eleonora Rossi
Luci Jean Kalman e Marco Filibeck
Coreografia Joanne Pearce
Maestro d’armi Mauro Plebani
Nuova produzione Teatro alla Scala

Milano, 18 gennaio 2022

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