Mario Cavaradossi canta “Recondita armonia” e, poco lontano, seduti su una lettiga dorata, un soldato romano chiacchiera con una giovane in abiti egizi, mentre Batman sbuccia (e mangia) una banana. Situazione surreale? No, è una scena da Tosca di Puccini, per la regia di Valentina Carrasco, che ha inaugurato la 58ª edizione del Macerata Opera Festival. Allestimento “fortunoso” nelle sue vicende: progettato nel 2019, sarebbe dovuto andare in scena nel 2020, ma è poi slittato al 2022, conservando però l’idea iniziale. Ovvero quella di ambientare l’opera su un set cinematografico (ed ecco spiegata la compresenza del pittore che loda la bellezza dell’amata e di tre bizzarri figuranti). “Si è soliti dire che Puccini anticipa il cinema – spiega la regista argentina – sia in senso drammaturgico (il modo in cui costruisce le sue opere), sia per lo stile musicale (nel suono della sua orchestra si avverte uno spirito cinematografico ante litteram, tant’è vero che nei decenni è stato riprodotto da innumerevoli compositori di musica per film)”.
Siamo dunque a Hollywood negli anni Cinquanta del Novecento, dove si sta girando una pellicola ambientata nel 1800, prodotta da Scarpia. Mario e Tosca sono attori di questo film e intrecciano le loro vicende personali con quelle dei personaggi che interpretano. In questa Tosca la finzione (il film) è a colori, nelle cromie vibranti, esagerate e anche un po’ kitsch del technicolor; la realtà, invece, è in bianco e nero. I due percorsi – grazie anche alle scene appropriate di Samal Blak e ai bei costumi di Silvia Aymonino – corrono paralleli e si intrecciano per tutta la durata dell’opera. Il punto di contatto tra finzione e realtà si compie alla fine, al momento della fucilazione di Cavaradossi, quando l’attore che lo interpreta muore per davvero. Un cameraman riprende ciò che accade in scena e talvolta queste immagini vengono proiettate nella parte alta del grande muro che fa da sfondo al palco dello Sferisterio (i video sono di Tiziano Mancini e della stessa Carrasco). La componente politica, che è molto importante in Tosca, viene recuperata con i riferimenti al maccartismo e alle persecuzioni subite da chi allora lavorava nel settore cinematografico. Inutile dire che il produttore Scarpia – che fa adeguato uso del famoso divano – somiglia molto a Harvey Weinstein.
Carrasco è regista intelligente e fa leva su un notevole mestiere, sia nel muovere i protagonisti che le masse, escogitando un finale molto originale e, per certi versi, spiazzante. Risolve peraltro in maniera encomiabile alcuni momenti tradizionalmente critici – per i registi – del capolavoro pucciniano (il “Vissi d’arte, ad esempio, con Scarpia che riprende da vicino la cantante, in un esibito voyerismo, oppure il finale del secondo atto, davvero suggestivo e potente, anche per il suo perfetto calibrarsi rispetto alla musica). Ciò detto, nel complesso, la regia fatica a trovare una coerenza stringente, non solo per alcune incongruenze rispetto al libretto, ma anche per una sensazione di confusione che talvolta genera, soprattutto quando ci sono le immagini proiettate. Non mancano peraltro alcuni problemi con le luci, curate da Peter Van Praet.
Donato Renzetti, direttore musicale del Festival, approccia il capolavoro pucciniano in punta di cesello, tornendo il suono, dilatando i tempi e fraseggiando sempre con gusto e sensibilità. Un modo di leggere Tosca più adatto a uno spazio chiuso che non al grande emiciclo maceratese e che sacrifica la necessaria tensione teatrale.
Carmen Giannattasio vanta una bella presenza scenica, una vocalità sicura e ben proiettata, ma l’interprete, pur se molto musicale, appare poco incisiva e personale. Antonio Poli, al debutto nel ruolo, è un Cavaradossi che parte in difficoltà, con un “Recondita armonia” faticoso nell’emissione e povero nelle sfumature. Poi, il cantante si impegna a fondo per offrire il ritratto di un giovane appassionato e idealista (begli applausi guadagna il suo “E lucevan le stelle”), ma l’impressione complessiva è che il personaggio pucciniano non sia ancora nelle sue corde. Perfettamente a suo agio, viceversa, Claudio Sgura quale Scarpia tanto bieco quanto viscido, peraltro sempre elegante, anche quando la conquista si fa rapace o – per dirla con il libretto – violenta. Molto bravo Alessandro Abis nei panni di un Angelotti di voce ampia e ben timbrata, così come ha fatto bene il sacrestano di Armando Gabba, mai sopra le righe. Pregevoli tutti gli altri: Saverio Fiore (Spoletta), Gianni Paci (Sciarrone), Franco Di Girolamo (un carceriere) e la giovane Petra Leonori (un pastorello). Si sono disimpegnati con onore il Coro Lirico marchigiano “Vincenzo Bellini”, diretto dall’ottimo Martino Faggiani, e i Pueri Cantores “D. Zamberletti”, guidati da Gianluca Paolucci.
Successo cordiale da parte del pubblico presente.
Macerata Opera Festival 2022
TOSCA
Melodramma in tre atti di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
dal dramma omonimo di Victorien Sardou
Musica di Giacomo Puccini
Floria Tosca Carmen Giannattasio
Mario Cavaradossi Antonio Poli
Il Barone Scarpia Claudio Sgura
Cesare Angelotti Alessandro Abis
Un sagrestano Armando Gabba
Spoletta Saverio Fiore
Sciarrone Gianni Paci
Un carceriere Franco Di Girolamo
Un pastorello Petra Leonori
FORM-Orchestra Filarmonica Marchigiana
Coro lirico marchigiano “Vincenzo Bellini”
Direttore Donato Renzetti
Maestro del coro Martino Faggiani
Pueri Cantores “D. Zamberletti”
Maestro del coro Gianluca Paolucci
Regia Valentina Carrasco
Scene Samal Blak
Costumi Silvia Aymonino
Luci Peter Van Praet
Nuovo allestimento dell’Associazione Arena Sferisterio
Macerata, Sferisterio, 22 luglio 2022