Successo tutto italiano alla Wigmore Hall di Londra, dove la Compagnia de Violini diretta da Alessandro Ciccolini e un cast prestigioso di specialiste del barocco hanno entusiasmato il pubblico londinese con una pregevole esecuzione di una rarità di Hasse, la serenata dal titolo La Semele, o sia la richiesta fatale. Arianna Vendittelli, Roberta Invernizzi e Sonia Prina hanno dato vita ai personaggi mitologici di Semele, Giunone e Giove, con peculiarità vocali e caratterizzazioni ben differenziate, tutte molto efficaci, funzionando egregiamente anche come insieme. Tre interpreti di livello per pertinenza stilistica, controllo tecnico e vivida padronanza della parola.
Rappresentata per la prima volta nel 1726 a Napoli, 18 anni prima dell’omonimo oratorio händeliano per Londra (1744), La Semele è uno dei lavori più interessanti del periodo napoletano del germanico Hasse, durante il quale gli furono commissionate anche Marc’Antonio e Cleopatra (1725) ed Enea in Caonia (1727). Se per Marc’Antonio e Cleopatra Hasse aveva potuto contare su due cantanti di rango come il grande Farinelli e Vittoria Tesi, per La Semele non è dato sapere quale fosse il cast originario, anche se in base alla difficoltà e bellezza della musica è facile immaginare che si trattasse di tre voci dalle grandi possibilità espressive e virtuosistiche.
Il lavoro, come altre serenate del periodo, viene concepito per un pubblico aristocratico e per un’esecuzione privata a scopo celebrativo in un palazzo napoletano, senza alcuna messa in scena. Rispetto alle composizioni operistiche dello stesso periodo, le serenate contavano su un’orchestrazione ridotta, una trama condensata senza troppi risvolti o complicazioni della vicenda e un organico ridotto di interpreti vocali.
La composizione – divisa in due parti – comprende un’ouverture dal carattere brillante, tredici arie solistiche, due duetti, due terzetti (a conclusione di ciascuna delle due parti della serenata) e alterna recitativi secchi a recitativi accompagnati. Per l’esecuzione, viene utilizzata l’edizione critica dello studioso di Hasse e direttore Claudio Osele, basata sul manoscritto conservato nell’Archivio della Società degli Amici della Musica di Vienna.
Il libretto di Francesco Ricciardi, che aveva già lavorato con Hasse per la serenata Marc’Antonio e Cleopatra, è ispirato al racconto mitologico di Semele (dalle Metamorfosi di Ovidio), opportunamente semplificato, drammatizzato e modificato con un lieto fine che riafferma la morale della vicenda. Il padre degli dèi Giove ha un’amante mortale dal nome Semele, il che scatena la rabbia della consorte Giunone, decisa a porre fine all’infedeltà di Giove. Camuffata nelle vesti della sua vecchia bambinaia Climene, Giunone convince Semele a insistere che Giove si mostri a lei nelle sue sembianze divine, conscia che tale visione finirebbe per uccidere la rivale in amore. Semele cade nel tranello ed esposta a Giove nella sua reale natura, muore. Dopo aver pianto la sua morte, Giove usa la sua potenza divina riportando in vita Semele la quale ora vede Giove come amico e non più come amante. I tre personaggi si riconciliano e la vicenda termina felicemente con la riaffermazione del vincolo coniugale. Il triangolo amoroso viene meno, per la felicità di tutti.
L’esecuzione è avvenuta in forma di concerto, senza messa in scena vera e propria (come all’epoca di questa composizione) e con le interpreti in grado di focalizzarsi sul canto, ma pur sempre usando una minima azione scenica. Le cantanti hanno infatti interagito tra loro con sguardi, ammiccamenti, gesti, entrate e uscite di scena, il che ha mantenuto alta l’attenzione del pubblico. Il cast comprendeva due veterane dell’interpretazione del repertorio barocco (Prina e Invernizzi) e una giovane voce (Vendittelli) che vanta già un ottimo bagaglio di esperienza alle spalle.
