Madrid, Teatro Real – Aida (con Krassimira Stoyanova e Piotr Beczala)
Diciannove repliche di Aida – più una per i giovani – con tre compagnie diverse e una quarta protagonista per una recita possono dare un’idea di quanto il Teatro Real di Madrid e il suo pubblico credano in questo titolo verdiano, ripreso nell’allestimento realizzato una ventina d’anni fa da Hugo de Ana, autore di regia, scene e costumi, presente alle prove e alla prima.
Non so se il regista argentino abbia modificato qualcosa rispetto alla versione originale, ma chiaramente la sua lettura ci pone di fronte a una messinscena spettacolare, già a partire dal sipario tempestato di geroglifici. Sfilano tante comparse (sacerdoti, popolo, schiavi etiopi che sembrano abbagliati e intimoriti dallo splendore dell’Egitto, quasi come un tempo si ponevano gli indios davanti ai conquistadores), tante proiezioni di piramidi e colonne, anche se mi pare che più di una volta ci sia confusione tra Egitto e Roma: nel trionfo, per esempio, si vedono gradinate molto simili a quelle dell’Arena di Verona, che potrebbe forse accogliere questa produzione con successo. E poi ancora luci belle (grazie al lavoro di Vinicio Cheli) e coreografie non sempre azzeccate di Leda Lojodice (meglio quella del tempio, senza essere indimenticabile, rispetto a quella del trionfo). Tutto molto tradizionale, compreso l’horror vacui che tocca il culmine nei momenti finali dell’atto secondo con una sfilata di dèi che raduna in pratica tutto il panteon egizio. Pubblico soddisfatto, niente da dire, anche se la regia denota scarso interesse per i personaggi che qui – tranne qualche movimento sommario – restano per lo più nelle mani degli stessi interpreti: nel caso di Amneris, in particolare, si sente la mancanza di una mano registica forte, e Jamie Barton, che interpreta la principessa, avrebbe fatto meglio a guardarsi almeno qualche celebre kolossal di Cecil B. De Mille, suo conterraneo.
Nicola Luisotti, che dirige l’ottima compagine orchestrale, mi sembra a suo agio più nelle scene liriche che nei grandiosi momenti d’insieme, dove rischia la monotonia, soprattutto nell’accentuare in forma sempre uguale e caricata il finale dei vari numeri. Eccellente la prova del coro, preparato come sempre da Andrés Máspero.
Quando al cast da me ascoltato, in ordine di locandina il primo è il Re, che in questo caso è un cantante davvero insufficiente, Deyan Vatchkov. Mi permetto di ricordare che non molto tempo fa non solo Ramfis era un “primo basso”: se qualcuno ha presente l’incisione diretta da Serafin con Gigli, Caniglia, Stignani, Bechi, magari ricorda anche che i bassi erano Pasero e Tajo. Alexander Vinogradov, nei panni di Ramfis, canta meglio, ma si dimostra incline pure lui a un fraseggio monotono e inespressivo.
La protagonista è Krassimira Stoyanova, un soprano che è sempre garanzia di musicalità, tenuta tecnica e serietà, anche se l’ho trovata sempre molto anonima come interprete, pure per quanto riguarda la qualità e la “personalità” del timbro. Se adesso il terzo atto la mette a prova nell’amministrazione dei fiati e i pianissimi risultano piuttosto scarsi, quando non assenti, è anche vero che l’interprete risulta nel complesso più interessante rispetto ad altre prove del passato.
Il punto più alto del cast è il Radamès di Piotr Beczala, che si addentra nel Verdi della maturità forte della sua preparazione tecnica e stilistica, esibendo un buon centro e un’emissione franca e sempre molto timbrata e squillante negli acuti. Nella recita a cui ho assistito ha concluso “Celeste Aida” con il si bemolle forte anziché in pianissimo. Non capisco perché qualcuno si sia scandalizzato: dal vivo non ho mai sentito smorzare bene quella nota, con l’eccezione del grande Bergonzi e dello stesso Beczala, che in un concerto l’ha risolta con un’emissione di testa, come nell’aria del fiore della Carmen. Aggiungo che la voce si sente benissimo anche nei concertati, nel corso di tutta la recita, e che le mezzevoci si fanno apprezzare nel duetto finale. Ma se dovessi scegliere un momento particolarmente riuscito, opterei per il grande duetto con Amneris. Forse anche perché quest’ultimo personaggio quasi non esiste scenicamente e vocalmente è discontinuo. Jamie Barton esibisce gravi buoni, anche se non sempre belli o a fuoco, un registro centrale a tratti debole e acuti fissi che non mi sembrano il massimo per la figlia del faraone; direi però che a pesare di più, nel tratteggio complessivo, è il fraseggio inerte. Carlos Álvarez ritorna alla ribalta dopo mesi di assenza e se la voce pare un po’ meno risonante, il colore e il canto seducono sempre; è vero che Amonasro non richiede forse un grande artista, ma lui fa quanto possibile per renderlo credibile. Benissimo i due ruoli comprimari, Fabián Lara (il messaggero) e Jaquelina Livieri (sacerdotessa). Bravi i ballerini.
Tanto pubblico con tanti applausi alla fine.
Per dovere di cronaca, ricordo che in altre recite si sono esibiti anche Anna Netrebko, Roberta Mantegna, Victoria Yeo, Yusif Eyvazov, Jorge De León, Sonia Ganassi, Ketevan Kemoklidze, Artur Rucinski, Gevorg Hakobyan, Simon Orfila, Jong Min Park, Jacquelina Livieri e David Sánchez; altri direttori Daniel Oren e Diego García Rodríguez. [Rating:3/5]
Madrid, Teatro Real, 3 novembre 2022