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Milano, Teatro alla Scala – Adriana Lecouvreur (cast alternativo)

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Tra forfait di dive illustri, indisposizioni, positività al Covid-19 e sostituzioni varie, si posiziona al momento come la produzione forse più travagliata dell’attuale stagione del Teatro alla Scala. Stiamo parlando, ovviamente, di Adriana Lecouvreur, opera in quattro atti su musica di Francesco Cilea, tratta dall’omonima pièce di Eugène Scribe ed Ernest-Wilfried Legouvé. Titolo dalle suadenti atmosfere intimistiche e crepuscolari, è stato più volte proposto sulle tavole del Piermarini (l’ultima nel 2007), con artisti storici: Maria Caniglia, Mafalda Favero, Renata Tebaldi, Magda Olivero, Mirella Freni, Daniela Dessì, per limitarci alla sola protagonista.

Qui riferiamo di quello che doveva essere il cast alternativo, ma a conti fatti lo è solo in parte. Dopo la rinuncia di Anna Netrebko, nel ruolo del titolo troviamo la titolare della prima compagnia di canto, Maria Agresta, che si esibisce in tutte le repliche. In possesso di una vocalità complessivamente di buon peso, che ha il suo punto di forza in acuti luminosi e in medi ben appoggiati e timbrati, ma che perde di consistenza scendendo nell’ottava bassa, la Agresta delinea una Lecouvreur potentemente umana e innamorata, poco eroina tragicienne. Se la recitazione è, tutto sommato, curata e convincente, lo stesso non si può dire delle parti declamate (“Del sultano Amuratte m’arrendo all’imper” e, soprattutto, l’atteso monologo di Fedra “Giusto Cielo! Che feci in tal giorno?”), apparse perfettibili e prive di mordente. La romanza “Io son l’umile ancella” è cesellata con gusto e musicalità, la struggente “Poveri fiori” e il finale “Ecco la luce, che mi seduce” sono resi con intensità e delicatezza, esibendo il soprano pulizia di suono, tenui messe di voce e filati nitidi.
Accanto a lei, Yusif Eyvazov impersona Maurizio, il Conte di Sassonia, cantando anche nelle recite inizialmente assegnate a Freddie De Tommaso, risultato positivo al Coronavirus. Il tenore azero esibisce uno strumento vocale voluminoso, dal timbro screziato di venature metalliche che lo rendono riconoscibilissimo, squillante e saldo nelle note alte e corposo in quelle medie e gravi. Con tecnica ferrea, intonazione ferma, varietà di fraseggio e linea di canto sfumata, Eyvazov scolpisce un Maurizio vigoroso e appassionato. “La dolcissima effigie sorridente” è affrontata con garbo e dovizia di accenti; “L’anima ho stanca” è stagliata con pregnanza, “Il russo Mencikoff” con robustezza e disinvoltura.
Al posto della prevista Elena Zhidkova, nei panni della Principessa di Bouillon subentra Judit Kutasi. Il mezzosoprano rumeno sfoggia una voce morbida e tornita, pastosa e ben espansa nell’ampia sala teatrale, di seducente colore ambrato ed emessa con omogeneità. Con una dizione chiara e un fraseggiare incisivo (basti citare il “Restate!” intonato con perentoria autorevolezza nel Finale III), la Kutasi dà vita con credibilità a una Principessa gelosa e volitiva, sin dalla sortita “Acerba voluttà, dolce tortura”, cantata con forza espressiva senza però mai scadere in truci effetti di stampo verista. Nel duetto d’amore con Maurizio sbalza il lato maggiormente possessivo del personaggio, mentre nello scontro con Adriana è energica e combattiva come una maestosa tigre.
Il Michonnet bonario e premuroso di Ambrogio Maestri si apprezza per la vocalità tonante e debordante, per la mimica ammiccante e schietta, per le generose doti attoriali, per la tenuta vocale buona (eccezion fatta per la salita all’acuto, risultata a volte meno a fuoco rispetto al passato); efficace la resa di “Ecco il monologo…”.
Dalla voce brunita e dal portamento nobile il Principe di Bouillon di Alessandro Spina; mercuriale e mordace l’Abate di Chazeuil di Carlo Bosi; musicale la Madamigella Jouvenot di Caterina Sala; salace la Madamigella Dangeville del mezzosoprano bulgaro Svetlina Stoyanova; briosi e inappuntabili Francesco Pittari (Poisson) e Costantino Finucci (Quinault); puntuale Paolo Nevi nel breve intervento come maggiordomo.

