Una serata che entrerà negli annali, quella proposta domenica 9 gennaio al Teatro alla Scala. Nel giorno del suo compleanno, infatti, una delle artiste più amate dal pubblico scaligero ha deciso di festeggiare sulle tavole del Piermarini, dando inoltre l’addio alle scene italiane proprio a Milano, dove è stata applaudita e celebrata molteplici volte e in ben sei prime di Sant’Ambrogio per trentacinque anni, dal giugno 1987 quando cantò la Dama nel Cardillac di Paul Hindemith, con regia e scene di Jean-Pierre Ponnelle e diretta da Wolfgang Sawallisch. Stiamo parlando, ovviamente, di una delle interpreti wagneriane di riferimento del secolo scorso e del nostro, Waltraud Meier. Classe 1956, il mezzosoprano e soprano nativo di Würzburg è nota in tutto il mondo specialmente per aver dato voce a eroine uscite dalla penna di Richard Wagner, da Ortrud a Sieglinde, da Kundry a Waltraute e a Venus; e, ovviamente, lei, Isolde. Chi di noi non ricorda l’intensissimo, toccante, viscerale Liebestod del 7 dicembre 2007 al Teatro alla Scala, con Daniel Barenboim sul podio e regia poetica di Patrice Chéreau, con una Meier trasfigurata che, sorridendo, a piccoli gesti si asciuga il sangue che le scorre sul viso, stigma della morte d’amore che la ricongiungerà all’adorato Tristan, per poi silenziosamente accasciarsi di colpo a terra, verso il fondo del palcoscenico? Momenti teatrali di altissimo livello, che porteremo sempre con noi; per non parlare dell’appassionato, ardente duetto d’amore conclusivo del I atto di Walküre del 7 dicembre 2010, nella visione di Barenboim e del regista Guy Cassiers. Rimarchevoli pure le sue incursioni nel repertorio straussiano, avendo la Meier negli ultimi anni più volte ricoperto il ruolo della tormentata e altera Klytämnestra nell’Elektra, dal Salzburger Festspiele 2010 con Daniele Gatti in buca all’Opernhaus Zürich nel 2015 diretta da Lothar Koenigs, passando ovviamente anche per Milano, nel 2014 con Esa-Pekka Salonen e nel 2018 con Christoph von Dohnányi, solo per citarne alcune.
Per l’occasione, Waltraud Meier si esibisce in un raffinato e ricercato Liederabend, un omaggio al Lied viennese, avendo accanto a lei un altro cantante germanofono apprezzato dal pubblico meneghino (rammentiamo, almeno, il suo Sarastro del 2011, il Barone Ochs nel 2015 e il mefistofelico Kaspar in Der Freischütz nel 2017), il quarantacinquenne basso austriaco Günther Groissböck. Proprio con la sua voce ampia e densa si apre la serata, con tre Lieder di Hans Rott su versi di Goethe – Der Sänger, Geistesgruß e Wandrers Nachtlied – nei quali l’artista emerge per una vocalità pastosa e voluminosa, che corre facilmente per la vasta sala del Piermarini, di colore scuro e salda nell’emissione, nonché per un fraseggiare declamato e per una resa sfacciata ed energica. Una cantabilità maggiormente affettuosa e delicata e una dizione rifinita, meno enfatica, contraddistinguono le tre composizioni successive, su musica di Anton Bruckner: Im April, dalla linea di canto morbida e melodiosa; la malinconica Herbstkummer; Mein Herz und deine Stimme, dall’andamento maggiormente dinamico e frastagliato. Si prosegue con uno dei padri della scrittura liederistica, Hugo Wolf, in particolare con il suo ultimo lavoro, Drei Gedichte von Michelangelo, trittico composto nel marzo 1897, sorta di vanitas vanitatum in canto e musica nel quale vengono tradotte – abbastanza liberamente – le Rime di Michelangelo Buonarroti. E così, in Wohl denk’ ich oft (I’ vo pensando), Alles endet, was entsteht (Chiunche nasce a morte arriva) e Fühlt meine Seele (Non so se s’è la desïata luce), la lettura del basso austriaco si fa introspettiva e scarnificata, meditabonda e dolente, sorretta da una recitazione controllata e da un timbro pietroso e tenebroso, profondo negli affondi nei gravi.
Sempre con Wolf, più precisamente con una selezione di sei brani tratta dai Mörike-Lieder del 1888, entra in scena, accolta da un prolungato applauso, la festeggiata, fasciata in una sobria mise con gonna nera e blusa in lamé. Sebbene qua e là le sessantasei primavere inizino a farsi sentire, specialmente nella freschezza e nel peso dello strumento vocale, la Meier si riconosce subito per il colore particolarissimo della sua voce chiaroscurata, luminoso in acuto e voluttuoso e screziato nel registro medio-grave. Immutati restano, inoltre, il carisma scenico, l’innegabile magnetismo, la pregnanza e la cura nel porgere la parola, il portamento aristocratico. Waltraud Meier ci regala un’interpretazione rigorosa, spoglia e intimistica, tutta giocata sulla dovizia di accenti e di inflessioni. In In der Frühe rende con convinzione lo stato di angoscia e di instabilità dell’insonne che, con l’arrivo dell’alba, trascolora in pace interiore; Denk’es, o Seele! è affrontato con una cantabilità maggiormente sostenuta e insistente; in Wo find’ich Trost emerge prepotentemente l’aspetto tragico e drammatico, con puntute e intense salite in acuto e l’inutile ricerca di una risposta alla domanda “Che cosa mi salverà dalla morte e dal peccato?”; in Das verlassene Mägdlein il clima si fa più elegiaco e mesto, in linea con la vicenda della giovinetta abbandonata dal “Treuloser Knabe”, il “ragazzo infedele”; la cupezza densa e magmatica di Verborgenheit sfocia, infine, nelle sonorità liquide e celestiali di Gesang Weylas e nel canto idealizzato e trasparente del mezzosoprano bavarese.
