Ci guardiamo attorno. L’occhio cade sull’idolo antico Luciana Savignano. Ecco lei, da aspetto e repertorio diametralmente opposto (Luciana è segnata da linee spigolose e svettanti, volto esotico e interiorità cara a uno come Maurice Béjart) pare l’unica che per carisma, emotività, tecnica e teatralità potrebbe reggere il paragone con Carla Fracci. Sebbene la fama mondiale di Carla sia legata anche a quel repertorio che per tutti è la danza classica, amata anche da Luciana che tuttavia eccelle in diverse dimensioni.
A poco più di un mese dal primo anniversario della sua scomparsa, la Scala organizza un impegnativo (e difficoltoso) Gala Fracci affidato a solisti e stelle dal suo Ballo. Alcune presenze straniere, inclusa l’étoile Svetlana Zakharova legatissima a Mosca, mancano. Il teatro è gremito all’inverosimile e felicità e gradimento si toccano con mano. Lo spettacolo si sviluppa sul filo dell’immenso repertorio di Carla Fracci. Prima una rapida proiezione di lei che danza e subito dopo lo stesso titolo ripreso dal vivo da soli, coppie, tutti.
Non si può che iniziare da Giselle, il “poema” nel quale le Nostra si identificava con tanta intensità da far versare fiumi di lacrime al pubblico anche alla millesima recita. Fracci è sinonimo di Giselle, la più grande di tutti i tempi, sicuramente anche di quelli passati e probabilmente futuri. Poi passa Excelsior, il ballettone che esalta le “magnifiche sorti e progressive” risolto in seconda battuta in una deliziosa parata di pile, lampadine, battelli a vapore, trafori del Frejus e abbraccio di ingegneri dal genio di Coltellacci e Pippo Crivelli.
Il cuore geniale e sbarazzino di Roland Petit pulsa in Chéri da Colette. Romeo e Giulietta, Schiaccianoci (la sua revisione più poetica), e Bella addormentata nel bosco sono presentati in versione Rudolf Nureyev, tanto appassionato dai classici da non resistere a metterci mano. Non poteva mancare La strada di Mario Pistoni, con quel tenero personaggio di Gelsomina che abbiamo in mente con Carla Fracci ma anche con Oriella Dorella. E nemmeno l’esotismo raffinato e tecnicamente complesso di La Péri, la visione con una insuperata Fracci ci è apparsa alla Fenice, né ovviamente il superbo Onegin di Cranko su Caikovskij. E nemmeno il gran finale che accosta tutti gli interpreti su Symphony in C del padre della danza americana Balanchine.
E Béjart? C’è anche lui affidato a quella Alessandra Ferri (tempo addietro étoile della Scala) dalla vita artistica travagliata che con il frammento de L’Heure Exquise da Beckett torna agli antichi e indimenticati splendori. Tra i danzatori, i migliori del mondo specie in epoca Vaziev, molte eccellenze. Martina Arduino, controfigura della Fracci nel recente filmato televisivo, Mattia Semperboni recente scoperta, oggi, non si sa perché, messo un po’ in seconda fila, Antonella Albano, la coppia Nicoletta Manni/Timofej Andrijashenko, Emanuela Montanari, Alice Mariani, Marco Agostino, Massimo Garon…. troppi per poterli nominare tutti.
Ai nostri si aggiunge un nutrito drappello di ospiti: Roberto Bolle idolo mondiale, Marianela Nuñez, Carsten Jung, Alessandra Ferri, intensa, sofferta, immedesimata, riconoscibile anche solo per quei piedi arcuati che si conficcano nella tavola scenica. Bellissimo ed eccellente ma sacrificato dal ruolo di porteur Roberto Bolle. Straziante Alessandra Ferri.
Il pubblico impazzisce per l’imponente parata di stelle e classicità e il Gala vola via esaltato e amato. Non senza un nodo alla gola per la sua impareggiabile e commovente “Carlina” che non c’è più.