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Madrid, Teatro Real – Il crepuscolo degli dèi

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Vedere opere di Richard Wagner, in particolare quelle della maturità, è diventato da un paio d’anni una rarità, a meno che non si visiti qualche città del mondo germanofono. Cancellato il Tannhäuser al Liceu all’inizio del 2021, di Wagner a Barcellona per ora non se ne parla. In compenso, il Teatro Real di Madrid non ha avuto timore di presentare l’ultima giornata del Ring programmandone molte recite, a quanto pare tutte esaurite. Naturalmente, come capita in questo e in altri teatri (la recente Bohème è stata un vero caos), ci sono state sostituzioni ma, finora, nessuna cancellazione.

Il Crepuscolo degli dèi (Götterdämmerung) è tremendamente difficile da allestire per le ben note ragioni insite nel teatro wagneriano, e sperare in uno spettacolo di livello superiore è diventato ormai pura utopia. Tuttavia, anche se non c’erano grandi aspettative, si è trattato di una produzione complessivamente buona, preparata con serietà e che ha dato un’idea abbastanza precisa della melodrammaturgia wagneriana. L’allestimento proposto è quello ormai famoso e “classico” di Robert Carsen. Da un lato un bene, perché è uno spettacolo interessante anche se in alcuni momenti forza troppo la mano, dall’altro un male perché non ci saranno presto, credo, altre scelte possibili e non vedo importanti teatri spagnoli disposti a far fronte a un’impresa così onerosa. Un plauso comunque al Real per avere osato. E veniamo al merito.

Come si sa, l’idea scelta da Carsen per tutta la tetralogia è “ecologista”: il mondo finirà per l’inquinamento causato dall’umanità, come si era capito già dal primo famoso accordo de L’oro del Reno. Nel Crepuscolo, se le Norne sono signore delle pulizie in mezzo al caos di ricordi-spazzatura delle giornate precedenti che non servono più a niente né a nessuno, le ondine sono vestite con cenci e lo stesso nobile fiume è inquinato a più non posso. Meno adeguata mi pare la scelta di trasformare il palazzo della stirpe di Gibich in un tipico ministero nazista (per architettura, simboli, mobilio e costumi), dove non disturba tanto che Hagen faccia il suo celebre appello attraverso un megafono, quanto la presenza di altri dettagli che sono incoerenti con il testo: alcuni personaggi dicono una cosa e ne fanno l’altra, oppure non fanno assolutamente niente. Fantastiche, invece, la rocca della valchiria, assolutamente spoglia, tranne che per la presenza del fuoco, e la lotta alla fine dell’atto primo tra Brunilde e Sigfrido-Gunther. Ma ancor più memorabile il magnifico quadro finale con il fuoco e la pioggia che purificano tutto, con la sola protagonista sul palcoscenico che cede il passo a un mondo nuovo (non c’è altro che la luce finale, bellissima) del quale non sappiamo niente, se non che forse arriverà il momento di un’altra pestifera palude.

Sul versante musicale, c’era attesa per la prova di Pablo Heras-Casado, che aveva già diretto le altre giornate con reazioni contrastanti da parte della critica. Il pubblico l’ha salutato con una grande ovazione. Ricordavo un suo Rigoletto a Cardiff anni fa, quando ancora non si era affermato, e mi era piaciuto molto. Non posso dire lo stesso per questo Wagner. Con le percussioni e gli ottoni distribuiti nei palchi non era difficile immaginare che l’orchestra suonasse forte e in alcuni momenti coprisse le voci, ma il punto è che fin dall’inizio mancava un senso di vera grandiosità – suonare forte e bene magari è necessario, ma non basta – e, soprattutto, i momenti di grande effusione lirica venivano giocoforza ridimensionati. Non a caso, il momento più interessante è stata la marcia funebre di Sigfrido. L’orchestra, tranne che in qualche passaggio, era in ottima forma, come pure il coro maschile preparato come al solito da Andrés Máspero. Il maestro Heras-Casado dirigeva poi senza bacchetta – e senza mascherina – ma dirigere con le mani è pericoloso se non sei, ad esempio, un Gergiev (che tra l’altro non fa, secondo me, un Wagner memorabile). I gesti quasi automatici e ripetitivi non sono certo il miglior biglietto da visita.

Una sola sostituzione tra gli interpreti: il Gunther di Markus Eiche al posto di Lauri Vasar. Un cantante professionale, Eiche, con nervi di acciaio e buon conoscitore della regia. Dal punto di vista vocale, spiccano Andreas Schager e Stephen Milling. Il primo è “il” Sigfrido dei nostri giorni: voce ottima, parecchio omogenea, acuti di bronzo, attore simpatico se non eccezionale. Il secondo, con meno volume di quanto ricordassi, in particolare in zona acuta, è un Hagen eccellente, non troppo cattivo. Ottima la sua scena con il padre Alberich, lo specialista Martin Winkler che è attendibile, anche se la sua frase ossessiva (“Dormi, Hagen, figlio mio?”) non desta ribrezzo né paura alcuna.
Tra le signore, sugli scudi la prova di Michaela Schuster nei panni di Waltraute, una parte che le sta come un guanto e dove le sue limitazioni vocali non vengono percepite, anche perché come attrice è magistrale. Molto simpatiche, disinvolte e di buon canto le Ondine (Elizabeth Bailey, María Miró e la brava Claudia Huckle). Bene le Norne della stessa Huckle (che però contralto non è), Kai Rüütel e Amanda Majeski. Quest’ultima, come di tradizione, è anche Gutruna, ma anche se è un soprano con un repertorio da assoluta o assolutissima, ha una voce troppo fragile e troppo chiara di colore.
E poi c’è lei, Brunilde. Non ho avuto la fortuna di sentire e vedere in questo ruolo Nina Stemme, ma Birgit Nilsson sì e anche Gwyneth Jones e quindi mi ricordo, con immensa gratitudine, delle loro interpretazioni (come anche del Wotan inarrivabile di Hans Hotter). Ricarda Merbeth frequenta da tempo queste parti pesanti del repertorio tedesco. Non male certamente: l’acuto funziona, anche se più di una volta è stridulo e quasi sempre metallico; il problema è che il registro centrale non risuona molto, mentre il grave è decisamente brutto e risulta spento, se non logoro. Si difende nel terribile secondo atto ed è prudente con le sue forze, per cui riesce ad arrivare alla grande scena finale senza segni di stanchezza. Cerca sempre di fare del suo meglio, e questo è un merito, ma se per Gunther un ottimo professionista basta, per questo ruolo no.

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