Dopo l’intervallo, il recital è interamente dedicato a Gustav Mahler e ad alcuni Lieder estrapolati dal ciclo Des Knaben Wunderhorn, un vero e proprio caleidoscopio di possibilità, di sfumature, di inflessioni. Alternandosi o duettando assieme, Waltraud Meier e Günther Groissböck mettono in risalto tutte le proprie qualità, puntando la Meier su di una resa lucida e intrisa di pathos, a tratti delicata e smaliziata, Groissböck su di una lettura baldanzosa e vigorosa, venata di ironia grottesca e, ove richiesto, di eroica tragicità. Il mezzosoprano cesella Rheinlegendchen con spigliatezza e nostalgia; in Das irdische Leben sbalza con incisività pulsante il doloroso dialogo tra il figlioletto affamato e la madre, con l’inevitabile finale del bambino che giace nella “Totenbahr”, la bara; trasfigurante e metafisica è poi Wo die schönen Trompeten blasen, viaggio immanente dalla trincea al verde prato, simbolo di pace e tranquillità; sardonica e graffiante risulta la celeberrima predica di sant’Antonio ai pesci, Des Antonius von Padua Fischpredigt, grazie anche a una mimica facciale sapida, a una gestualità eloquente e a un fraseggio carico di significato, soprattutto in concomitanza di certe frasi: “Die Predigt hat g’fallen, Sie bleiben wie Allen!”, “La predica è stata gradita ma nessuno ha mutato vita!”. Da par suo, il basso impersona con vigoroso sarcasmo ed esuberanza Lob des hohen Verstandes, con tanto di pungente raglio del somarello; in Revelge emerge con foga marziale il canto allucinato e straniante del tamburino in marcia; improntato a tematiche soldatesche è anche Zu Straßburg auf der Schanz, pervaso da un’atmosfera mesta di tedium vitae che attanaglia il soldatino svizzero disertore, condannato a morte; dopo la freschezza sbarazzina e giocosa di Selbstgefühl, ecco i colori funerei e lividi di Der Tamboursg’sell, con il povero tamburino che va incontro all’esecuzione capitale, e il “Gute Nacht!” scandito con icastica efficacia. Seducenti i duetti: Der Schildwache Nachtlied, dove affascinanti arabeschi si alternano a note cupe, e Lied des Verfolgten im Turm, caratterizzato da dolore e sofferenza; in entrambi, ben si amalgamano la vocalità pastellata e vellutata della Meier e quella corposa di Groissböck, ove occorre smorzata in leggere mezzevoci.
Conclude il programma ufficiale, toccante commiato dell’artista bavarese dai palcoscenici italiani, forse il momento più alto della serata: Urlicht dalla Seconda Sinfonia di Mahler, brano portatore di un messaggio di rinascita ed evocativo dell’alba di una vita nuova, rifinito da Waltraud Meier con lirismo e delicatezza.
In questo itinerario nella liederistica viennese i due cantanti sono accompagnati e supportati magistralmente dall’estro, dal virtuosismo, dalla lucidità e dalla precisone del pianista Joseph Breinl, in grado di rendere con spiccato talento e con fantasia le molteplici sfumature delle composizioni di Rott, Bruckner, Wolf e Mahler.
Al termine, un folto pubblico ha tributato a tutti gli artisti, in special modo alla festeggiata, un successo entusiasta, ripagato con tre bis: due Lieder schubertiani, An die Musik (affrontato da Günther Groissböck con raffinatezza) e uno dei cavalli di battaglia della Meier, Erlkönig, nel quale il mezzosoprano offre un’interpretazione spasmodica e cocente, tesa e potentemente drammatica; il leggiadro duetto mahleriano Trost im Unglück, sempre dal Corno magico del fanciullo.
A suggello di una serata emozionante come questa, non potevano certo mancare gli onori del padrone di casa, il sovrintendente Dominique Meyer, che ha ringraziato Waltraud Meier per aver scelto proprio il Teatro alla Scala per l’addio alle scene italiane, ricordando tutti i suoi successi al Piermarini e alcuni aneddoti personali, omaggiando la cantante con un bouquet di rose bianche e con una locandina incorniciata dell’ultimo 7 dicembre nel quale si è esibita, Die Walküre del 2010. L’artista, commossa, scusandosi per il suo italiano stentato, ha espresso gratitudine e riconoscenza al “caro pubblico” per la fedeltà: e quando, tra le ovazioni generali, si è congedata mandando un bacio e salutando con le mani, gli occhi di molti presenti in sala si sono velati di lacrime.
Teatro alla Scala – Stagione 2021/22
RECITAL DI CANTO
Musiche di Hans Rott, Anton Bruckner, Hugo Wolf e Gustav Mahler
Waltraud Meier mezzosoprano
Günther Groissböck basso
Joseph Breinl pianoforte
Milano, 9 gennaio 2022