Perché accettare l’impegno di firmare la regia di un melodramma al quale, stando ai risultati, forse non si crede davvero, infarcendolo e “nobilitandolo” con fittizi riferimenti a un celebre pittore surrealista, distruggendo quasi del tutto l’atmosfera decadente e morbosa indissolubilmente legata alla musica e al libretto? Pur con tutto il rispetto per un cineasta candidato ai futuri Oscar, possiamo francamente affermare che la regia della Fedora di Umberto Giordano, ideata da Mario Martone per il Teatro alla Scala non ci ha convinto per nulla. Le poche idee registiche convincenti si riducono al finale ultimo, scarno e quintessenziato, mentre negli altri atti il continuo va e vieni di figuranti (particolarmente risibile il balletto dei servitori durante “La donna russa”) che vorrebbero ricreare alcuni celebri dipinti di Magritte, l’imbarazzante pedalare canticchiando in bicicletta di Olga nell’ultimo atto, la stessa protagonista trasformata da principessa russa in personaggio volgare (a quando una Traviata con Violetta Valery vestita da suora?) non potevano che irritare un pubblico fin troppo entusiasta con l’esecuzione musicale, ma che all’apparizione al proscenio di Martone e la sua troupe non ha lesinato fischi e buu.
Per fortuna sul podio c’è Marco Armiliato – al suo ritorno nella sala del Piermarini dopo La traviata di tre anni fa – che dirige con passione, temperamento e begli squarci coloristici (avvincente il suo Intermezzo del secondo atto, carico del pathos e della passionalità che invece latitano in scena e nella gola dei cantanti), ma che poco può fare con interpreti non adatti ai rispettivi ruoli o ormai giunti alle ultime fasi di una carriera importante. Sonia Yoncheva, infatti, è a disagio nel ruolo della protagonista; la parte è troppo bassa per lei e il medium appare spesso opaco. La sua Fedora fatica alquanto nel fraseggio e soprattutto nel canto di conversazione, muro portante di questo genere di melodrammi. Yoncheva canta in modo convincente la sua aria iniziale (O grandi occhi lucenti di fede!), ma poi nel subdolo duetto con Loris accompagnato dal pianoforte e nell’estenuata morte finale, trova raramente accenti appropriati e intellegibili. Nel ruolo di Loris, Roberto Alagna sa rendere con credibilità una tal quale foga e concitazione esteriore. È chiaro nella dizione, ma nel suo canto vi è punto o nulla sensualità e calore timbrico (primo interprete ne fu Enrico Caruso), gli acuti sono attinti con evidente sforzo, le sfumature dinamiche e chiaroscuri di fraseggio sono assenti all’appello. Serena Gamberoni pedala con alacrità la bicicletta di cui sopra, ma pare poco convinta di quello che canta. George Petean è piuttosto spento nel ruolo di De Siriex. Decenti, infine, ma non certo entusiasmanti i tanti comprimari ingaggiati per i ruoli di contorno.
Deludenti anche le scene di Margherita Palli. La grande collaboratrice di Luca Ronconi è qui ridotta ad allestire un misero prospetto architettonico che sembra creato da una sua pessima imitatrice.
Teatro alla Scala – Stagione 2021/22
FEDORA
Melodramma in tre atti
Libretto di Arturo Colautti
Musica di Umberto Giordano
Fedora Sonya Yoncheva
La Contessa Olga Sukarev Serena Gamberoni
Loris Ipanov Roberto Alagna
De Siriex George Petean
Dimitri Caterina Piva
Un piccolo Savoiardo Cecilia Menegatti
Desiré Gregory Bonfatti
Rouvel Carlo Bosi
Cirillo Andrea Pellegrini
Boroff Gianfranco Montresor
Gretch Romano Dal Zovo
Loreck Costantino Finucci
Nicola Devis Longo
Sergio Michele Mauro
Michele Ramtin Ghazavi
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Marco Armiliato
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia Mario Martone
Scene Margherita Palli
Costumi Ursula Patzak
Luci Pasquale Mari
Coreografia Daniela Schiavone
Nuova produzione Teatro Alla Scala
Milano, 15 ottobre 2022