Dal podio dell’Orchestra del Teatro alla Scala, Giampaolo Bisanti propende per una lettura vibrante, decisa e lussureggiante, dall’agogica snella, apprestando un tappeto orchestrale turgido e rigoglioso, a tratti soverchiante rispetto al palcoscenico. Con gestualità scattante, Bisanti insiste con intelligenza su sonorità livide e drammatiche grondanti decadentismo, in grado all’occorrenza di alleggerirsi in cangianti sfumature impressionistiche e in floreali atmosfere Art Nouveau (come, per esempio, nel trasfigurante e impalpabile alone orchestrale nell’etereo finale). Il direttore milanese modella altresì con nettezza i leitmotive che punteggiano la partitura, da quello aggressivo e tragico della Principessa di Bouillon, di icastica concisione wagneriana, a quello melodico e luminoso della protagonista, oasi lirica sofisticata e suadente. Preciso e impeccabile il Coro, guidato con mano sicura da Alberto Malazzi.

L’allestimento è quello, oramai storico, del regista David McVicar (qui ripreso da Justin Way), che ha debuttato nel 2010 al Covent Garden di Londra, protagonisti Angela Gheorghiou, Jonas Kaufmann, Olga Borodina e Alessandro Corbelli. Una sontuosa coproduzione internazionale con il Liceu di Barcellona, la Wiener Staatsoper, l’Opéra de Paris e la San Francisco Opera, proposta anche al MET di New York e che, in questi dodici anni, è stata interpretata da star del calibro, fra gli altri, di Barbara Frittoli, Ermonela Jaho, Roberto Alagna, Piotr Beczała, Elīna Garanča, Dolora Zajick. Uno spettacolo dove si miscelano sapientemente fedeltà al libretto, rispetto dell’ambientazione prevista da Cilea (la Parigi del 1730), ironia, garbata malizia, sintonia tra i cantanti, suggestivi giochi di ombre cinesi, cura della recitazione e buona caratterizzazione dei personaggi. Le imponenti scenografie mobili di Charles Edwards, animate dalle luci atmosferiche e nitide di Adam Silverman riprese da Marco Filibeck, rappresentano il retropalco della Comédie-Française, un tripudio rococò di scene dipinte, candelabri, arredamento settecentesco, attrezzeria teatrale (nel I atto campeggia al proscenio il busto marmoreo di Molière), una vera delizia per gli occhi; lo stesso vale per i fastosi e dettagliatissimi costumi d’epoca a firma di Brigitte Reiffenstuel (citiamo, almeno, quelli delle due primedonne, giocati sulle tonalità dell’avorio, del giallo e del rosa per la Lecouvreur, del blu e del verde per la Principessa), e per le coreografie tradizionali di Andrew George (riprese per l’occasione da Adam Pudney).
Al termine, caloroso successo da parte del pubblico, invero non folto (tra i presenti, anche la senatrice a vita Liliana Segre e l’intramontabile Raina Kabaivanska), con festante accoglienza per gli interpreti principali.

Teatro alla Scala – Stagione d’Opera e Balletto 2021/22
ADRIANA LECOUVREUR
Commedia-dramma in quattro atti
Libretto di Arturo Colautti da Eugène Scribe ed Ernest-Wilfried Legouvé
Musica di Francesco Cilea

Maurizio Yusif Eyvazov
Il Principe di Bouillon Alessandro Spina
L’Abate di Chazeuil Carlo Bosi
Michonnet Ambrogio Maestri
Quinault Costantino Finucci
Poisson Francesco Pittari
Un Maggiordomo Paolo Nevi
Adriana Lecouvreur Maria Agresta
La Principessa di Bouillon Judit Kutasi
Madamigella Jouvenot Caterina Sala
Madamigella Dangeville Svetlina Stoyanova

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Giampaolo Bisanti
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia David McVicar ripresa da Justin Way
Scene Charles Edwards
Costumi Brigitte Reiffenstuel
Luci Adam Silverman riprese da Marco Filibeck
Coreografia Andrew George ripresa da Adam Pudney
Coproduzione Royal Opera House, Covent Garden; Gran Teatre del Liceu;
Wiener Staatsoper; Opéra National de Paris; San Francisco Opera

Milano, 12 marzo 2022

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