Arianna Vendittelli è una Semele innamorata, inizialmente candida e ingenua per poi divenire risoluta e consapevole. Il suo strumento brilla per limpidezza e sensibilità musicale. In “Vago fior sul verde prato” sfoggia morbidezza e omogeneità d’emissione, varietà di dinamiche e gusto nell’abbellire la linea di canto. In “Taccio, sospiro e gemo” delinea una linea di canto pulita con acuti ben centrati, trilli e messe di voce ben curati. La resa di “Dolce spira il venticello” è raffinata con un canto lieve e fluttuante dalle frasi ben plasmate, su cui si innestano progressioni ascendenti di gruppetti di abbellimenti. L’aria che segna il suo ritorno in vita “La Fenice al sol che splende” viene cantata in maniera deliziosa con un canto che si districa tra i registri in maniera omogenea.
Roberta Invernizzi, fin dalla sua prima entrata in scena, è molto incisiva e autorevole nei recitativi, nell’articolazione del testo a scopo drammatico e nell’attenzione alle sfumature del canto. In “S’altro augel che quel di Giove” conferisce pulizia alla linea di canto, sempre ben sostenuta, e buona varietà al fraseggio; varia con gusto nel da capo e si dimostra molto musicale. “Trassi anch’io dal piacer mio” è all’insegna dell’ornamentazione raffinata con fiati lunghi dalle dinamiche curate, come nel lungo crescendo sulla parola “regnar” che sfocia in un bel canto melismatico. In “Quando vedrai sul volto amato” Invernizzi è una Giunone fiera e vendicativa come quando ripete con un escalation di enfasi drammatica “ti pentirai di essermi ingrato e traditor”. La sua ultima aria è “Va spergiuro”, dove il soprano sfoggia un bel temperamento, articolando il testo con carattere e curando le sfumature, nonostante l’impegnativo carattere concitato del canto.
Sonia Prina conferma la sua reputazione di interprete di rango della musica barocca e non solo per il suo timbro contraltile, così distintivo e immediatamente riconoscibile: fin dalla sua entrata in scena ogni singola frase musicale viene vissuta con sincerità e pieno significato. Il suo è un Giove credibile sia nella sua autorevolezza divina che nella sua debolezza di infedele, giocoso ingannatore e irresistibile seduttore. In “Troppo, o sposa, sei sdegnosa” sgrana le agilità e gioca con gli accenti pesando ogni parola. L’interprete cura poi i colori e le pieghe del fraseggio in “Pupille serene”, abbellendo la linea di canto in maniera espressiva e giostrandosi bene con i salti di registro. “Del mio fulmine al solo gran lampo” le si addice moltissimo per carattere e possibilità tecniche con colorature vorticose e affondi ai gravi ben timbrati. “Occhi belli idolatrati” è un lamento affranto e dolente dove Prina sfoggia un bel velluto e un canto fortemente espressivo; belle le risoluzioni in diminuendo che creano degli efficaci effetti di sospensione. L’interprete è apparsa in buona forma vocale complessivamente; qualche disomogeneità di emissione e qualche sentore metallico o opaco in alcune zone della sua estensione non hanno comunque inficiato un canto sempre centrato attorno al personaggio e stilisticamente pertinente.
L’ensemble barocco Compagnia de Violini nasce dall’idea di Alessandro Ciccolini di ricreare secondo la prassi dell’esecuzione storicamente informata un gruppo storico attivo alla corte Farnese di Parma tra fine Cinquecento e inizio Seicento. Ciccolini stacca tempi di buon senso dalla vivida musicalità e riesce nel compito di mantenere la tensione drammatica dell’azione. Specialmente nella seconda parte il complesso di strumenti originali rende efficacemente gli interessanti recitativi accompagnati dai toni infuocati, concitati e spettrali. L’accompagnamento ha favorito le cantanti che sono apparse a loro agio, ben preparate e mai in difficoltà, nonostante oltre due ore di canto interamente sulle spalle di soli tre interpreti. L’accompagnamento del basso continuo è stato misurato e mai violento o pesante. Le condizioni climatiche dell’umida e piovosa serata londinese possono aver influito sull’intonazione degli archi, non sempre immacolata, unica nota di un’esecuzione comunque ottima.
Al termine di una serata molto godibile e dal notevole spessore musicale di stile italiano, applausi calorosi sono stati riservati a tutti gli interpreti.
Wigmore Hall – Stagione 2021/22
LA SEMELE, O SIA LA RICHIESTA FATALE
Serenata in due parti su libretto di Francesco Ricciardi
Musica di Johann Adolf Hasse
Edizione critica di Claudio Osele
Semele Arianna Vendittelli
Giunone Roberta Invernizzi
Giove Sonia Prina
Compagnia de Violini
Primo violino e direttore Alessandro Ciccolini
Londra, 6 gennaio 2022